Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15808 del 24/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15808 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 24093-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, TRIOLO VINCENZO, STUMPO VINCENZO,
DE ROSE EMANUELE giusta mandato speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro
SILIA CARMINE;
– intimato –

Data pubblicazione: 24/06/2013

avverso la sentenza n. 5018/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 4/10/10, depositata il 12/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/04/2013 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito l’Avvocato Coretti Antonietta difensore del ricorrente che si

è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che
aderisce alla relazione.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Lucera, Silia Carmine, operaio agricolo a
tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps, chiedendo
venisse accertato il suo diritto alla differenza dell’indennità di
disoccupazione per l’anno 2002; il ricorrente – premesso che il
trattamento di disoccupazione gli era stato corrisposto dall’Istituto
sulla base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995 sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato,
ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi
previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi compreso
l’elemento denominato t.f.r., con conseguente diritto alle differenze tra
quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata accolta dal giudice di primo grado, la cui
decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza
depositata il 9 ottobre 2010.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione notificato il 3 ottobre 2011 – con tre motivi.
La parte intimata non si è costituita in questa sede.
È stata depositata relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., le cui
conclusioni e argomentazioni sono condivise dal Collegio.

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riporta agli scritti;

Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 47 D.P.R.
30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente, lamentando la
violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98/2011, convertito in
L. n. 111/2011 e, in via subordinata, degli artt. 46, 51 e 55 del CCNL

comma 4°, lettera a) del d.lgs. n. 314/97 nonché in relazione agli artt.
1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4 commi 10° e 11° legge 297/82,
censura, in via logicamente subordinata, la sentenza unicamente per
avere incluso nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione
dell’indennità di disoccupazione anche la voce denominata “quota di
TFR”, la quale invece non dovrebbe esserlo, per avere essa —
contrariamente a quanto affermato la Corte territoriale — effettiva
natura di retribuzione differita.
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo e
manifestamente fondato nel secondo e nel terzo, qui trattati
unitariamente.
In ordine al primo motivo, va osservato quanto segue.
Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza
di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal
D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella
L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei
casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il
riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé
considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già
riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei
casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in
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per gli operai agricoli e florovivaisti del 2002 in relazione all’art. 6,

errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto
una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite
che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa
dalla sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria depositata il 18

rilievo che l’interpretazione prevalente non appariva giustificata dal
tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma.
Interveniva, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni
unite e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la novella di cui al
recente D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38, comma 1, lett. d) convertito
in L. n. 111 del 2011, che ha aggiunto al citato art. 47 un ultimo
comma, del seguente tenore: “Le decadenze previste dai commi che
precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto
l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento
di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal
riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della
sorte”, precisando al quarto comma che “le disposizioni di cui al
comma 1, lett. c) e d) si applicano anche ai giudizi pendenti in primo
grado alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Le Sezioni Unite hanno quindi disposto la restituzione degli atti alla
sezione lavoro, sulla base della considerazione della necessità di
valutare la persistenza del proposito di investire della questione le
sezioni unite, alla luce della valutazione della eventuale incidenza delle
norme di legge citate sulla interpretazione del l’art. 47, vigente prima di
essa.
Sulla questione questa Corte è così intervenuta con la sentenza n.
6959 dell’8 maggio 2012, che ha affermato il seguente principio di
diritto: “In tema di decadenza delle azioni giudiziarie volte ad ottenere
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gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa Corte, sulla base del

la riliquidazione di una prestazione parzialmente riconosciuta, la
novella dell’art. 38 lett. d) del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in 1. 111 del
2011 – che prevede l’applicazione del termine decadenziale di cui all’art.
47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, anche alle azioni aventi ad oggetto
l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento

retroattiva limitata ai giudizi pendenti in primo grado alla data di
entrata in vigore delle nuove disposizioni, con la conseguenza che, ove
la nuova disciplina non trovi applicazione, come nel caso di giudizi
pendenti in appello, o in cassazione alla data predetta, vale il generale
principio dell’inapplicabilità del termine decadenziale” (successive
conformi, Cass. sent. nn. 6960, 6962, 6963, 7068, 7069, 7070 7073,
7075, 7076, 7078, 7079, 7080, 7088, 7127, 7128, 7129, 7130, 7132,
7133, 7236, 7240, 7244, 7244, 7245, 7246, 7247, 7248, 7476, 7478,
7479, 7480, 7482 del 2012 ed altre ancora)
Con l’anzidetta sentenza, questa Corte ha osservato quanto segue:
“non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il
proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata
efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale consolidatasi per
effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma
indirettamente la corrispondenza di quest’ultima all’originario
contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo
stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della
inapplicabilità del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 prima delle
integrazioni apportate del D.L. n. 98 del 2011, art. 38 al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente
riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale. Pertanto, la modifica di
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di accessori del credito -, detta una disciplina innovativa con efficacia

cui al d.l. n. 38 del 2011, da ultimo introdotta, prevede l’applicabilità
della nuova norma anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di
entrata in vigore del decreto, così implicitamente escludendola
riguardo ai giudizi, come il presente, pendenti in fase di
impugnazione”.

applicazione alla fattispecie la decadenza dall’azione.
Sono invece manifestamente fondati il secondo e il terzo motivo.
In proposito, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente enunciato,
ad es. con la sentenza n. 202/2011, con riferimento a fattispecie
analoghe a quella in esame, il seguente principio: “Confermandosi
quanto già ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte n.
10546/2007 per cui ai fini della liquidazione delle prestazioni
temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla
contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario
medio convenzionale ex art. 4 del D.lgs. 16 aprile 1997 n. 146 – non è
comprensiva del trattamento di fine rapporto, va ulteriormente
affermato che, sulla base del suddetto principio, la voce denominata
“quota di TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del
27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione,
in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è
vietato disattendere in forza della disposizione di cui all’art. 3 D.L. 14
giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29 luglio 1996 n. 402, a norma
del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli
accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a
quanto definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce
abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non
è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte

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Il primo motivo di ricorso è infondato, non potendo trovare

dell’autonomia collettiva” (v. pure Cass., ord., nn. 18516 del 2011,
11152 del 2011 e numerose altre successive).
Si rileva altresì, in proposito, che il significato della norma di cui
all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997 individuato dalla giurisprudenza
sopra citata è stato esplicitato anche dal legislatore, che all’art. 18,

stesso anno, ha specificato che “L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile 1997 n.
146 e l’art. 1, comma 5° del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con
modificazioni dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel
senso che la retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni
temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato non è
comprensiva della voce del trattamento di fine rapporto comunque
denominato dalla contrattazione collettiva”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art.
384, secondo comma, c.p.c. può provvedersi nel merito e rigettarsi la
domanda.
Tenuto conto dei dubbi interpretativi che hanno riguardato
entrambe le questioni oggetto del presente giudizio, è giustificata la
compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo e il terzo; cassa la
sentenza in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta
l’originaria domanda quanto all’inclusione del TFR nella base di calcolo
dell’indennità di disoccupazione, compensa le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2013

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

comma 18° del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 dello

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