Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15843 del 19/07/2011

Cassazione civile sez. II, 19/07/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 19/07/2011), n.15843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.J. legale rappresentante della ditta individuale YARNO

MARMI, S.T. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA G.PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIGLI

GIUSEPPE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

R.G. (OMISSIS) Titolare della omonima OFFICINA

MECCANICA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PANARITI PAOLO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CUGOLA GIORGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1205/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Presidente Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito l’Avvocato GIGLI Giuseppe, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto di riportarsi agli scritti depositati ed insiste;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del gravame.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3 novembre 1997 J. G. proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo emesso dal Pretore di Verona in data 23 settembre 1997 e relativo al pagamento in favore di R.G. della somma di L. 18.319. 327 per fornitura di merce.

A fondamento della opposizione G.J. deduceva che il debito era stato estinto mediante la consegna a R.G. di tre assegni di L. 18.000.000 emessi dalla propria madre T. S., che interveniva nel giudizio.

Con sentenza in data 11 marzo 2003 il Tribunale di Verona, diventato nel frattempo competente, accoglieva l’opposizione, ritenendo che le somme portate dagli assegni di cui sopra, sulla base delle dichiarazioni rese da S.T., dovevano ritenersi pervenute nella disponibilità di R.G., anche se questi non aveva incassato direttamente i titoli di credito.

Contro tale decisione R.G. proponeva appello, che veniva accolto dalla Corte di appello di Venezia con sentenza in data 24 settembre 2008, in base alla seguente motivazione:

Il nucleo essenziale della prospettazione dell’allora opponente s’ incentrava sull’avvenuta estinzione del debito, per effetto del pagamento operato dalla madre, con la consegna dei titoli indicati a mani del creditore, satisfattivi della pretesa residuata dopo il versamento dell’acconto.

Ovviamente competeva al debitore dimostrare il fondamento, innanzitutto in fatto, delle asserzioni formulate e certamente non può dirsi che le acquisizioni di prova abbiano confortato la sua tesi.

Della consegna dei titoli a mani del R., infatti, v’è traccia solo nelle affermazioni della S., parte in causa, benchè non debitrice dell’odierno appellante, trattandosi, comunque, di dichiarazioni non confessorie dell’interpellata, le quali non potevano, correttamente, essere valorizzate a favore di altra parte processuale, tra l’altro legata alla dichiarante da un vincolo familiare assai stretto ed indicata come colei attraverso la cui iniziativa la liberazione del debitore-ingiunto sarebbe stata conseguita.

A ben vedere, del resto, mentre la decisione impugnata pare basarsi sul contenuto della deposizione della donna – poi ritenuta inammissibile per incapacità della S. a testimoniare, prima del volontario intervento in lite della stesa – il vaglio delle emergenze del pregresso grado della lite denota un’ulteriore anomalia, posto che l’interrogatorio formale risultava richiesto, nei confronti, però, del R., dal solo patrocinio dell’opponente G. (v.

memoria del 31.3.1999), così ammesso, unitamente alla prova testimoniale, con l’abilitazione del medesimo convenuto-opposto alla sola prova contraria (v. provvedimento del 10.11.1999) e poi “esteso” dalla difesa dello stesso R. alla S., nelle more intervenuta (v. verbale d’udienza del 29.1.2002) ma senza l’articolazione di un capitolato teso a provocare la confessione dell’interessata su fatti a sè sfavorevoli, secondo la natura e la funzione di detto mezzo istruttorio: il patrono dell’opposto si è limitato, come precisato, a sollecitarne l’ammissione sulle circostanza formulate dall’avversario, certamente non finalizzate ad una ricostruzione degli accadimenti contrastante con quella prospettata dall’ingiunto:

in definitiva un’utilizzazione del tutto impropria del mezzo probatorio de quo, riscontrata da una valorizzazione altrettanto incongrua, da parte del giudicante, del contenuto delle dichiarazioni ella S.. E’ allora evidente come la tesi della macchinazione ordita dal venditore R., al fine di occultare la prova del pagamento eseguito dal terzo (che tale è la prospettazione sostanziale dell’opponente e dell’intervenuta) figuri assolutamente sfornita di riscontro, poichè l’unico fatto storico acclarato è quello dell’avvenuto incasso dei titoli menzionati da parte dei L., o meglio, di L.B., ove si presti fede alle deposizioni degli interessati Certamente, però, difetta radicalmente la dimostrazione di un collegamento o di una collusione tra i prenditori degli assegni ed il R. e comunque la possibilità di individuare in costui il finale beneficiario dei titoli, con liberazione del G. dal debito residuo, grazie all’adempimento operato dalla madre.

Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, S.T. e G.J..

Resiste con controricorso R.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto da S.T., quale semplice interveniente ad adiuvandum.

Il primo motivo del ricorso si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

interpretandosi l’art. 230 c.p.c., dichiari la Corte di Cassazione che, in caso di procedimento civile con presenza di interveniente volontario, se una parte richiede ed ottiene l’estensione all’interveniente dell’interrogatorio formale cui essa stessa è chiamata a rispondere, tale richiesta di estensione sia qualificata come istanza di interrogatorio formale svolta dal richiedente nei confronti dell’interveniente sulla identica capitolazione ex art. 230 c.p.c., comma 1, in atti, anche se formulata da altra parte.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Anche volendo aderire alla tesi secondo la quale nella specie l’interrogatorio formale di S.T. doveva ritenersi correttamente disposto (il che appare difficile ammettere, dal momento che la stessa non era chiamata a dichiarare circostanze a sè sfavorevoli), rimane comunque il fatto che le dichiarazioni dalla stessa rese non potevano avere valore confessorio, in quanto non a sè sfavorevoli, come correttamente rilevato dai giudici di merito.

Con il secondo motivo si pongono due questioni.

In primo luogo, in sostanza, sì deduce che, pur essendo pacifico che S.T. aveva emesso assegni per L. 18.000.000, la sentenza impugnata nulla dice in ordine alla destinazione di tale somma.

La doglianza è infondata, in quanto spettava alla difesa dell’opponente provare che la somma in questione era pervenuta a R.G., non avendo i giudici di merito alcun obbligo di indagare sul punto.

Con la seconda censura si deduce che comunque, ove si volesse ritenere che le dichiarazioni di S.T. erano state rese in sede di semplice interrogatorio libero, le stesse avrebbero potuto fornire utili elementi di prova.

Anche tale doglianza è infondata, in quanto i giudici di merito hanno esaminato tali dichiarazioni e le hanno ritenute inattendibili.

Con il terzo motivo si deduce testualmente: La sentenza impugnata si limita ad argomentare apoditticamente di “utilizzazione impropria del mezzo probatorio” e persino di “valorizzazione dello stesso mezzo probatorio altrettanto incongrua da parte del Giudice di 1^ grado”.

Ma atti e documenti rammostrano che non è oggettivamene vero che la tesi della macchinazione del R. figuri assolutamente priva di riscontro, risulta a verbale l’interrogatorio di S.T., sono allegate le copie degli assegni.

Se l’impugnata sentenza avesse argomentato almeno sul motivo del disvalore dell’ammissione dell’interrogatorio in quanto sollecitata dallo stesso patrono dell’opposto R.G., o avesse argomentato sulla non riferibilità degli assegni al caso di specie, si sarebbe potuto trame una qualche argomentazione. Ma purtroppo così non è in quanto si svolgono soltanto affermazioni apodittiche, onde, allo stato, non resta che prendere atto dell’omissione di motivazione nella sentenza impugnata.

Il motivo non può trovare accoglimento, in quanto le argomentazioni in esso svolte sono dirette contro un accertamento (mancata prova del fatto che le somme di cui agli assegni emessi da S.T. fossero pervenute a R.G.) insindacabile in sede di legittimità.

Con il quarto motivo, sulla premessa che nella ricostruzione dello “svolgimento del processo” di cui alla sentenza impugnata, a pag. 5, si dice che il G. e la ” R.” (invece della S.) resistevano sollecitando il rigetto dell’appello, si chiede la correzione dell’errore materiale.

Il motivo è inammissibile, in quanto, anche volendo ammettere l’interesse, la correzione andava chiesta al giudice che ha emesso il provvedimento.

In definitiva, va dichiarato inammissibile il ricorso proposto da S.T., mentre va rigettato il ricorso proposto da J. G..

I ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da T. S.; rigetta il ricorso proposto da G.J.; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 1.200,00, cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

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