Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15822 del 23/07/2020
Cassazione civile sez. VI, 23/07/2020, (ud. 05/06/2020, dep. 23/07/2020), n.15822
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19669-2018 proposto da:
G.A. in proprio e nella qualità di erede di
L.R., L.G.L. nella qualità di erede di L.R.,
elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati VIERI DOMENICO
TOLOMEI, FRANCESCA TOLOMEI;
– ricorrenti –
Contro
BANCA POPOLARE DI INTRA SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2345/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 23/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott.
FRANCESCO TERRUSI.
Fatto
RILEVATO
che:
la corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 23-102017, in parziale accoglimento del gravame proposto dai coniugi L.R. e G.A., dichiarava inefficace nei confronti della Banca popolare di Intra s.p.a. l’atto di costituzione di un immobile in fondo patrimoniale per la quota di 1/2 di proprietà di Luppi, e condannava questi al pagamento della somma di 172.431,95 Euro quale fideiussore della società il Triangolo, invero fallita, nonchè dell’ulteriore somma di 73.652,73 Euro per debiti personali;
la G. e L.G.L., entrambi quali eredi di L.R. medio tempore deceduto, e la prima anche in proprio, hanno impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi;
la banca non ha svolto difese;
i ricorrenti hanno depositato una memoria.
Diritto
CONSIDERATO
che:
col primo mezzo i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo stata omessa la decisione in ordine all’eccezione di nullità dei contratti bancari di conto corrente e della fideiussione prestata da L.; nel medesimo contesto deducono poi, nel merito, la falsa applicazione degli artt. 1336,1418 c.c., art. 117 del T.u.b., della L. n. 154 del 1992, artt. 3 e 11;
il motivo è inammissibile;
in base a quanto rappresentato nel ricorso per cassazione, la questione della nullità dei contratti non era stata dedotta nel corso del giudizio di primo grado;
la corrispondente eccezione era stata invece per la prima volta formulata in appello, e per giunta “solo in comparsa conclusionale”;
ne consegue che giustappunto per tale ragione, e contrariamente a quanto ancora sostenuto nel ricorso, essa non era esaminabile dal giudice d’appello; è infatti consolidato il principio secondo cui la comparsa conclusionale ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte, sicchè, ove sia prospettata per la prima volta una questione nuova con tale atto nel procedimento di appello, implicante nuovi accertamenti in fatto, il giudice non può e non deve pronunciarsi al riguardo (v. Cass. n. 16582-05, Cass. n. 11175-02);
i ricorrenti, onde superare gli effetti del principio, hanno fatto riferimento al canone di generale rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali, da ultimo riscontrato dalla giurisprudenza della Corte;
tale indirizzo, prima ancora che sulle sentenze citate in ricorso, si incentra sull’affermazione resa dalle Sezioni unite con specifico riferimento ai giudizi di impugnativa negoziale, giacchè – si è detto – nel giudizio di appello e in quello di cassazione il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere a un siffatto rilievo (v. in particolare Cass. Sez. U n. 26242-14), salva però la distinzione tra “rilevazione” e “dichiarazione” di nullità, la quale ultima (la “dichiarazione”) è sempre condizionata alla formulazione della domanda di parte; insistere su tale orientamento non assume alcuna rilevanza nel caso di specie: per potersene trarre un qualche effetto sarebbe necessario stabilire che in concreto fosse percepibile dal giudice d’appello (e dunque rilevabile poichè ivi risultante dagli atti) il profilo di nullità tardivamente sollevato, dalla parte, nella comparsa conclusionale; e prima ancora sarebbe necessario apprezzare in quale specifico modo la questione avrebbe potuto porsi rispetto ai contratti de quibus;
su tutti questi profili il ricorso non soddisfa minimamente il fine di autosufficienza, poichè le specifiche allegazioni poste a sostegno della deduzione non risultano riportate neppure per estratto e poichè neppure risulta riportato, e men che meno prodotto insieme al ricorso (artt. 366 e 369 c.p.c.), il testo dei contratti di cui si discute;
egualmente inammissibile è il secondo motivo;
in questo caso è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in ordine “all’eccezione di errata configurazione della fattispecie contrattuale”, per gli effetti che ne dovrebbero conseguire quanto alla revocatoria parziale dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale;
la doglianza gli basa sull’assunto che, da un lato, non esisteva un credito della banca e che, dall’altro, “la costituzione del fondo non rappresenta(va) un atto a sè stante, ma (era) solo la conseguenza del collegato e pregiudiziale atto di assegnazione del bene al socio”;
sotto entrambi i profili la doglianza postula una censura di merito, essendo basata su affermazioni in fatto non riscontrate dall’impugnata sentenza – e la seconda è ben vero scarsamente comprensibile anche nel significato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020