Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15836 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 29/07/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 29/07/2016), n.15836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaelle – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13461-2010 proposto da:

B.R.M. in proprio e quale coerede di M.E.,

M.S., elettivamente domiciliati in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, rappresentati e difesi

dagli avvocati PIER CESARE TACCHI VENTURI, TIZIANO LUCCHESE giusta

delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 70/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 12/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. CRICENTI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I due ricorrenti sono soci di società nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate ha accertato un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato.

L’accertamento nei confronti della società è diventato definitivo. Conseguentemente, l’Agenzia ha imputato ai soci il reddito di partecipazione nei limiti della loro quota, con diverso ed autonomo atto impositivo.

Entrambi hanno impugnato la rideterminazione che del reddito aveva fatto l’Agenzia nei loro confronti sul presupposto dell’accertamento definitivo a carico della società.

La Commissione provinciale ha accolto i ricorsi, ma la decisione è stata riformata in appello. Avverso tale pronuncia i due soci propongono ricorso per cassazione deducendo difetto di motivazione relativamente alla quantificazione del reddito da partecipazione, e violazione di legge quanto alla nullità degli avvisi di accertamento, che genericamente indicherebbero solo l’aliquota minima e quella massima, e non già quella in concreto applicata.

Si è costituita l’Agenzia ma senza proporre controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La decisione impugnata essenzialmente, se non esclusivamente, fa leva sulla esistenza del giudicato nei confronti della società, per dire che l’accertamento conseguente verso i soci è dunque del tutto legittimo, ed ogni questione di merito è conseguentemente preclusa.

Questo argomento comporta l’assorbimento di ogni altra questione pur posta dagli appellanti.

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti fanno valere omessa motivazione sul punto decisivo dell’effettivo reddito di partecipazione alla società, di cui contestavano l’ammontare stimato dal Fisco. Essi, con appello incidentale, avevano posto la questione della inesistenza di redditi, da partecipazione sociale, almeno nella misura presunta dall’Agenzia. Punto, questo, su cui la sentenza di appello non avrebbe deciso.

Il motivo è inammissibile, in quanto manca l’indicazione del fatto controverso e decisivo su cui sarebbe omessa la motivazione, e conseguentemente l’illustrazione delle ragioni che rendono quel fatto rilevante ex art. 360 c.p.c..

Il motivo è comunque infondato, dal momento che la decisione di secondo grado rigetta implicitamente la questione, ritenendola preclusa dall’accertamento, passato in giudicato, del maggior reddito della società. Ed è regola affermata da questa Corte che il dovere del giudice di decidere sul fatto controverso e rilevante è da ritenersi assolto anche con una pronuncia implicita (Sez. 1^, n. 12990 del 2009).

2. – Con il secondo e terzo motivo, i ricorrenti denunciano omessa motivazione e violazione del D.P.R. del 1973, art. 42. In appello essi avevano denunciato la nullità dell’avviso di accertamento perchè indicava solo l’aliquota minima e quella massima, e non già quella in concreto applicata. Sostengono che la sentenza non ha adeguatamente motivato sul punto, o che, (terzo motivo) facendolo, ha erroneamente interpretato l’art. 42.

Il terzo motivo è fondato ed assorbe il secondo.

E’ pacifico che l’avviso di accertamento non indica quale sia stata in concreto l’aliquota applicata, ma si limita a indicare quella minima e quella massima.

E’ regola affermata da questa Corte che: “secondo la assolutamente prevalente giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento che non riporti l’aliquota applicata, ma solo l’indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, il quale richiede che sia evidenziata l’aliquota applicata su ciascun importo imponibile, al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all’ausilio di un esperto. L’omissione di tale indicazione determina la nullità dell’atto, ai sensi dell’art. 42 cit., comma 3 senza che sia consentita una valutazione di merito circa l’incidenza che essa abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente” (Cass. n. 7635 del 2014; Cass. ord. n. 26430 del 2011; Cass., n. 15381 del 2008).

La circostanza evidenziata pure dalla giurisprudenza di questa corte, secondo cui, è onere tuttavia del contribuente dimostrare di non aver potuto ricavare dall’avviso notificatogli quale sia stata in concreto l’aliquota applicata (Sez. 5^, n. 17362 del 2009), è superata dal fatto che nell’avviso risulta indicata la sola aliquota progressiva, e che dunque non risultano indicati dati immediatamente utilizzabili dal contribuente, cui era al contrario integralmente rimesso il calcolo degli scaglioni di reddito, con ricerca autonoma delle aliquote applicabili ratione temporis, quindi con violazione dei principi di chiarezza sopra ricordati.

Va dunque accertato dal giudice di rinvio se, alla luce del suesposto principio di diritto, potesse ricavarsi dal tenore dell’avviso e dagli atti portati a conoscenza dei contribuenti, quale sia stata la aliquota applicata in concreto.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo e dichiara inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione Tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione che provvederà altresì alla liquidazione delle spese.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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