Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15808 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/07/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 29/07/2016), n.15808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6852 – 2015 R.G. proposto da:

P.A. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Sistina, n. 125, presso lo studio dell’avvocato M. Z.,

che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Marco di

Lotti la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE (già Comune di Roma) – c.f. (OMISSIS) – in persona del

sindaco pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale

a margine del controricorso dall’avvocato Pier Ludovico Patriarca ed

elettivamente domiciliata in Roma, presso gli uffici dell’avvocatura

capitolina, alla via del Tempio di Giove, n. 21;

– controricorrente –

Avverso la sentenza del Tribunale di Roma – n. 23587 dei

21/26.11.2014, pronunciata in grado di appello;

Udita la relazione all’udienza n camera di consiglio dell’11 aprile

2016 del consigliere Dott. ABETE Luigi;

Udito l’avvocato M. Z. per la ricorrente;

Letta la relazione ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, del Dott. ABETE

Luigi.

Fatto

RILEVA IN FATTO

P.A. proponeva opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, avverso verbale di accertamento di violazione al codice della strada elevato in data 19.4.2010, con cui le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 49,05.

L’adito giudice di pace di Roma con sentenza n. 57476 depositata il 21.8.2013 accoglieva l’opposizione, annullava il verbale, ma ometteva di pronunciarsi sulle spese.

Con atto notificato in data 19.2.2014 P.A. proponeva appello. Chiedeva che il comune di Roma Capitale fosse condannato a rimborsarle le spese del doppio grado.

Il comune di Roma Capitale si costituiva e si rimetteva alla decisione del giudice.

Con sentenza n. 23587 dei 21/26.11.2014 il tribunale di Roma accoglieva in parte l’appello, condannava l’appellato a rimborsare all’appellante le spese del primo grado e compensava interamente le spese del grado di appello.

A sostegno della compensazione delle spese del secondo grado il tribunale evidenziava che all’ente appellato non era imputabile l’errar in procedendo sulla cui scorta il primo giudice nulla aveva statuito sulle spese ed, altresì, che il medesimo ente non aveva resistito all’avverso gravame.

Avverso tale sentenza P.A. ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

Roma Capitale ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Con un unico motivo la ricorrente, in relazione al capo della sentenza impugnata con cui si è disposta la compensazione delle spese del grado d’appello, denuncia la violazione e/o la falsa applicazione delle disposizioni del codice di rito concernenti la liquidazione delle spese a favore dalla parte vittoriosa e “la acquiescenza processuale e/o la rinuncia agli atti” (così ricorso, pag. 2); denuncia inoltre l’illegittimità, l’illogicità l’insufficienza della motivazione.

Adduce che, onde conseguire il riconoscimento delle sue ragioni, ha dovuto impugnare la sentenza di prime cure, tanto più che controparte giammai ha offerto in via transattiva il pagamento delle spese del primo grado; che “se una parte si costituisce in giudizio sostenendo che la controparte ha ragione al cento per cento (…), essa deve necessariamente soggiacere al pagamento delle spese di lite” (così ricorso, pag. 2).

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto respinto.

Si premette che il regime positivo in tema di compensazione delle spese di lite applicabile ratione temporis al caso di specie è quello espresso dall’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo (“se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le partì) susseguente alla novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, applicabile ai giudizi instaurati successivamente al 4.7.2009 (non interferisce, dunque, nel caso de quo – atteso che, per giunta, la statuizione d’appello risale ai 21/26.11.2014 – il dettato dell’art. 92 c.p.c., comma 2, quale introdotto dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, ed applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione).

Si premette ulteriormente che il motivo di ricorso si specifica e si qualifica essenzialmente – rette esclusivamente – in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Ai fini invero della teste compiuta qualificazione occorre tener conto, da un lato, che P.A. censura sostanzialmente il riscontro delle gravi ed eccezionali ragioni cui il giudice di appello ha inteso ancorare la disposta compensazione delle spese del secondo grado; dall’altro, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da pane del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – è il caso de quo – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Al contempo, occorre tener conto che, in perfetto ossequio al parametro normativo di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, il tribunale di Roma ha esplicitamente indicato nella motivazione le “gravi ed eccezionali ragioni” atte, a suo giudizio, a giustificare l’integrale compensazione delle spese di seconde cure.

Negli enunciati termini il vizio motivazionale veicolato con l’esperito ricorso rileva nei limiti della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (“per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti), quale introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Evidentemente, negli stessi termini, riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053), secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle Prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ebbene è da escludere che il passaggio motivazionale – doppiamente articolato e dapprima riferito – cui il tribunale di Roma ha correlato la disposta compensazione delle spese del grado di appello, sostanzi una delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite teste menzionata.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762) – è ben evidente che il tribunale di Roma ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito.

Per altro verso, va debitamente rimarcato che la ricorrente, benchè comparsa all’udienza in camera di consiglio, non ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, sicchè nulla di specifico e puntuale ha controdedotto alla relazione predisposta a norma dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

In dipendenza del rigetto del ricorso P.A. va condannata a rimborsare a Roma Capitale le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 13.3.2015.

Ne discende, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), che il rigetto del ricorso determina l’obbligo per la ricorrente P.A. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente P.A. a rimborsare a Roma Capitale le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v a e cassa come per legge; dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, che il rigetto del ricorso determina l’obbligo per la ricorrente P.A. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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