Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1582 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 26/01/2021), n.1582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14119/2015 R.G. proposto da:

C.D.C.N., rappresentato e difeso dall’avv.

Victor Uckmar e dall’avv. Francesco d’Ayala Valva, elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale dei

Parioli, n. 43.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, sezione n. 31, n. 1390/31/14, pronunciata il 16/01/2014,

depositata il 26/11/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. C.d.C.N. impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF, IRAP, IVA, per l’annualità 2005, redditi di lavoro autonomo (compensi per l’attività svolta a favore di alcune società italiane) e di lavoro dipendente (pensioni), non dichiarati dal contribuente, il quale, pur risultando iscritto all’AIRE, con residenza indicata in (OMISSIS), in realtà, secondo la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, conservava la propria residenza fiscale in Italia.

2. La C.T.P. di Torino, con sentenza n. 183/11/2011, rigettò il ricorso, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, la quale, con la sentenza impugnata, nel contraddittorio dell’ufficio, ha disatteso l’appello del contribuente.

3. La C.T.R. piemontese, dopo avere richiamato il contenuto della Convenzione tra Italia e Regno Unito 4 luglio 1960, art. 2, e della (seconda) Convenzione tra Italia e Regno Unito 21 ottobre 1988 (resa esecutiva in Italia con L. 5 novembre 1990, n. 329), art. 4, contro la doppia imposizione, preliminarmente ha affermato che: (a) il contribuente aveva prodotto dichiarazione dell’Inland Revenue Central England, datata (OMISSIS), che ne attestava la residenza nel Regno Unito dal 1997; (b) dai documenti allegati risultava altresì che l’appellante era titolare di una serie di nomine e iscrizioni in enti del (OMISSIS); (c) quanto ai legami con l’Italia, egli aveva la disponibilità di alcuni immobili (a (OMISSIS), a (OMISSIS) e a (OMISSIS)), aveva stipulato contratti di lavoro autonomo e dipendente con società italiane e una delle sue figlie era residente a (OMISSIS); (d) la residenza fiscale va stabilita in base al contenuto dell’art. 2 t.u.i.r., che richiama le nozioni di domicilio e residenza fissate dall’art. 43 c.c..

3.1. Il giudice d’appello, quindi, ha reputato che la residenza in (OMISSIS), pur certificata, non fosse supportata da elementi capaci di superare il concetto di “dimora abituale”; anche la residenza nel (OMISSIS) poteva considerarsi come “dimora abituale”; la residenza italiana, invece, era attestata da numerosi elementi riconducibili alla disponibilità abitativa, ai rapporti lavorativi e ai legami affettivi; d’altra parte il contribuente non aveva prodotto in giudizio le dichiarazioni dei redditi in Gran Bretagna che, se fossero state versate in atti, avrebbero dissolto ogni dubbio in merito al rischio di doppia imposizione.

4. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi; l’Agenzia ha resistito con controricorso.

5. In data (OMISSIS), la parte privata ha presentato richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere, con ogni conseguente statuizione, compresa la compensazione delle spese di lite. Ha affermato, al riguardo, di avere aderito, in data (OMISSIS), alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione, ai sensi del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225, e di avere provveduto all’integrale pagamento rateale degli importi comunicati dall’Agente della riscossione ai fini della definizione.

6. Con ordinanza ex art. 372, c.p.c., il Collegio (in diversa composizione) ha rilevato che l’elenco dei documenti depositati dal contribuente non risultava notificato all’Avvocatura generale dello Stato (che rappresenta e difende l’Agenzia delle entrate nel giudizio di legittimità, essendosi costituita controricorso). Inoltre, in applicazione dei principi di diritto desumibili in tesi generale da Cass. Sez. un. 19980 del 2014, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, assegnando al ricorrente un termine di 60 giorni (dalla notifica dell’ordinanza interlocutoria) per la notificazione dell’elenco dei nuovi documenti all’avvocatura erariale (sul punto, vedi: Cass. 31/03/2017, n. 8567). Si è anche precisato che, ai fini della declaratoria d’estinzione del giudizio per effetto dell’adesione del contribuente alla definizione agevolata, ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, (conv., con modif., dalla L. n. 225 del 2016), si rendeva necessario che, nel medesimo termine, il contribuente depositasse dichiarazione di rinuncia al giudizio, corredata della documentazione idonea a dimostrare che la detta definizione agevolata e i connessi pagamenti del debito tributario si riferissero all’avviso di accertamento impugnato.

7. Il ricorrente ha provveduto in conformità depositando atto di rinuncia al ricorso per cassazione, datato (OMISSIS), ai sensi dell’art. 390 c.p.c., notificato all’Avvocatura generale dello Stato, nel quale ha richiamato la documentazione allegata alla memoria depositata il (OMISSIS), attestante l’estinzione dell’intero debito erariale correlato all’atto impositivo impugnato.

8. In presenza della dichiarazione del debitore di avvalersi della definizione agevolata, con impegno a rinunciare al giudizio, ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, (conv., con modif., dalla L. n. 225 del 2016), il giudizio di cassazione deve essere dichiarato estinto, ex art. 391 c.p.c., rispettivamente per rinuncia del debitore, qualora egli sia ricorrente, oppure perchè ricorre un caso di estinzione “ex lege”, qualora egli sia resistente o intimato; in entrambe le ipotesi, peraltro, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere quando risulti, al momento della decisione – come effettivamente accade in questo caso – che il debitore ha anche provveduto al pagamento integrale del debito rateizzato (Cass. 3/10/2018, n. 24083); tale esito processuale implica la cessazione degli effetti della decisione impugnata (Cass. 2168/2019).

9. Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perchè il contenuto della definizione agevolata assorbe il costo del processo pendente (Cass. 24083/2018, cit.).

10. Infine, non sussistono i presupposti per la condanna del contribuente al pagamento del “raddoppio” del contributo unificato, di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in quanto il presupposto della rinuncia è sopravvenuto alla proposizione del ricorso (Cass. 7/06/2018, n. 14782).

P.Q.M.

La Corte dichiara l’estinzione del processo, D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6, per intervenuta rinuncia; dichiara cessata la materia del contendere, con cessazione degli effetti della decisione impugnata.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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