Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15837 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 29/07/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4618 – 2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che Io rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

D.C.G.;

– intimato –

nonchè da:

D.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorso e ricorso incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 783/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 28/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. DI IASI CAMILLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso

incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti di D.C.G. (che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale) per la cassazione della sentenza n. 783/40/09 con la quale, in controversia concernente impugnazione del diniego di condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, la CTR del Lazio ha accolto l’appello del contribuente affermando che anche con riguardo al condono di cui al citato art. 9 bis l’omesso o ritardato pagamento delle rate successive alla prima non comporta l’invalidità del condono ma solo l’iscrizione a ruolo delle somme non versate maggiorate della relativa sanzione e degli interessi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

L’Agenzia ricorrente censura con una unica complessiva doglianza la sentenza impugnata dolendosi del fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto di poter parificare, quanto agli effetti del mancato o ritardato pagamento delle rate successive alla prima, il condono di cui all’art. 9 bis alla diversa ipotesi disciplinata dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, senza considerare che nel primo caso il perfezionamento e l’efficacia del condono restano condizionati all’integrale e tempestivo pagamento di tutte le rate previste.

La censura è fondata alla luce dell’ormai univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale il condono previsto dalla L. n. 289 del 2012, art. 9 bis, relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 15 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9 bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del terzo comma, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato dall’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo se tale condizione venga rispettata, essendo pertanto da ritenersi insufficiente il mero pagamento della prima rata (v. tra le molte Cass. n. 10650 del 2013).

Col primo motivo di ricorso incidentale, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e L. n. 241 del 1990, art. 3, il contribuente, rilevato che col ricorso introduttivo, oltre a denunciare violazione del D.Lgs. n. 289 del 2002, art. 9 bis, aveva denunciato la mancanza di motivazione dell’atto di diniego anche in relazione alla dedotta incomprensibilità di quanto emergente dai prospetti di calcolo allegati; che il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso motivando solo in relazione alla dedotta violazione dell’art. 9 bis citato; che, essendo stata l’eccezione riproposta in appello, i giudici della C.T.R., “assorbito ogni altro motivo dedotto dalle parti”, in riforma della sentenza impugnata, avevano dichiarato illegittimo il provvedimento di diniego, così implicitamente respingendo l’eccezione di illegittimità dell’atto opposto per carenza di motivazione, e chiede a questo giudice di dire se sia legittima la sentenza che implicitamente respinga il motivo d’appello dedotto dal contribuente in relazione alla eccepita nullità dell’avviso per carenza di motivazione in quanto la motivazione in esso riportata non era idonea a spiegare nè i presupposti di fatto nè le ragioni giuridiche fondanti i prospetti allegati all’atto di diniego.

Col secondo motivo il ricorrente incidentale deduce omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e cioè circa la dedotta illegittimità dell’atto impugnato per carenza di motivazione.

I due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono, anche prescindendo dalle relative modalità di formulazione, inammissibili per le ragioni di seguito esposte.

Come risulta dalla sentenza impugnata, i giudici d’appello, dopo aver esplicitato che erano stati proposti vari motivi di impugnazione (tra i quali anche il difetto di motivazione dell’avviso di diniego opposto), hanno dichiarato l’illegittimità del suddetto avviso in virtù della prospettata interpretazione del citato art. 9 bis, ritenendo assorbiti gli altri motivi. In tal modo i suddetti giudici non sono incorsi nè in violazione di legge nè in vizio di motivazione.

Non esiste invero una definizione normativa dell’assorbimento, trattandosi di istituto nato nella pratica giudiziaria che con questo termine ha finito per indicare fenomeni spesso assai diversi fra loro.

In linea generale si può affermare che l’assorbimento si verifica quando il giudice è chiamato a decidere su più domande legate in concreto da un nesso logico tale che il rigetto o l’accoglimento di una di esse renda superfluo l’esame e la decisione sull’altra: esso si configura come un metodo logico – argomentativo di decisione delle questioni e comporta in concreto l’omessa pronuncia su alcune delle domande proposte, a seguito della decisione su altra domanda, ritenuta “assorbente”.

Si parla talora di assorbimento nei casi in cui la decisione sulla domanda cd. assorbente comporta un implicito rigetto di altre domande (fondate ad esempio su presupposti antitetici), oppure (impropriamente) nelle ipotesi in cui, dopo la decisione cd. assorbente, non vi è più necessità di provvedere sulle altre questioni (ad es.: rigetto della impugnazione principale in rapporto alle impugnazioni incidentali condizionate), oppure non vi è più possibilità di farlo (ad es.: decisione con la quale si dichiara il difetto di giurisdizione, l’incompetenza del giudice adito, l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio), dovendo peraltro rilevarsi che di certo impropriamente si ravvisa l’assorbimento nei casi di “pregiudizialità”, in cui è la stessa disciplina processuale a stabilire gli affetti della decisione sulla questione “pregiudicata”.

L’ipotesi in cui però più frequentemente la giurisprudenza ha ritenuto la sussistenza di un caso di assorbimento è quella in cui la decisione sulla domanda cd. “assorbita” diviene, come nella specie, superflua perchè la parte non vi ha più interesse, avendo già con la decisione cd. “assorbente” ottenuto la tutela richiesta.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha “teorizzato” poco sull’argomento (Cass. n. 3469 del 1976 distingue un assorbimento inteso come preclusione da un assorbimento inteso come rigetto) e si è soffermata soprattutto sull’assorbimento dei motivi di ricorso per cassazione (ad esempio affermando – v. Cass. n. 13259 del 2006 – che esso postula che la questione prospettata col motivo assorbito si presenti incondizionatamente irrilevante, al fine della decisione della controversia, a seguito dell’accoglimento di un altro motivo, e, pertanto, non è configurabile ove la questione stessa possa diventare rilevante in relazione ad uno dei prevedibili esiti del giudizio di rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza impugnata per il motivo accolto), tuttavia in concreto l’istituto dell’assorbimento è sempre stato frequentemente utilizzato in giurisprudenza, ed in una serie di situazioni assai eterogenee. Sia pure indirettamente, è possibile ricostruire le varie ipotesi in cui si è ritenuto di fare ricorso all’assorbimento sulla base della giurisprudenza formatasi con riguardo all’art. 346 c.p.c., in relazione alla necessità, per la parte pienamente vittoriosa nel merito, di riproporre in appello le eccezioni e le domande disattese o assorbite.

Con riguardo al giudizio di legittimità, la giurisprudenza ha affermato l’inapplicabilità del citato art. 346, rilevando che sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all’esito di tale declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio (v. Cass. 1566 del 2011).

In particolare, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha avuto modo di precisare che la parte totalmente vittoriosa in appello è legittimata a proporre ricorso incidentale solo nella ipotesi in cui intenda riproporre in cassazione l’eccezione del giudicato interno, mentre in tutti gli altri casi è priva di interesse processuale al ricorso. Tale parte può, con riferimento alle domande od eccezioni espressamente non accolte dal giudice di merito, proporre ricorso incidentale condizionato all’accoglimento, almeno parziale, del ricorso principale, giacchè in tale ipotesi, per effetto della cassazione della sentenza impugnata, viene meno la sua posizione di parte del tutto vittoriosa, sorgendo, in tal modo, l’interesse all’impugnazione, mentre, per le domande o eccezioni non esaminate, o ritenute assorbite dal giudice di merito, non è ammissibile neppure il ricorso incidentale condizionato, in quanto sul punto non è stata pronunciata alcuna decisione, sicchè l’eventuale accoglimento del ricorso principale comporta pur sempre la possibilità di riesame nel giudizio di rinvio di dette domande o eccezioni (cfr. Cass. n. 1691 del 2006 e v. anche Cass. n. 18677 del 2011).

Da quanto sopra esposto consegue che il ricorso principale deve essere accolto e quello incidentale deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata con rinvio anche per le spese alla C.T.R. del Lazio in diversa composizione.

PQM

Accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla C.T.R. del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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