Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15836 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/06/2017, (ud. 24/05/2017, dep.23/06/2017),  n. 15836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15188-2016 proposto da:

S.T., elettivamente domiciliato in ROMA, V. TARVISIO 2,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO CANONACO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIULIETTA CATALANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6611/9/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata l’11/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/05/2017 dal Consigiiere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.T. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 6611/09/2015, depositata in data 11/12/2015, con la quale – in controversia concernente le riunite impugnazioni di un avviso di accertamento, emesso per maggiori IRPEF ed addizionali regionali dovute in relazione all’anno d’imposta 2005, in seguito a rideterminazione in via sintetica del reddito imponibile, e della correlata cartella di pagamento – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso dei contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame del contribuente, hanno sostenuto che i giudici di prime grado avevano considerato sia le spese occorrenti per l’acquisto, dei beni-indice (due autovetture ed un immobile, in comproprietà con il coniuge, adibito ad abitazione principale) di maggiore capacità contributiva individuati dall’Ufficio, sia quelle necessarie al relativo mantenimento e che il contribuente non aveva, in ogni caso, provato di disporre di risorse economiche per il mantenimento dei beni acquistati.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha discosto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con due motivi, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, sia del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 sia dell’art. 115 c.p.c., essendo sufficiente per il contribuente dare dimostrazione dell’esistenza di redditi esenti o già sottoposti a tassazione separata, anche accumulati negli anni precedenti, idonei a provare la sussistenza di risorse sufficienti per giustificare gli incrementi patrimoniali contestati dall’Ufficio.

2. Le censure, da esaminare congiuntamente, sono infondate. Questa Corte (Cass. 25104/2014; Cass. 14885/2015) ha già affermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nella versione vigente ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata dei loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche dei fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alta fonte a titolo d’imposta”.

Nella specie, la C.T.R., nel richiamare la motivazione espressa dai giudici di primo grado, ha ritenuto che il contribuente non avesse fornito una idonea prova della disponibilità di redditi esenti o già sottoposti a tassazione per giustificare sia l’acquisto sia il mantenimento dei beni-indice individuati dall’Ufficio ed il ricorrente non deduce di avere offerto in sede di merito documentazione adeguata (richiama invero la disponibilità di un conto corrente, al 31/12/2004, un estratto conto titoli ed una donazione in denaro, documentata da dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ricevuta dai suocere, cfr. Cass. 916/2016: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio accerti induttivamente il reddito con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, il contribuente, ove deduce che l’incremento patrimoniale sia frutto di liberalità (nella specie, ad opera della madre), è tenuto a fornirne la prova con documentazione idonea a dimostrare l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito”).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la socombenza.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 113 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza deí presupposti per il versamento. da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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