Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15835 del 19/07/2011

Cassazione civile sez. II, 19/07/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 19/07/2011), n.15835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M.R. C.F. (OMISSIS), I.R.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SILVIO PELLICO 44, presso lo studio dell’avvocato DE SIMONE ANTONIO

FERDINANDO, rappresentati e difesi dall’avvocato ARCELLA RAFFAELE;

– ricorrenti –

contro

M.D. C.F. (OMISSIS), F.M.C. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE

10 9, presso lo studio dell’avvocato MONDELLI DONATO, rappresentati e

difesi dagli avvocati IANNUZZI CLAUDIO, TIZZANI VINCENZO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 672/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato Roberto Arcella con delega depositata in udienza

dell’Avv. Arcella Raffaele difensore dei ricorrenti che ha chiesto di

riportarsi agli scritti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 23-9-1996 i coniugi M. D. e F.M.C., premesso di essere proprietari di un appartamento a piano terra, facente parte di una villa a schiera bifamiliare situata in (OMISSIS), convenivano dinanzi al Pretore di Manfredonia i coniugi I.R. e M.M.R., assumendo che questi ultimi, proprietari dell’appartamento sovrastante, avevano abusivamente costruito sul lastrico solare un bagno. Essi deducevano che tale sopraelevazione aveva arrecato gravi danni al loro appartamento, quali il propagarsi dell’umidità sulle pareti e sul soffitto e la presenza di crepe e lesioni sui muri perimetrali, dovute al peso del manufatto.

Nel far presente di aver già chiesto e ottenuto provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. e che era loro intendimento promuovere il giudizio di merito, gli attori chiedevano la condanna dei convenuti alla demolizione della sopraelevazione ed al risarcimento danni.

Nel costituirsi, i convenuti contestavano la fondatezza della domanda e ne chiedevano il rigetto.

Con sentenza depositata il 29-11-2011 il Tribunale di Foggia, Sezione Distaccata di Manfredonia, divenuto competente a seguito della soppressione delle Preture, accoglieva la domanda di demolizione della sopraelevazione, rigettando invece quella di risarcimento danni.

Con sentenza depositata il 30-6-2005 la Corte di Appello di Bari rigettava l’appello proposto avverso la predetta decisione dai convenuti.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono lo I. e la M., sulla base di cinque motivi.

Il M.D. e la F. resistono con controricorso.

In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Nella memoria ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del controricorso, evidenziando da un lato che tale atto è formulato in termini del tutto generici, essendosi i resistenti limitati a dare “per conosciuti i fatti di causa” e a lamentare che il ricorso non si svilupperebbe su nuovi elementi, e dall’altro che la procura rilasciata a margine del controricorso difetta del requisito di specificità, essendo riferita, in modo del tutto avulso dallo schema del giudizio di legittimità, ad “ogni fase, stato e grado del presente giudizio”.

L’eccezione è infondata, dovendosi rilevare, sotto il primo profilo, che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, nel giudizio per cassazione, per l’ammissibilità del controricorso, sono necessari gli elementi indispensabili per la sua identificazione (l’indirizzo alla Corte, l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata) e per la validità della costituzione nel processo (la sottoscrizione di un avvocato iscritto all’albo munito di procura e l’indicazione della procura), mentre sono rimessi alla prudente valutazione della parte l’esposizione, più o meno analitica, dei fatti della causa e delle ragioni dedotte per contrastare i motivi addotti (Cass. 28-5-2010 n. 13140; Cass. 2-2-2006 n. 2262; Cass. 11-1- 2006 n. 241); con la conseguenza che il controricorrente ha la possibilità di svolgere, più o meno diffusamente, le ragioni per le quali intende contraddire, senza che la omessa esposizione dei fatti di causa e la contestazione dei motivi comporti la inammissibilità del controricorso (Cass. S.U. 4-2-1997 n. 1049).

Nel caso in esame, pertanto, non può ritenersi l’inammissibilità del controricorso, con il quale i resistenti, nel dare “per conosciuti i fatti oggetto di causa”, così come susseguitisi nelle varie fasi del giudizio, hanno contestato la fondatezza del ricorso, deducendo che tale atto “non si sviluppa su nuovi elementi”, ma “non è altro che una articolata ripetizione …di quanto già riportato nell’atto di appello e nella comparsa conclusionale rassegnata in detto giudizio”, e che, comunque, “tutti i motivi di ricorso, proposto da controparte, attengono al merito e non sollevano concrete e disattese questioni di legittimità”.

Sotto il secondo profilo, si osserva che, secondo un principio pacifico in giurisprudenza, la procura rilasciata a margine del ricorso (o del controricorso) per cassazione, costituendo corpo unico con l’atto cui inerisce, esprime necessariamente il suo riferimento a questo e garantisce il requisito della specialità del mandato al difensore; sicchè restano irrilevanti sia la mancanza di uno specifico riferimento al giudizio di legittimità, sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà rapportabili al giudizio di merito (tra le tante v. Cass. 25-6-2007 n. 14711; Cass. 21-4-2006 n. 9360; Cass. 5-12-2003 n. 18648).

2) Passando all’esame dei motivi di ricorso, si osserva che con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 345 e 157 c.p.c. Deducono che la Corte di Appello ha errato nel ritenere inammissibile il motivo di appello con cui si censurava il contenuto della relazione di consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, sul rilievo che le eventuali critiche all’operato del C.T.U. avrebbero dovuto essere proposte nel giudizio di primo grado, nel corso delle operazioni peritali o, al massimo, nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione. Sostengono, infatti, che il codice di rito non prevede alcun limite cronologico per le censure di merito alla consulenza tecnica d’ufficio. Fanno altresì presente che non poteva ritenersi preclusa la produzione in appello della perizia di parte, non costituendo la stessa un mezzo di prova, ma una mera allegazione difensiva.

Con il secondo motivo i coniugi I. – M. lamentano l’insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine all’ordinanza comunale n. 113 del 2-8-2002, con la quale il Sindaco di Manfredonia revocava la precedente ordinanza di sgombero emessa il 29-4-2002, affermando che non sussistevano altri motivi di carattere statico che impedivano l’utilizzazione dell’immobile in questione. Deducono che la Corte territoriale ha omesso di motivare sulla circostanza che tale provvedimento non era stato adottato esclusivamente sulla base della perizia dell’ing. P., ma anche sul parere favorevole dell’Ufficio Tecnico Comunale, ed ha omesso di indicare i dati di discrepanza tra la situazione reale dei luoghi e quella rappresentata dal tecnico di parte.

Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell’insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia. Sostengono che il C.T.U. nulla ha detto a proposito delle strutture portanti in cemento armato del fabbricato, non essendo mai stato effettuato alcun saggio su tali strutture; e che, pertanto, si sarebbe resa necessaria la rinnovazione delle indagini tecniche, previa aequisizione dei progetti e dei calcoli delle strutture portanti presso il Genio Civile.

Con il quarto motivo viene dedotta la mancanza assoluta di motivazione e la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sui motivi di appello con i quali si evidenziava l’erroneità dei calcoli operati dal C.T.U. con riferimento alla massa lineica, al peso delle travi e a quello del massetto di pendenza.

Con il quinto motivo, infine, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 c.p.c. e dell’art. 4, comma 1 della tariffa professionale approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, risultano eccessive le competenze liquidate in primo grado sia per diritti che per onorari, e che lo scaglione da applicare era quello previsto per le cause di valore non superiore ai 10.000.000 delle vecchie L..

3) I primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente, per ragioni di connessione.

La Corte di Appello, pur avendo ritenuto inammissibili, in quanto non proposte in primo grado, le censure mosse dagli appellanti alla consulenza tecnica d’ufficio sulla base della perizia tecnica redatta dal loro consulente di fiducia, ha proceduto al loro esame nel merito, rilevandone l’infondatezza.

Nel pervenire a tali conclusioni, la Corte territoriale ha dato ampio conto delle ragioni della ritenuta inidoneità dei rilievi tecnici svolti dagli appellanti ad inficiare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, da cui è emerso lo stato di estrema precarietà statica in cui già versava l’immobile per cui è causa a cagione della natura sabbiosa del terreno sottostante e della presenza di una falda acquifera posta a m. 1,5 dal piano di calpestio, nonchè l’aggravamento apportato a tale situazione dal peso della sopraelevazione eseguita dai convenuti. Il tutto sulla base di osservazioni logiche e non contraddittorie, con le quali è stata rimarcata la correttezza dei calcoli effettuati dal C.T.U. e, per converso, l’inattendibilità dei dati riportati nella perizia di parte, nella quale sono stati omessi i carichi di alcune parti della sopraelevazione ed è stato ridotto il peso di altri; con l’ulteriore rilievo che anche il ridotto aumento di peso prospettato dagli appellanti costituirebbe, comunque, un fattore di aggravamento della situazione preesistente, trovandosi già le fondazioni, in base al peso dell’originaria costruzione, al limite di sopportabilità e di pericolosità per la staticità, come attestato dalle indagini geologiche, dalle numerose crepe e lesioni risalenti e dalla rottura successiva delle apposite biffe riscontrate dal C.T.U. nel corso dell’ulteriore sopralluogo effettuato in sede di consulenza integrativa.

Allo stesso modo, la Corte di Appello ha sufficientemente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto ininfluente, ai fini della decisione, l’ordinanza emessa in data 2-8-2002 dal Sindaco di Manfredonia, con la quale veniva revocato il precedente provvedimento del 29-4-2002 di inagibilità dell’immobile, adottato a seguito di sopralluoghi in loco. Anche in tal caso, la valutazione espressa dal giudice di merito poggia su argomenti congrui, con i quali è stata evidenziata la scarsa affidabilità del provvedimento di revoca; e ciò in ragione del fatto che tale provvedimento è stato emesso sulla base della dichiarazione unilaterale di idoneità strutturale e di agibilità resa dal tecnico dei convenuti, senza un preventivo sopralluogo dei tecnici del Comune, e non reca alcuna indicazione circa il tipo e l’entità dei lavori di consolidamento delle fondazioni che sarebbero stati eseguiti in ottemperanza alla precedente ordinanza di inagibilità per assorbire la percentuale di aggravamento di peso arrecato dalla sopraelevazione alle strutture preesistenti.

Di qui il giudizio espresso dalla Corte territoriale circa la non necessità di procedere a nuove indagini tecniche e di disporre l’acquisizione dei grafici e dei calcoli delle strutture portanti dell’originario edificio presso il Genio Civile.

La decisione impugnata, pertanto, risulta frutto di una esauriente disamina delle emergenze processuali, con la quale è stata data sostanziale risposta alle deduzioni svolte dagli appellanti.

Ne consegue l’infondatezza del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, con i quali, a ben vedere, attraverso la formale prospettazione di vizi di motivazione e di omessa pronuncia, si intenderebbe sollecitare a questa Corte una diversa valutazione delle risultanze processuali, dimenticando che il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado, nel quale possano essere sottoposti al giudice di legittimità elementi di fatto già esaminati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento degli stessi.

Il primo motivo di ricorso resta superato, dal momento che, come si è rilevato, la Corte di Appello non si è limitata a ritenere inammissibili i rilievi tecnici mossi dagli appellanti alla consulenza tecnica di ufficio, ma li ha disattesi nel merito, con valutazione immune dai vizi denunciati dai ricorrenti nei successivi tre motivi.

4) Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, la parte che lamenti con ricorso per cassazione l’onerosità della liquidazione delle spese processuali e la violazione della tariffa, deve specificare gli errori commessi dal giudice, precisando ciò che ritiene non dovuto o liquidato in eccesso; sicchè e inammissibile il ricorso con il quale il ricorrente si limiti a dedurre il puro e semplice superamento della tariffa massima, avendo egli invece l’onere di specificare le voci per le quali vi sarebbe stato tale superamento, in modo di consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (tra le tante, Cass. 29-1-2003 n. 1382; Cass. 11-2-2004 n. 2626; Cass. 16-2-2007 n. 3651; Cass. 7-8- 2009 n. 18086).

Nella specie, i ricorrenti si sono limitati ad indicare gli importi complessivi liquidati dal giudice di primo grado (L. 5.700.000 per diritti e L. 4.000.000 per onorari), senza specificare le singole voci liquidate in eccesso rispetto ai massimi tariffari. Ciò impedisce a questa Corte di accertare la sussistenza o meno della denunciata violazione di legge relativa alla inderogabilità dei massimi previsti dalla tariffa professionale applicabile alla fattispecie.

5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.400,00, oltre Euro 200,00 per spese ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

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