Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1582 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 20/01/2017, (ud. 09/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.

A.D., elettivamente domiciliata in Roma, alla via E.Q. Visconti

n. 20, presso l’avv. MAURIZIO PAGANELLI, unitamente all’avv. STEFANO

CHIESA del foro di Vicenza, dal quale è rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L., FERALPI SIDERURGICA S.P.A.,

C.U. e CE.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 2/10,

pubblicata l’11 gennaio 2010.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9

novembre 2016 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SOLDI Anna Maria, la quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza dell’11 gennaio 2010, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato il reclamo proposto dalla (OMISSIS) S.r.l. avverso la sentenza emessa l’8 aprile 2009, con cui il Tribunale di Bassano del Grappa aveva dichiarato il fallimento della reclamante, su ricorso della Feralpi Siderurgica S.p.a., di C.U. e di Ce.An..

A fondamento della decisione, la Corte ha osservato che, anche a volerne riconoscere l’applicabilità alla procedura prefallimentare. la sospensione dei termini processuali invocata dalla reclamante ai sensi della L. 23 febbraio 1999, n. 44, non avrebbe potuto assumere alcun rilievo nel caso in esame, essendo finalizzata alla formulazione di una proposta di concordato preventivo, mediante l’utilizzazione delle provvidenze garantite alle vittime dell’usura. la cui presentazione era stata tuttavia prospettata in termini di mera eventualità, non apprezzabile concretamente. Ha ritenuto altresì ininfluente la sospensione dei termini di pagamento prevista dalla L. n. 44 cit., art. 20, osservando che l’inesigibilità dalla stessa determinata non avrebbe potuto riguardare soltanto i crediti degli istanti, con la conseguenza che, ai fini dell’esclusione dello stato di decozione, la reclamante avrebbe dovuto dimostrare la riferibilità della stessa a tutti i suoi debiti, in quanto scaduti nei trecento giorni dall’evento lesivo, o quanto meno la possibilità dell’impresa di continuare l’attività economica, una volta esclusi i crediti assoggettati a moratoria. Ha poi negato che il rilascio da parte del presidente del Collegio del parere prescritto dalla L. n. 44 del 1999 comportasse l’obbligo di astenersi dalla partecipazione alla decisione, non ricorrendo alcuna delle situazioni previste dall’art. 51 c.p.c., e potendo la predetta circostanza costituire soltanto motivo di ricusazione. ininfluente a causa della mancata proposizione della relativa istanza. Precisato infine che lo stato d’insolvenza può consistere anche in una situazione d’illiquidità del debitore, ha ritenuto irrilevante il possesso, da parte della reclamante. di un patrimonio immobiliare astrattamente idoneo ad assicurare l’adempimento dei debiti.

3. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione. articolato in quattro motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’erroneità, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, sostenendo che, nel ritenere irrilevante la sospensione dei termini processuali prevista dalla L. n. 44 del 1999, la sentenza impugnata non ha considerato che la stessa, oltre a precludere ogni attività esecutiva sul patrimonio del debitore, impedendo pertanto la dichiarazione di fallimento, le avrebbe consentito di trovare soluzioni alternative al fallimento, in ordine alle quali non spettava alla Corte d’Appello di pronunciarsi.

1.1. Il motivo è infondato.

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento non è infatti soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi contemplata dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, per le vittime di richieste estorsive o dell’usura, non avendo natura esecutiva, ma cognitiva, dal momento che, così come nell’esecuzione individuale la procedura esecutiva non può ancora ritenersi iniziata prima della effettuazione del pignoramento, prima della dichiarazione di fallimento non può ancora ritenersi iniziata l’esecuzione collettiva sul patrimonio del debitore (cfr. Cass., Sez. 1. 18 maggio 2016, n. 10172; 19 marzo 2014, n. 6309; 28 maggio 2012, n. 8432).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 44 del 1999, art. 20 e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 6, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, affermando che, nel ritenere ininfluente la sospensione dei termini di pagamento prevista dall’art. 20 cit., la Corte di merito non ha considerato che l’onere di fornire la prova dello stato d’insolvenza incombeva ai creditori istanti, i quali avrebbero dovuto dunque dimostrare che, nonostante la sospensione, l’impresa non era in grado di far fronte ai debiti non sospesi. Sostiene comunque che essa ricorrente non era tenuta a dimostrare l’applicabilità della sospensione a tutti i suoi debiti, ma solo a quelli posti a fondamento dell’istanza di fallimento, la cui assoggettabilità alla moratoria doveva considerarsi sufficiente ad impedire la dichiarazione di fallimento. in assenza di un’istanza del Pubblico Ministero.

2.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la disciplina dettata dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, primi quattro commi, mirando a realizzare, attraverso la sospensione da un lato dei termini sostanziali per il pagamento dei debiti pecuniari e dall’altro dei termini processuali per il relativo accertamento, un bilanciamento tra l’interesse dei creditori all’adempimento e l’esigenza di verificare il nesso eziologico tra la difficoltà dell’adempimento e la genesi criminale del debito. determina un’indubbia alterazione delle ordinarie relazioni civili, la cui operatività. pur trovando giustificazione nell’interesse pubblico alla tutela delle posizioni debitorie, deve ritenersi necessariamente circoscritta ad ipotesi tassative. La proposizione della domanda di elargizione delle provvidenze previste dalla legge in esame comporta pertanto il riconoscimento della sospensione prevista dall’art. 20, comma 1, con riguardo ai singoli crediti, ma non pregiudica il doveroso riscontro dello stato d’insolvenza di cui alla L.Fall., art. 5, da valutarsi in relazione alla situazione generale dell’imprenditore, avendo riguardo alla sussistenza di altri inadempimenti o debiti. Mentre per i crediti aventi rapporto con i reati indicati dalla legge occorre tener conto della proroga della relativa scadenza prevista dalla norma in esame, che ne determina la temporanea inesigibilità, per gli altri crediti trovano applicazione le regole ordinarie, che svincolano il giudizio sullo stato d’insolvenza dalle relative cause, correlandolo ad una valutazione globale della situazione economico-patrimoniale del debitore, nell’ambito della quale può trovare eventualmente spazio anche l’incidenza positiva dell’elargizione concessa ai sensi della disciplina in questione. In quest’ottica, ed avuto riguardo al carattere eccezionale della sospensione prevista dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 1, il conseguimento della stessa si configura come un fatto incompatibile con la scadenza nominale dei debiti, che dev’essere eccepito dalla vittima dell’evento, allegando e provando la sussistenza dei relativi presupposti (cfr. Cass. Sez. 1, 12 dicembre 2012, n. 22756).

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur non negando, in linea di principio, la rilevanza nel procedimento prefallimentare della sospensione ottenuta dalla debitrice ai sensi della predetta disposizione, ne ha escluso in concreto l’operatività, rilevando che la reclamante non aveva fornito la prova della riferibilità della stessa a tutti i suoi debiti, in quanto scaduti entro un anno dall’evento lesivo, o comunque della sua positiva influenza sulla situazione finanziaria dell’impresa, tale da consentire la prosecuzione dell’attività di quest’ultima. In quanto avente come effetto l’inesigibilità temporanea di determinati crediti, la moratoria risultava infatti certamente idonea ad incidere sull’accertamento dello stato d’insolvenza, a condizione che, come ha correttamente ritenuto la Corte di merito, risultasse dimostrata da un lato la sua applicabilità ai crediti degl’istanti, dall’altro la capacità dell’impresa di far fronte con mezzi normali all’adempimento delle obbligazioni non colpite dalla misura in questione. Nel contestare tale affermazione, la ricorrente si limita d’altronde ad insistere sull’esiguità del numero degl’istanti e sull’indispensabilità dell’iniziativa degli stessi ai fini della dichiarazione di fallimento, senza neppure precisare se effettivamente ricorressero le condizioni necessarie per l’assoggettamento dei loro crediti alla sospensione, conformemente al richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, osservando che, nonostante il rilascio del parere prefettizio favorevole alla sospensione dei termini di pagamento, la Corte di merito ha omesso di concederle un rinvio dell’udienza, ai fini del perfezionamento degli accordi con i creditori e della valutazione delle modalità di utilizzazione dei fondi di solidarietà, in tal modo impedendole anche di liquidare il suo patrimonio immobiliare per sanare l’esposizione debitoria.

3.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto, postulando la possibilità di una definizione concordata della situazione debitoria, volta a favorire il risanamento dell’impresa o comunque ad evitarne la dichiarazione di fallimento, implica una valutazione in ordine alla perdurante capacità della società ricorrente di far fronte ai propri debiti con i mezzi economici a sua disposizione, e dà pertanto luogo ad una questione tipicamente riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento, non distinguibile da quello sotteso all’accertamento dello stato d’insolvenza, è censurabile in sede di legittimità esclusivamente in riferimento alla sussistenza di tale presupposto.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 51 c.p.c., n. 4 e art. 52 c.p.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante la causa di astensione fatta valere nei confronti del presidente del Collegio, a causa della mancata proposizione dell’istanza di ricusazione, senza considerare che la natura camerale del procedimento prefallimentare le aveva impedito di conoscere preventivamente la data dell’udienza e la composizione del Collegio giudicante.

4.1. – Il motivo è infondato.

La struttura del procedimento prefallimentare, per il quale è prescritta la trattazione in camera di consiglio, non è infatti incompatibile con la disciplina della ricusazione, dal momento che la L.Fall., art. 15, prescrivendo la convocazione delle parti in camera di consiglio per la data fissata dal presidente del tribunale, consente alle stesse di prendere anticipatamente conoscenza della composizione del collegio giudicante, che deve coincidere con quello individuato in sede tabellare per l’adunanza in camera di consiglio, e quindi di far valere eventuali ragioni d’incompatibilità dei magistrati, entro il termine finale rappresentato, al più tardi, dall’inizio della trattazione o discussione della causa. Nella specie, pertanto, non avendo la ricorrente dedotto di non aver ricevuto comunicazione della data fissata per l’adunanza in camera di consiglio, correttamente la sentenza impugnata ha escluso la possibilità di dare ingresso al motivo di reclamo riflettente la violazione dell’obbligo di astensione da parte del Presidente del Collegio giudicante di primo grado, in virtù del rilievo che la ricorrente non aveva proposto istanza di ricusazione, e della conseguente applicabilità del principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, al di fuori dell’ipotesi in cui il giudice abbia un interesse personale e diretto nella causa, la violazione dell’obbligo di astenersi non è deducibile come motivo d’impugnazione della sentenza da lui emessa, se non sia stata preventivamente e tempestivamente fatta valere con l’istanza di ricusazione (cfr. Cass., Sez. 3, 7 luglio 2016, n. 13935; 25 agosto 2006, n. 18495; Cass., Sez. 1, 16 aprile 2004, n. 7252).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degl’intimati.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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