Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15838 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 08/06/2021), n.15838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3613-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

VAILOG SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

GRAZIOLI 29, presso lo studio dell’avvocato ROSSELLA CERVINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO MARRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1748/2016 della COMM. TRIB. REG. EMILIA

ROMAGNA, depositata il 28/06/2016; udita la relazione della causa

svolta nella camera di consiglio del 17/11/2020 dal Consigliere

Dott. FULVIO FILOCAMO;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso avverso sentenza CTR di Bologna n.

1748/2016 R. Sent. depositata il 28/6/2016.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Con decreto di trasferimento del tribunale di Piacenza il giudice dell’esecuzione il 13 luglio 2006 trasferiva alla società Agricola Pievetta s.r.l. un fondo agricolo. Nell’atto venivano richieste le agevolazioni fiscali derivanti dal D.Lgs. n. 99 del 2004 e dalla L. n. 604 del 1954 così versando l’imposta fissa di registro ed ipotecaria, nonchè l’imposta catastale nella misura dell’1/0 sul valore dichiarato previste per gli acquisti effettuati da coltivatori diretti.

1.1. L’Agenzia delle entrate, disconoscendo dette agevolazioni, notificava il 9 giugno 2011 un avviso di liquidazione ai fini del recupero dell’imposizione ordinaria per decadenza dalle stesse per effetto di un successivo contratto di compartecipazione agraria stipulato dalla Società aggiudicataria con il precedente proprietario, così interrompendo – prima del quinquennio previsto dalla L. n. 504 del 1954, art. 7 – la coltivazione diretta del fondo.

1.2. La Società contribuente impugnava l’atto impositivo di fronte alla Commissione tributaria provinciale di Piacenza che respingeva il ricorso, quindi proponeva appello alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna la quale, con sentenza n. 1748 del 2016, lo accoglieva ritenendo che il contratto di compartecipazione agraria non avesse interrotto la coltivazione diretta del fondo perchè la Società era rimasta onerata di una serie di attività inequivocabilmente agricole ex art. 2135 c.c. dirette all’attività di coltivazione nell’accezione specifica dell’art. 2135 c.c., comma 2.

1.3 Avverso questa decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

1.4 Il controricorrente ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. L’Agenzia delle Entrate, con il primo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1954 e succ. modif., artt. 4 e 7, ed degli artt. 1362 e 2135 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nell’applicare i criteri normativi di interpretazione del contratto di compartecipazione agraria sia sul dato testuale che su quello della ricerca della comune intenzione delle parti contraenti.

2.1. L’Ufficio, con il secondo motivo, denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, costituito dal mancato esame della circostanza dell’omessa coltivazione del fondo, desumibile dalla corretta interpretazione delle clausole contrattuali secondo le quali la Società si sarebbe onerata di parte dei costi di coltivazione senza partecipare direttamente a dette attività le quali sarebbero state a carico del solo associato e precedente proprietario che, a sua volta, era autorizzato ad avvalersi dell’opera di terzi.

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui “L’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra” (Cass. nn. 31122 del 2017, 19044 del 2010, 5273 e 4178 del 2007).

3.2. Rispetto al secondo motivo, dalla lettura della sentenza impugnata emerge, diversamente da quanto lamentato, che il fatto – ritenuto non esaminato – è stato oggetto di valutazione da parte dei giudici di secondo grado i quali danno conto della partecipazione della Società all’attività di coltivazione del fondo attraverso la partecipazione alle spese con una precisa suddivisione delle voci, tutte da ricomprendersi nelle azioni necessarie per la “cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso” ai sensi dell’art. 2135 c.c.

3.3. Sulla base di queste considerazioni la sentenza impugnata appare immune dai vizi rappresentati.

4. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità liquidate in 10.000,00 Euro per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale da remoto, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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