Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15836 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 23/07/2020), n.15836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32855-2018 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PAOLO ESPOSITO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SCARL, in persona del curatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 32,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SILVESTRI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ERRICO EDUARDO CHIUSOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1886/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE

LOREDANA.

 

Fatto

RILEVATO

– che la Corte d’appello di Napoli con sentenza del 26 aprile 2018 ha respinto l’appello proposto da F.R. nei confronti del Fallimento (OMISSIS) soc. cons. a r.l., avverso la sentenza del Tribunale della stessa città pubblicata in data 22 novembre 2016, con la quale l’amministratore è stato condannato al risarcimento dei danni cagionati con la propria condotta e quantificati in Euro 158.817,65, pari al passivo fallimentare, oltre accessori;

– che contro questa sentenza propone ricorso il F., affidato a due motivi;

– che si difende con controricorso il Fallimento;

– che il ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RITENUTO

– che il ricorso deduce:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 112,329,342 e 346 c.p.c., con violazione del giudicato interno, per avere il giudice del merito deciso in ordine a condotte non dedotte nell’atto di appello e mai allegate dalla curatela attrice, la quale aveva sempre affermato che le omissioni circa la tenuta delle scritture contabili, imputate all’amministratore, avevano reso impossibile al fallimento di provare il nesso causale, come risulta dalla comparsa conclusionale della procedura, depositata in primo grado;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2043,2392,2393 e 2394 c.c., per avere la sentenza confermato la condanna al risarcimento del danno in misura pari al passivo fallimentare, invece che individuare il danno riconducibile alla condotta gestoria;

– che la corte del merito ha affermato, per quanto ancora rileva, quanto segue:

a) l’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata dalla procedura, per avere il medesimo inteso solo denunciare un error in procedendo e non attaccare il merito, è infondata, avendo l’appellante denunziato anche l’ingiustizia nel merito della decisione, con riguardo alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra condotte e danno;

b) in punto di fatto, l’amministratore unico ha omesso il deposito, innanzi al tribunale fallimentare, dei bilanci, delle scritture contabili ed obbligatorie, nonchè dell’elenco dei creditori, come pure di chiarire la sorte delle disponibilità liquide (Euro 219.482) e dei crediti (Euro 359.404), pur risultanti dal bilancio del 2008, l’unico depositato presso il registro delle imprese; infatti, l’amministratore ha omesso di redigere i bilanci dal 2009 al 2011 e di tenere di registri obbligatori a fini fiscali, continuando, altresì, ad esercitare l’attività d’impresa, nonostante la perdita del capitale sociale;

c) inoltre, il F. ha affermato che il fallimento è derivato dall’insolvenza della Air Tecno Consulting s.r.l., la quale avrebbe dovuto, quale società consorziata, ribaltare i ricavi sulla (OMISSIS) s.c.r.l.; infatti, la società consortile è stata costituita nel 2007 per realizzare alcuni edifici nel polo scientifico e tecnologico in appalto pubblico, ultimati nel 2008; pertanto, secondo la corte del merito, il passivo risultante nella procedura fallimentare della (OMISSIS) è derivato proprio dalla mancata esazione del credito verso la consorziata maturato nel 2008, sino alla data del fallimento di questa, dichiarato il 3 febbraio 2011, con condotta inerte che è stata causa dell’insolvenza, dal momento che alla data del 31 dicembre 2008 il patrimonio della società consortile era ancora largamente positivo;

d) sebbene la curatela non abbia allegato, a fondamento della domanda risarcitoria, lo specifico comportamento omissivo in questione, esso è insito nella denunzia di avere questi omesso ogni attività di amministrazione sin dall’anno 2009, quando cessò del tutto di gestire la (OMISSIS) s.c.r.l., in tal modo ponendo in essere una condotta gravemente contraria ai doveri della carica, avendo avuto il mancato deposito dei bilanci e delle scritture il fine di occultare anche l’omissione di iniziative necessarie per riscuotere il credito;

– che, ciò posto, il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, dal momento che la corte del merito ha ben chiarito le ragioni del proprio convincimento interpretativo in ordine alla domanda, ed ai fatti costitutivi della medesima, proposta dal fallimento: laddove essa ha precisato che il fatto specifico – omessa attivazione nella riscossione del credito verso la debitrice società consorziata – era incluso nella generale allegazione di omissione di qualsiasi attività gestoria dovuta da parte dell’amministratore sin dal 2009;

– che, in tal senso, l’interpretazione della domanda introduttiva resta affidata al giudice del merito (cfr. Cass. 13 agosto 2018, n. 20718);

– che, inoltre, in questa sede il ricorrente, che non riporta la domanda contenuta nell’atto di citazione, ma unicamente alcune affermazioni della comparsa conclusionale, in violazione, sul punto, dell’art. 366 c.p.c. – contro il costante principio secondo cui non si può desumere il concreto contenuto della domanda giudiziale dalla comparsa conclusionale la quale, ai sensi dell’art. 190 c.p.c., ha un carattere meramente illustrativo delle conclusioni già fissate (Cass. 25 febbraio 2019, n. 5402, fra le tante) – neppure ha formulato una censura ammissibile al riguardo; nè, si noti, il motivo può essere integrato, ove aspecifico, aliunde;

– che il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato, lamentando esso la determinazione del danno in misura pari al passivo fallimentare, tuttavia non cogliendo nel segno;

– che, invero, in punto di diritto, non ha errato il giudice del merito nel determinare il danno in tal modo, a fronte sia della ritenuta inerzia colpevole nell’incasso dell’ingente credito (circa Euro 141.000, secondo il ricorrente), sia della completa omissione di tenuta delle scritture e dei bilanci societari successivi al 2008, nonchè di ogni spiegazione dell’a.u. con riguardo alle ingenti poste attive (disponibilità liquide e crediti) nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2008, sia, infine, dell’addebito ulteriore di essere proseguita l’attività sociale, pur dopo la riduzione del capitale al di sotto del limite legale: dal momento che, come questa Corte ha già chiarito, il criterio basato sulla nominata differenza può ben essere utilizzato quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne esistano le condizioni, ovvero sussista la prova di un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo (cfr. Cass., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100; e v. ora il nuovo art. 2486 c.c., introdotto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 378, che ha in sostanza recepito detto orientamento);

– che, al riguardo, giova altresì precisare come il criterio della liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., pur non espressamente enunciato, risulta proprio quello seguito dalla corte del merito per la sua liquidazione;

– che, in punto di giudizio sul fatto, il motivo è inammissibile, non potendo lo stesso essere riproposto in sede di legittimità;

– che le spese seguono la soccombenza, da pagarsi a favore dello Stato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133, in conseguenza dell’ammissione al patrocinio a spese dell’erario della parte risultata vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite – da eseguirsi a favore dello Stato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ex art. 133 – che liquida nella somma di 5.600, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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