Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15838 del 24/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15838 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

Data pubblicazione: 24/06/2013

SENTENZA
sul ricorso 3610-2012 proposto da:
PISANTI SALVATORE PSNSVT30S10E791J, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA LUCIO PAPIRI° 83, presso lo studio
dell’avvocato AVITABILE ANTONIO, rappresentato e difeso
dall’avvocato SCIALDONI LUIGI giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente contro

ENEL DISTRIBUZIONE SPA – 05779711000, in persona
dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51,
presso lo studio dell’avvocato BRIGUGLIO ANTONIO, che la

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rappresenta e difende unitamente all’avvocato SZEMERE
RICCARDO giusta procura a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 312/2011 del TRIBUNALE di SANTA
MARIA CAPUA VETERE, SEZIONE DISTACCATA di

MARCIANISE, depositata il 13/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del dì
08/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato Szemere Riccardo difensore della controricorrente
che ha chiesto l’accoglimento del controricorso;
è presente il P.G. in persona del Dott. AURELIO GOLIA che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Salvatore Pisanti ricorre, affidandosi a sei motivi, per la cassazione
della sentenza n. 312, depositata il 13.6.11, del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere – Sezione distaccata di Marcianise, con la quale è
stato accolto l’appello proposto da Enel Distribuzione S.p.A. avverso
la condanna, pronunciata nei suoi confronti dal Giudice di Pace di
Maddaloni, per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti
dall’odierno ricorrente in dipendenza dell’interruzione della
somministrazione dell’energia elettrica nella notte tra il 27 ed il 28
settembre 2003. Resiste con controricorso l’intimato.
Motivi della decisione
2. Il ricorrente si duole (così enumerandoli alle pagine 3 e 4 del
ricorso):
– con il primo motivo, di “violazione e falsa applicazione artt. 100 e
112 c.p.c. — Vizio in procedendo. Erroneità dei presupposti.
Ultrapetizione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”;
Ric. 2012 n. 03610 sez. M3 – ud. 08-05-2013
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m

- con il secondo motivo, di “violazione artt. 113, 2° comma, art. 1342
c.c. e art. 161 c.p.c. Nullità della sentenza emessa dal giudice di Pace
per erroneità della regola di decisione”;
– con il terzo motivo, di violazione e falsa applicazione degli artt. 2909
cod. civ. e 329 cod. proc. civ., deducendo formazione di giudicato

– con il quarto motivo, di violazione e falsa applicazione degli artt. 276,
324 e 342 cod. proc. civ.;
– con il quinto motivo, di “esaurimento della funzione giurisdizionale
da parte del giudice di appello con conseguente preclusione di ulteriori
indagini”;
– con il sesto motivo, di “ulteriore violazione delle norme sul
procedimento. Violazione e falsa applicazione artt. 112, 161 e 162
c.p.c.”.
Dal canto suo, la controricorrente contesta l’ammissibilità del ricorso,
siccome contrario al consolidato orientamento in materia espresso da
questa Corte di legittimità, ma ne argomenta pure l’infondatezza nel
merito.
3. Ricordato che in merito alla fattispecie in esame la giurisprudenza di
questa Corte può dirsi consolidata (tra le molte: Cass., ord. 10 maggio
2011, n. 10179; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2110; Cass. 27 giugno 2012,
n. 10741; Cass. 27 giugno 2012, n. 10743), può osservarsi che tutti i
motivi — i quali possono pertanto essere congiuntamente esaminati —
sono finalizzati a denunciare la nullità della sentenza del primo giudice,
perché a torto questi avrebbe deciso secondo equità, e l’inammissibilità
dell’appello sarebbe derivato dall’intervenuto giudicato, asseritamente
formatosi per la mancata specifica impugnativa in ordine alla nullità
della sentenza di primo grado, preclusivo, dunque, di ogni valutazione
di merito; ma detti motivi sono infondati.
Ric. 2012 n. 03610 sez. M3 – ud. 08-05-2013
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interno ed omessa rilevazione;

Invero, assicurandosi continuità all’orientamento consolidatosi sul
punto, può qui bastare un rinvio alla motivazione di Cass. 5 marzo
2013, n. 5438, con diretto e pressoché testuale richiamo alla quale qui
affermare che:
– quando il giudice di pace, risolvendo espressamente una questione

valore della controversia o della qualificazione del contratto alla stregua
dell’art. 1342 cod. civ.), afferma che la causa deve essere decisa
secondo equità e la decide così espressamente, la regola di decisione
della causa deve intendersi necessariamente corrispondente a tale
affermazione;
– ne deriva che la sentenza è nulla se tale regola sia stata erroneamente
individuata: e ciò perché il giudice dell’impugnazione, quale esso sia,
non può valutare se la decisione sia stata in concreto assunta secondo
diritto; tuttavia, la conseguenza è che quest’ultimo deve disporre,
secondo la disciplina propria del giudizio di impugnazione alla quale è
tenuto a conformarsi, la rinnovazione della decisione sulla base di una
motivazione in diritto se trattasi del giudice di appello o, se si tratta
della Corte di cassazione, pervenendo alla cassazione con rinvio,
affinché il giudice di rinvio provveda alla rinnovazione della decisione
secondo diritto, a meno che non ricorrano le condizioni per la
decisione direttamente nel merito; nel qual caso sarà la stessa S.C. che
procederà a tale rinnovazione (v. Cass. 28 febbraio 2008, n. 5276);
– nel caso in esame, essendo evidente trattarsi di un contratto concluso
secondo le modalità dell’art. 1342 cod. civ. (contratto di massa), la
regola che avrebbe dovuto seguire il giudice di pace sarebbe stata
quella della decisione secondo diritto, ex art. 113 cod. proc. civ.,
comma 2, come sostituito dal d.l. 6 febbraio 2003, n. 18, art. 1,

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insorta sulla regola di decisione (sotto il profilo della individuazione del

convertito con modificazioni dalla 1. 7 aprile 2003, n. 63, con la
conseguente impugnabilità con il mezzo dell’appello;
– avendo il giudice di pace errato nell’individuazione della regola di
decisione, si è avuta la nullità della sentenza di primo grado, ma, dato
quanto sopra, per effetto della disciplina propria dell’impugnazione alla

rinnovazione della decisione da parte del giudice di appello sulla base
di una motivazione in diritto;
– giova aggiungere che in nessun caso si potrebbe fare riferimento al
principio di diritto affermato dalle sezioni unite di questa Corte nella
sentenza n. 13917 del 2006 – secondo cui l’individuazione del mezzo di
impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace
avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi
dell’art. 10 cod. proc. civ. e segg.) ed all’eventuale rapporto contrattuale
dedotto (contratto di massa o meno), e non del contenuto concreto
della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di
diritto), operando, invece, il principio dell’apparenza nelle sole residuali
ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale
valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto
concluso con le modalità di cui all’art. 1342 cod. civ. – posto che, nella
specie, lo stesso non è applicabile;
– trattandosi, invero, di sentenze emesse dal giudice di pace
successivamente al 2 marzo 2006 (sentenze del giudice di pace del
2008), il mezzo di impugnazione sarebbe stato, comunque, l’appello (v.
a contrario anche Cass. 27 settembre 2011, n. 19724), per quanto a
motivi limitati;
– infatti, dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al d.lgs. n. 40 del
2006, e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili
e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge che, riguardo alle
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quale il tribunale era tenuto a conformarsi, è conseguita la

sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua
giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto
dell’art. 339 cod. proc. civ., comma 3, è l’unico rimedio impugnatorio
ordinario ammesso (se si esclude la revocazione per motivi ordinari:
cfr. Cass., ord. 4 giugno 2007, n. 13109; Cass., ord. 24 aprile 2008, n.

– conclusivamente, è corretta la decisione del giudice di appello che,
investito dell’impugnazione da parte dell’Enel Distribuzione spa,
riscontrando l’erroneità delle decisione secondo equità, ha provveduto
alla rinnovazione della decisione sulla base di una motivazione in
diritto;
– né può convenirsi con parte ricorrente che il giudice di appello,
provvedendo alla rinnovazione della decisione secondo diritto, avrebbe
esorbitato dai poteri allo stesso concessi, per la mancata impugnazione,
in punto di nullità della sentenza del giudice di pace, da parte
dell’appellante, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza
di primo grado;
– da un lato, infatti, deve rilevarsi che proprio nella parte iniziale
dell’atto di appello si rinviene il presupposto della impugnazione con
l’appello della sentenza perché relativa a contratti conclusi con le
modalità di cui all’art. 1342 cod. civ.; ciò implicando induttivamente la
contestazione della sentenza pronunciata secondo equità; rilievo
questo peraltro già avanzato nel giudizio di primo grado e, quindi,
patrimonio indiscusso del fatto processuale; peraltro, la sentenza del
giudice di pace è stata appellata anche sotto ulteriori profili di merito,
in ordine alla responsabilità dell’Enel Distribuzione spa; ragione per la
quale non è predicabile alcuna ipotesi di giudicato, come sostenuto da
parte ricorrente;

Ric. 2012 n. 03610 sez. M3 – ud. 08-05-2013
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10775);

- dall’altro, deve rilevarsi che la regola da adottarsi ai fini della
decisione (diritto od equità) è questione di rito svincolata dalla relativa
impugnazione sul punto, e rimessa al rilievo officioso del giudice, il
quale, in sede di appello, se non ricorrano le ipotesi di cui agli artt. 353
e 354 cod. proc. civ., per l’effetto devolufivo dell’appello, dovrà

– non si tratta, infatti, di vizi che postulano una loro deduzione con il
mezzo di impugnazione – e quindi il rilievo di parte, ma delle regole
processuali con le quali deve essere deciso il giudizio (v. anche, seppure
in diverse fattispecie – ma sempre riferibili al principio enunciato, Cass.
29 gennaio 2010, n. 2053; Cass. 21 maggio 2010, n. 12455; Cass. 22
settembre 2006, n. 20636).
4. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di
legittimità regolate dalla soccombenza.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi €
600,00, di cui € 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile
della Corte suprema di cassazione, addì 8 maggio 2013.

procedere a rinnovare la decisione applicando la corretta regola;

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