Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15821 del 02/07/2010

Cassazione civile sez. I, 02/07/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 02/07/2010), n.15821

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1411/2009 proposto da:

F.C., C.V., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 18, presso lo studio dell’avvocato JAUS

Maria Luisa, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PERONACI VITTORIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G. 151/07 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

14.12.07, depositato il 20/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Umberto Richiello (per delega avv.

Maria Luisa Jaus) che si riporta agli scritti.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” F.C. e C.V. adivano la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Grosseto nel maggio 1994, definito dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza del 21.3.2006.

La Corte d’appello, con decreto del 20.12.2007, fissato il termine di ragionevole durata del giudizio in anni quattro, per il primo grado ed anni tre per il secondo grado, ritenuta insussistente la violazione per il secondo grado, liquidava per il periodo eccedente (anni sei), a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, _ 1.000,00 per anno di ritardo, quindi Euro 6.000,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto hanno proposto ricorso F. C. e C.V., affidato a due motivi; non ha svolto attività difensiva il Ministero della giustizia.

Osserva:

1.- I ricorrenti, con il primo motivo, denunciano violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 CEDU, (art. 360 c.p.c., n. 3), lamentando che la Corte d’appello non ha fatto riferimento all’intera durata del giudizio e pongono la questione così sintetizzata nel quesito:

se il giudice debba fissare la durata ragionevole del giudizio in tre anni per il primo grado e due per il secondo, in base al parametro della Corte EDU. Il secondo motivo deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 CEDU e difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ponendo la questione così sintetizzata nel quesito di diritto:

se il giudice nazionale debba quantificare il danno non patrimoniale avendo riguardo al parametro della Corte EDU, di Euro 1.500,00 per anno di ritardo.

2.- I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, e sono solo in parte manifestamente fondati, nei limiti di seguito precisati.

Alle questioni poste con le censure va data soluzione ribadendo i seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, in virtù dei quali: la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità;

siffatto parametro va osservato dal giudice nazionale e da esso è possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le tante, Cass. n. 4123 e n. 3515 del 2009);

benchè sia possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi (tra le molte, Cass. n. 23506 del 2008; n. 18720 del 2007; n. 17554 del 2006; n. 8717 del 2006; n. 28864 del 2005; n. 6856 del 2004), ciò che può fare escludere la sussistenza del diritto, qualora il termine di ragionevole di una fase risulti violato, senza tuttavia che lo sia stato quello concernente l’intera durata del giudizio (nelle due fasi di merito e di legittimità), non rientrando “nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando evidentemente per quello in cui si sia prodotto sforamento dal limite di ragionevolezza e segmentando a propria discrezione la vicenda processuale presupposta¯ (Cass. n. 23506 del 2008);

la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza del giudice europeo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione: mentre, infatti, per la CEDU l’importo assunto a base del computo in riferimento ad un anno va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

Relativamente alla quantificazione del danno, vanno qui ribaditi i seguenti principi, ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte:

il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova (diretta o presuntiva), in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto (Cass. S.U. n. 1338 e n. 1339 del 2004; successivamente, per tutte, Cass. n. 3515 del 2009; n. 6898 del 2008; n. 23844 del 2007);

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo che, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Fizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo, che deve essere osservato dal giudice nazionale, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali:

l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008).

In applicazione di detti principi, le censure sono manifestamente fondate, limitatamente alla parte in cui il decreto ha fissato la durata ragionevole del giudizio in sette anni, senza congrua motivazione, discostandosi dal parametro del giudice europeo, considerando autonomamente la fase di appello, mentre sono manifestamente infondate in relazione alla parte in cui la Corte del merito ha fissato il parametro per l’indennizzo nella misura di Euro 1.000,00 per anno di ritardo.

In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto Pertanto, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, sia in ordine al termine quinquennale di durata ragionevole del giudizio svoltosi in due gradi, sia in riferimento alla quantificazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale – individuato nella somma di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale, siccome stabilito dal giudice del merito e non correttamente censurato e neppure riesaminabile in pejus – va riconosciuta a ciascun istante la somma di Euro 6.910,00, in relazione agli anni eccedenti il quinquennio (anni 6,5, il giudizio si è protratto dal maggio 1994 al 21.3.2006, quindi per anni 11,11, dai quali vanno detratti anni cinque), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese della fase di merito potranno seguire la soccombenza, per la fase di merito, e per la metà quanto alla presente fase, sussistendo giusti motivi per dichiarare compensata la residua parte, stante il parziale accoglimento del ricorso”.

p.2. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti innanzi indicati e con le precisazioni che seguono in relazione al quantum. Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno. Di ciò non tiene conto la memoria depositata dai ricorrenti ex art. 378 c.p.c..

In relazione alle censure accolte, cassato il decreto, ben può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c,, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Pertanto, per le ragioni indicate nella relazione il Ministero resistente deve essere condannato al pagamento in favore di ciascun ricorrente della somma di Euro 6.166,00, oltre interessi legali dalla domanda nonchè al rimborso delle spese processuali del grado di merito, liquidate in dispositivo, nonchè, nella misura di 1/2 di quelle di legittimità, compensate per il resto alla luce del limitato accoglimento del ricorso.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere a ciascuna parte ricorrente la somma di Euro 6.166,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio: che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 697,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010

 

 

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