Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1582 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. III, 19/01/2022, (ud. 26/10/2021, dep. 19/01/2022), n.1582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – rel. Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23134/2017 proposto da:

Fintech Srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Leonardi Riccardo,

e Provinciali Daniele, ed elettivamente domiciliata in Roma, via

Flaminia 71, presso lo studio dell’avvocato Feliciani Walter;

– ricorrente –

contro

Aon Spa Insurance & Reinsurance Brokers, rappresentata e difesa

dagli avvocati D’Angelo Gianfranco, e Santamaria Amato Carla, ed

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Gandolfi 6, presso lo

studio dell’avvocato Cocco Ilaria;

– controricorrente –

e contro

C.D., Globalcom Srl (già Globalcom Spa);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1004/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 19/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2021 dal Cons. Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Globalcom s.p.a. convenne in giudizio la L. Broker di Assicurazioni s.r.l. deducendo che, in vista della vendita di materiale telefonico per un importo di 500.000,00 Euro che intendeva effettuare in favore della Time s.p.a., aveva incaricato la convenuta di reperire un fideiussore che potesse garantire l’adempimento dell’acquirente e aggiungendo che il fideiussore – Nike Fides s.p.a. – indicato dalla L. Broker non aveva onorato la garanzia prestata, dopo che la Time si era resa inadempiente al pagamento del prezzo della merce acquistata; dedusse che la società garante versava in stato di dissesto già al momento della stipula della polizza fideiussoria, affermò la responsabilità della L. Broker per non aver verificato la capacità patrimoniale della Nike Fides e chiese pertanto la condanna della convenuta al risarcimento dei danni per un importo di 530.000,00 Euro, oltre accessori;

la L. Broker resistette alla domanda, assumendo di non avere assunto alcun incarico per conto della Globalcom e di avere indicato il garante a mero titolo di cortesia nei confronti di una ex cliente; chiamò, comunque, in causa – per esserne garantita – C.D., indicato come colui che aveva materialmente indicato nella Nike Fides il soggetto idoneo a rilasciare la garanzia;

il terzo chiamato si costituì eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva;

nel giudizio intervenne la Fintech s.r.l., quale avente causa dalla Globalcom nel diritto controverso;

il Tribunale di Macerata, ritenuto provato l’inadempimento della convenuta al contratto di consulenza intercorso con la Globalcom, accolse la domanda e condannò la L. Broker al risarcimento dei danni nell’importo di oltre 510.000,00 Euro, maggiorato di accessori e spese processuali, nonché al pagamento delle spese di lite in favore del terzo chiamato;

provvedendo sul gravame proposto dalla AON s.p.a. (incorporante la L. Broker), la Corte di Appello di Ancona ha rigettato la domanda attorea, qualificando il rapporto intercorso fra l’attrice e la L. Broker come mediazione ed escludendo che risultasse integrata una responsabilità ex art. 1759 c.c., a carico della mediatrice, che “non aveva anche l’onere di verificare, mediante delicate indagini patrimoniali, la solvibilità della (…) Nike Fides, solvibilità che del resto la L. Broker non risulta(va) aver garantito”;

ha proposto ricorso per cassazione la Fintech s.r.l., affidandosi a cinque motivi; ha resistito, con controricorso, la AON Insurance & Reinsurance Brokers s.p.a.;

differita con ordinanze interlocutorie dell’8.4.19 e del 17.12.19, la trattazione del ricorso è stato fissata per l’odierna adunanza camerale; entrambe le parto hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 329 c.p.c., “per avere la Corte di Appello qualificato il rapporto contrattuale intercorso tra la Globalcom e la L. Brokers come mediazione quando sulla qualificazione giuridica del rapporto effettuata dal Giudice di primo grado come consulenza era sceso il giudicato”; rileva la ricorrente che la società appellante aveva “profuso tutti i suoi sforzi nel negare alla radice l’esistenza di un contratto di consulenza, senza mai “preoccuparsi” della relativa qualificazione giuridica del rapporto contrattuale, né tantomeno proponendo una diversa lettura del rapporto dedotto”;

il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,342 e 345 c.p.c., “per avere la Corte di Appello qualificato il rapporto contrattuale (…) come mediazione in assenza di espressa impugnazione sul punto, violando (…) il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonché pronunciando su di un motivo nuovo in appello”;

col terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 101 c.p.c., “per avere la Corte di Appello violato il principio del contraddittorio nel qualificare il rapporto contrattuale (…) come mediazione in assenza di deduzione e/o allegazione delle parti sul punto” e privando le stesse della possibilità di interloquire al riguardo;

i tre motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati:

dall’esame ex actis – consentito a questa Corte dalla natura dei vizi denunciati con i primi due motivi – emerge che l’atto di appello conteneva una radicale contestazione del rapporto contrattuale di consulenza che il primo giudice aveva ritenuto intercorso fra la Globalcom e la L. Broker: l’appellante dedusse, infatti che il Tribunale era “incorso in errore macroscopico laddove (aveva) ritenuto di ravvisare nei fatti di causa un incarico di consulenza”, aggiungendo che non poteva “revocarsi in dubbio che nessun vincolo contrattuale e nessuna convenzione inerenti un incarico di consulenza (fossero) intercorsi tra le parti, essendosi la Globalcom rivolta alla L. Broker, in virtù dei pregressi rapporti, per una richiesta (…) a titolo gratuito”, cosicché il Tribunale aveva “erroneamente qualificato come incarico di consulenza quella che (… era) stata una semplice richiesta di segnalazione di nominativo”;

alla luce del tenore dell’atto di gravame, deve ritenersi che l’appellante avesse chiaramente censurato la sentenza di primo grado sia nella parte in cui aveva ritenuto integrato un rapporto contrattuale, sia laddove aveva qualificato tale rapporto come consulenza: va escluso, pertanto, che possa essere intervenuto un giudicato sulla qualificazione del contratto, giacché la contestazione dell’esistenza di un rapporto contrattuale era tale da “travolgere” anche la qualificazione dello stesso e – comunque – la contestazione aveva riguardato espressamente il contratto di consulenza, investendo quindi anche la stessa qualificazione del rapporto;

non ricorre alcuna violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato giacché, una volta investita della questione della insussistenza della responsabilità risarcitoria della L. Broker, la Corte ben poteva qualificare il rapporto in termini diversi da quelli ritenuti dal primo giudice (ossia di mediazione anziché di consulenza) al fine di pervenire all’accoglimento dell’appello (cfr. Cass. n. 12875/2019: “il giudice d’appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi” ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica”).

né può ritenersi che la Corte abbia violato il principio del contraddittorio nell’effettuare una diversa qualificazione giuridica del rapporto, atteso che il tema della insussistenza del contratto di consulenza costituiva lo specifico oggetto del giudizio di appello e la qualificazione del rapporto in termini di mediazione ha costituito uno dei possibili sbocchi decisori di una questione comunque sottoposta al contraddittorio delle parti;

il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1754,1759,1703 e 1710 c.c., censurando la qualificazione del rapporto in termini di mediazione anziché di consulenza: la ricorrente contesta che il rapporto instauratosi fra le parti possa essere ricondotto alla mediazione, argomentando con richiamo alla documentazione prodotta in atti e all’esito delle prove orali; deduce che, in violazione dell’art. 1362 c.c., la Corte ha errato nell’interpretare la volontà delle parti emergente dalle risultanze istruttorie e contesta la possibilità di applicare l’art. 1759 c.c.;

il quinto motivo – che deduce “violazione e/o falsa applicazione di legge dell’art. 115 c.p.c., art. 116 c.p.c. (…) per l’omessa valutazione della piattaforma probatoria agli atti” – censura la sentenza “per la totale omessa valutazione del vastissimo compendio probatorio già disponibile agli atti del primo grado”, rilevando come la stessa non abbia fatto riferimento alla documentazione prodotta né all’ampia istruttoria orale;

i motivi – da esaminare congiuntamente – sono inammissibili, in quanto:

senza individuare specifici errori di diritto e senza indicare – in particolare – in quali termini sarebbero stati violati i criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., il quarto motivo si risolve in una istanza di rivalutazione del materiale probatorio funzionale ad una lettura di merito alternativa a quella compiuta dalla Corte di appello;

la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016 e da Cass. n. 11892/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sé, la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che ricorre solo allorché si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000/2016);

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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