Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15834 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 23/07/2020), n.15834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28768-2018 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 132, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CIGLIANO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EULEA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 27,

presso lo studio dell’avvocato MARCO CEROCCHI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PATRIZIA DIAMANTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1287/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE

LOREDANA.

 

Fatto

RILEVATO

– che con sentenza del 27 febbraio 2018, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione avverso la decisione di primo grado, che aveva a sua volta disatteso le domande proposte da I.A. contro la Eulea s.p.a., volte all’accertamento di una società di fatto tra le parti ed alla condanna a pagamenti vari;

– che avverso la sentenza viene proposto ricorso per cassazione dal soccombente, sulla base di un motivo;

– che vi resiste con controricorso la Eulea s.p.a..

Diritto

RITENUTO

– che il motivo si duole della “violazione degli arti 99, 100, 112, 116, 132 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c.”, per avere la corte del merito: negato l’ingresso alle prove offerte dall’attore, con omesso esame delle fatture depositate e mancata pronuncia sulla prova testimoniale richiesta; non ammesso la prova testimoniale, intendendo la causa proposta come volta al mero regolamento dei reciproci debiti e crediti, senza decidere sulla domanda vertente sulla società di fatto, con violazione dell’art. 112 c.p.c.; omesso esame di fatto decisivo, consistente nel conferimento eseguito dal socio di fatto; mancato espletamento della richiesta c.t.u.;

– che la corte del merito, per quanto ora rileva, ha affermato che: a) i motivi di appello sono inammissibili, per difetto di specificità, in quanto non si confrontano con le asserzioni della prima sentenza; b) in ogni caso, i fatti dedotti dall’attore sono rimasti indimostrati, diffondendosi la corte d’appello sulle ragioni del convincimento così raggiunto: in particolare, essa ha osservato che i documenti sono stati depositati in giudizio senza adeguata allegazione ed illustrazione dei medesimi, al fine di poterne apprezzare la rilevanza, e che le prove testimoniali sono rimaste inammissibili ed ininfluenti nei capitoli articolati, in quanto in contrasto con le quietanze e generici, non illustrando essi in dettaglio gli importi, i destinatari delle forniture, le modalità e i tempi dei pagamenti asseritamente operati;

– che il motivo è manifestamente inammissibile, sotto più profili;

– che, invero, in primo luogo, esso giustappone una serie di critiche eterogenee, invocando norme affatto diverse – in tema di principi sulla domanda e sul contraddittorio, onere della prova, motivazione della sentenza – inammissibilmente confondendo fra loro quelli che avrebbero dovuto costituire, con la relativa illustrazione, i diversi motivi di ricorso: noto essendo che l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe dovuto essere prospettato come autonomo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate;

– che in tal senso questa Corte si è plurime volte pronunciata, statuendo che: “In materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse” (fra le tante, Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass. 17 marzo 2017, n. 7009);

– che, ancora, si è chiarito (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26874) come “In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro; infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali diposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse”;

– che, infatti, secondo principi consolidati, il ricorso per cassazione è ancorato ad uno dei cinque vizi del provvedimento impugnato, previsti dall’art. 360 c.p.c., cui ciascuna doglianza deve poter essere agevolmente ricondotta, la legge impone, altresì, l’indicazione delle norme violate, ed ogni motivo deve essere autosufficiente, ossia intellegibile da solo, senza il ricorso ad elementi esterni;

– che, pertanto, il ricorrente ha l’onere di indicare puntualmente, a pena di inammissibilità, le nonne asseritamente violate e l’esatto capo della pronunzia impugnata, prospettando altresì le argomentazioni intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, secondo l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni (e multis, Cass., sez. un., n. 25392/2019; Cass. n. 635/2015; Cass. n. 26307/2014; Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 22348/2007; Cass. n. 5353/2007; Cass. n. 4178/2007; Cass. n. 828/2007); ove rilevanti, inoltre, vanno indicati anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione, ai fini di consentire alla Corte la corretta sussunzione del fatto nelle norme che si assumono violate o erroneamente applicate (Cass. n. 16872/2014; Cass. n. 15910/2005);

– che, dunque, è inammissibile il ricorso, per violazione dell’onere di specificità dei motivi, allorchè il ricorrente si limiti al richiamo delle nonne asseritamente violate (Cass. n. 26561/2017, finanche ove accompagnate dalla sintetica rassegna di precedenti giurisprudenziali);

– che il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass., sez. un., n. 20501/2019; Cass. n. 454/2019; Cass. n. 447/2019; Cass. n. 22478/2018; Cass. n. 20910/2017; Cass. n. 17330/2015; Cass. n. 187/2014; Cass. n. 11984/2011);

– che, trattandosi di una inammissibilità che attiene alla forma-contenuto dell’atto (il ricorso per cassazione) e dipende dalla carenza degli elementi costitutivi necessari del motivo, essa ha carattere strettamente processuale, da valutare con riferimento al momento della proposizione del ricorso, nè l’inammissibilità iniziale potrebbe giammai essere sanata successivamente, con la memoria presentata ai sensi degli artt. 378/380-bis c.p.c. e ss.;

– che, in secondo luogo, il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha rilevato l’aspecificità ex art. 342 c.p.c. dei motivi ivi proposti: onde si profila un’ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso;

– che, in terzo luogo, il motivo non tiene conto della inammissibilità della deduzione del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in presenza di doppia conforme; quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale, che il giudice territoriale ha ritenuto i motivi inammissibili perchè contrari a documenti, generici, aspecifici: nè il ricorrente si confronta affatto neppure con tale motivazione; ed, infine, il motivo si palesa riproporre un giudizio sul fatto, inammissibile in sede di legittimità, con riguardo all’esistenza o no di una società personale tra le parti;

– che le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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