Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15814 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. I, 07/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 07/06/2021), n.15814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12778/2020 proposto da:

K.D., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Cristina Martini, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4980/2019 della CORTE di APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/04/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

K.D., nato in Mali, ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia che, confermando la prima decisione, ha respinto la domanda di protezione internazionale e di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie proposta dal ricorrente. Il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

Il ricorrente aveva narrato di provenire dalla regione del Kayes e di avere abbandonato il Paese di origine perchè minacciato ed aggredito dalla famiglia del suo capo villaggio, intenzionata ad appropriarsi della sua terra.

La Corte distrettuale, così come in precedenza il Tribunale, ha ritenuto che il racconto non fosse credibile in ordine alle ragioni di fuga dal Paese di origine perchè generico, lacunoso e contraddittorio ed ha rimarcato che il ricorrente non aveva chiarito perchè non si fosse rivolto alle forze dell’ordine.

Sulla scorta di tale giudizio di non credibilità e della mancata allegazione di atti persecutori, ha escluso che potesse evidenziarsi il rischio di persecuzione per uno dei motivi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 e che potesse ritenersi concreto il pericolo, in caso di rimpatrio, di un danno grave alla persona, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b)). Ha, quindi, ritenuto non sussistenti i requisiti di cui all’art. 14, lett. c) della suddetta normativa, non ravvisando nella regione di provenienza del ricorrente (Sud del Mali) un’area fuori controllo, dove vi era il concreto pericolo che i civili potessero rimanere vittime di violenza indiscriminata.

Ha respinto, infine, la domanda di protezione umanitaria, in assenza di specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo, osservando che la circostanza che il ricorrente avesse compiuto uno sforzo per inserirsi nel tessuto sociale italiano, studiando la lingua e reperendo un lavoro, non era sufficiente, in quanto non integravano i presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in merito al diniego della protezione sussidiaria.

Sostiene che il Mali è caratterizzato da conflitti armati e dal rischio terrorismo – come evincibile da altre fonti internazionali e da precedenti giurisprudenziali – di guisa che erroneamente la Corte di appello aveva negato la protezione sussidiaria.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e si duole di non essere stato ritenuto credibile, nonostante la linearità del suo racconto e sostiene che ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in ragione della sua situazione personale, come dallo stesso esposta, e per la situazione socio/politica del Mali ancora non pacificata e normalizzata.

2.1. I motivi possono trattarsi congiuntamente per connessione e vanno respinti perchè inammissibili

2.2. Il ricorrente si limita a contrapporre la propria affermazione circa la sussistenza dei presupposti di fatto per la concessione della protezione invocata (sussidiaria o umanitaria), alla diversa valutazione della Corte distrettuale, che ha, viceversa, evidenziato le ragioni di non credibilità del ricorrente, il fatto che la zona di sua provenienza non era caratterizzata da situazioni di diffuso ed indiscriminato conflitto e rischio per la vita dei cittadini sulla scorta della consultazione di fonti internazionali accreditate ed aggiornate, nonchè l’insufficiente allegazione sotto il profilo dell’integrazione sociale ai fini della protezione umanitaria.

Ne consegue che il ricorso mira, inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019).

2.3. Peraltro, questa Corte ha più volte affermato che, anche ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, il ricorrente ha l’onere di (quantomeno) allegare gli specifici fatti costitutivi del suo diritto, in difetto non potendo attivarsi i poteri istruttori officiosi (Cass. nn. 8908/2019, 3016/2019, 17069/2018), nè possono assumere rilievo probatorio pronunce giurisdizionali favorevoli ad altre persone, senza alcuna attinenza alla persona del richiedente.

La motivazione del Corte distrettuale non è stata nemmeno adeguatamente censurata secondo i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. nn. 17247/2006, 18587/2014), non avendo il ricorrente assolto l’onere di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U. nn. 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. nn. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), stante l’inammissibilità della mera denunzia di insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U. n. 33017/2018).

2.4. Analoghe considerazioni valgono per la domanda di protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U. n. 29459/2019) – avendo la Corte di appello rilevato l’assenza di condizioni di vulnerabilità personale “individualizzate”, in linea con l’orientamento di questa Corte che richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. nn. 23778/2019, 1040/2020) ed il raggiungimento di un livello di integrazione in Italia che, nel caso in esame, è stato escluso.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

 

 

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