Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15843 del 26/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 26/06/2017, (ud. 28/02/2017, dep.26/06/2017),  n. 15843

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26282-2012 proposto da:

F.B., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO CORNELIO;

– ricorrente –

contro

L.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO

ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSIMO STEFANUTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2185/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento dell’ultimo

motivo e per il rigetto degli atri motivi del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La corte d’appello di Venezia, adita su impugnazione di sentenza del tribunale di Venezia da F.B. nei confronti di L., con sentenza depositata il 10 ottobre 2012 ha rigettato il gravame.

2. Con la sentenza la Corte ha considerato che la eventuale pratica di accesso alla zona contatori, ricadente in proprietà del vicino L.L. e sita a nord dei due edifici costruiti in adiacenza di proprietà delle due parti in (OMISSIS), non avesse potuto dar luogo alla costituzione di servitù per usucapione ventennale poichè, da un lato, l’art. 843 c.c. prevede che il proprietario debba consentire l’accesso del vicino alla cosa propria per manutenzione a titolo di obligatio propter rem e poichè, d’altro lato, la presunta servitù non avrebbe avuto il requisito dell’apparenza a causa del fatto che il cancello, cui F.B. riconduce detto requisito, era al servizio del fondo di L.L. e su esso giacente, nonchè, infine, poichè il teste escusso, ex coniuge di F.B., aveva riferito che il vicino permetteva alle auto di fare inversione di marcia sulla sua proprietà e che l’utilizzo era stato richiesto per iscritto con nota del 27 aprile 2002.

3. Avverso tale decisione F.B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi illustrati da memoria. L.L. ha resistito con controricorso; il difensore dello stesso, in data 23 febbraio 2017, ha depositato certificato attestante il decesso della parte il 31 marzo 2016.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Anzitutto va dato atto della ritualità del contraddittorio nonostante l’avvenuta partecipazione, ad opera del difensore, del decesso di L.L. dopo l’instaurazione del giudizio di cassazione. Come insegna la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., sez. U, n. 14385 del 21/06/2007, ampiamente consolidata), nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 c.p.c. e segg. onde, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di una parte, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del giudizio.

2. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 1027 c.c. e art. 1061 c.c., comma 2, avendo la Corte d’appello negato che il cancello, nella precedente posizione arretrata che lasciava libera la manovra di automobili nella zona antistante, fosse un’opera stabile e permanentemente destinata all’utilità del fondo dominante. Sostiene che l’avanzamento del cancello sino al limite del confine del fondo L., non consentendo più la manovra senza l’apertura del cancello, conferma che precedentemente il fondo F. “si giovava (…) del non aver necessità di passarvi proprio perchè esso era arretrato”.

2.1. Il motivo è inammissibile. Esso – concernendo la questione della mancanza di apparenza della servitù, ritenuta dalla Corte d’appello per escludere la sua usucapibilità in base al disposto dell’art. 1061 c.c. che limita la stessa alle servitù apparenti – attinge una sola ratio tra le plurime a sostegno della decisione impugnata, sopra riepilogate e relative all’affermazione dell’esistenza di una permissio domini rivelatrice di mancanza dell’animus domini necessario per il possesso ai fini dell’usucapione ai sensi degli artt. 1140 e 1159 c.c., nonchè all’affermazione del principio – conforme alla giurisprudenza di questa Corte (v. ad es. Cass. 30/08/2004, n. 17383) – per cui gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell’art. 843 c.c., il proprietario deve consentire al vicino per l’esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo a un’obbligazione propter rem, non possono determinare la costituzione di una servitù.

2.2. Solo per completezza può dunque rilevarsi come, in materia di usucapione delle servitù, il necessario requisito dell’apparenza imponga che le opere visibili e permanenti di cui all’art. 1061 c.c., comma 2, quand’anche eccezionalmente si trovino sul fondo dominante (v. ad es. Cass. 26/11/2004, n. 22290), debbano comunque essere, come prescrive detta norma, “destinate al loro esercizio”, cioè costituenti una situazione oggettiva di fatto di per sè rivelatrice dell’assoggettamento di un fondo ad un altro, dovendo quindi l’inequivoca destinazione dipendere dalle oggettive caratteristiche dell’opera e non già dal modo in cui questa viene utilizzata (cfr. ad es. Cass. 17/02/2004, n. 2994), ciò che non è ravvisabile in un cancello del tutto estraneo, in quanto originariamente arretrato, rispetto al luogo del presunto accesso, divenuto in tanto rilevante in quanto, come addotto dalla stessa ricorrente, esso sia stato ricostruito in posizione più avanzata e quindi in via sopravvenuta impeditivo della pratica di manovra di auto.

3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1365 c.c., avendo la sentenza impugnata attribuito a F.B. una censura alla sentenza di primo grado in effetti non formulata.

3.1. Il motivo è inammissibile. L’affermazione oggetto di critica contenuta nella sentenza impugnata (“la F. censura la sentenza impugnata laddove esclude l’intervenuto riconoscimento della servitù sulla base del comportamento di pretesa acquiescenza del proprietario “servente””, seguita da un richiamo circa i modi di costituzione delle servitù), risolventesi, per la prima parte, in un richiamo generale circa il comportamento del L. comunque oggetto di discussione in causa e, per la seconda parte, in un obiter dictum riepilogativo delle norme in tema di costituzione delle servitù, non costituisce ratio decidendi.

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 91 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe liquidato le spese in base alla precedente tariffa, in luogo che in base al D.M. n. 140 del 2012, entrato in vigore il 23 agosto 2012, dopo la deliberazione ma prima della pubblicazione della sentenza stessa.

4.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e carenza di interesse, in quanto – al di là del richiamo operato nella sentenza impugnata a “diritti” e “onorari”, eventualmente rivelatore di un riferimento all’abrogata disciplina – il motivo stesso non dà conto (eventualmente anche mediante l’indicazione aritmetica) del modo in cui la scissione della liquidazione nelle predette due voci si sia posta, in concreto, contro le disposizioni della disciplina sopravvenuta la cui applicazione si invoca.

4.2. In questo senso, va data continuità al principio affermato in fattispecie consimile (Cass. n. 20128 del 07/10/2015) secondo cui la parte che propone ricorso per cassazione, deducendo l’illegittima liquidazione delle spese processuali distinte in diritti e onorari in violazione del D.M. n. 140 del 2012, ha l’onere di indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato dall’applicazione delle suddette disposizioni, atteso che, in forza dei principi di economia processuale, ragionevole durata del processo e interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata.

5. Dovendo il ricorso essere complessivamente rigettato, le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2017

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