Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15808 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/07/2020, (ud. 29/05/2019, dep. 23/07/2020), n.15808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3929-2014 proposto da:

PANIFICIO L.E. & C. S.A.S., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

STATILIO OTTATO 8, presso lo studio dell’avvocato DANIELA MARIA

SEDDIO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO GAMBINO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS) elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO,

EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

e contro

SERIT SICILIA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1707/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/07/2013 R.G.N. 1511/2011;

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello – sez. lavoro – di Palermo con sentenza in data 27 giugno – 5 luglio 2013 rigettava il gravame della PANIFICIO L.E. & C. s.a.s. contro la decisione n. 613/2011, emessa dal giudice del lavoro di Agrigento, impugnata mediante atto depositato il 23 giugno 2011, che aveva respinto l’opposizione dell’appellante avverso la cartella esattoriale inerente ad omessa contribuzione previdenziale a favore di I.N.P.S., relativa a L.V., giusta i verbali di accertamento in data 15 luglio 2006 e 4 luglio 2007 per mancata regolarizzazione dal (OMISSIS). Secondo la Corte d’Appello, era in primo luogo inutilizzabile il documento prodotto per la prima volta dall’appellante in secondo grado (certificato di servizio per il suddetto L.V. quale dipendente di un istituto scolastico con sede in (OMISSIS) a decorrere da settembre (OMISSIS)). Per il resto era inattendibile la deposizione resa dallo stesso L.V. nel corso del giudizio, pressochè incompatibile con quanto da costui dichiarato in sede ispettiva circa le retribuzioni a suo tempo percepite, oltre agli utili della società di cui era accomandante al 25% (mentre un altro fratello lo era al 25% ed il restante 50% risultava in titolarità dell’accomandatario L.E.);

avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la S.a.s. PANIFICIO L.E. & C. con atto del 27/31 dicembre 2013 affidato a due motivi, cui ha resistito l’I.N.P.S., anche per la soc. di cartolarizzazione S.C.C.I. S.p.a., mentre è rimasta intimata la società deputata al servizio di riscossione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo parte ricorrente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ha denunciato la nullità della sentenza impugnata, sostenendo la violazione degli artt. 437 e 421 c.p.c. in ordine alla ritenuta inammissibilità del suddetto documento allegato da parte appellante (attestato di servizio per il periodo (OMISSIS)), attesa comunque la sua decisività (parziale, con esclusione quindi del periodo (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), assumendosi altresì di aver sollecitato, in alternativa, la Corte distrettuale a disporne di ufficio l’acquisizione, con il ricorso d’appello (di cui sono state richiamate in particolare, le pagine 6, per la parte narrativa, e 11 per le relative conclusioni);

con il secondo motivo, è stata dedotta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, laddove l’impugnata sentenza aveva ritenuto provato il rapporto di lavoro subordinato di L.V. alle dipendenze del PANIFICIO: gli elementi che deponevano in senso opposto, sui quali la Corte palermitana aveva trascurato ogni tipo di approfondita riflessione, erano stati già evidenziati con l’atto di appello, mentre era stato evidenziato che le suddette dichiarazioni “testimoniali di L., atteso il suo personale interesse, non potevano in astratto reputarsi come intrinsecamente attendibili nè quando rese agli ispettori I.N.P.S. nè quando rese davanti al giudice…”, essendo stato trascurato, in particolare, l’interesse oggettivo sulla vicenda da parte del teste… ed essendo peraltro anche notorio il fatto che nei mesi tra (OMISSIS) la popolazione di (OMISSIS) subisce un incremento anche di 3 / 4 volte rispetto a quella ordinariamente residente. Era, quindi, logico ritenere che le esigenze dell’esercizio commerciale della ricorrente potessero aver subito, proprio durante i periodi estivi, un incremento tale da richiedere una collaborazione supplementare e saltuaria;

tanto premesso, appare fondato, nei seguenti termini il primo motivo, con conseguente assorbimento della seconda censura, le cui osservazioni presuppongono evidentemente la preliminare questione inerente alla prima doglianza;

invero, erroneamente la Corte distrettuale ha del tutto escluso la possibilità di depositare il suddetto certificato di servizio, rilasciato dall’Istituto Comprensivo della scuola materna (OMISSIS) di (OMISSIS), per il solo fatto che il documento risultava depositato per la prima volta in secondo grado, “trattandosi di produzione tardiva e non sopravvenuta (risultando la suddetta certificazione nella potenziale disponibilità della società istante sin dalla data di instaurazione del giudizio di prime cure)”, sicchè la rilevanza nel merito, ai fini della decisione, non è stata per nulla esaminata dalla Corte palermitana;

– l’anzidetta radicale esclusione non appare aderente al testo dell’art. 437 c.p.c., comma 2 laddove stabilisce che “Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa”, formulazione che peraltro non corrisponde esattamente a quella dell’art. 345 c.p.c., concernente l’appello per il rito ordinario (“…Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.

Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile….”

Le parole “e non possono essere prodotti nuovi documenti” sono state inserite dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 18. Per espressa previsione dell’art. 58, comma 1-2 L. cit.: “Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (avvenuta il 4 luglio 2009). Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli artt. 132,345 e 616 c.p.c. e l’art. 118 disp. att. c.p.c., come modificati dalla presente legge”. Le parole “che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero” sono state soppresse dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 541, lett. Ob), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. Le parole “o produrli” sono state inserite dalla cit. L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 18 entrata in vigore il 4 luglio 2009, per cui vale il succitato regime transitorio);

ne deriva che, avendo parte opponente – ricorrente contestato fin dalle prime battute del processo il rapporto subordinato, per contro ritenuto dall’ente previdenziale, creditore/impositore con l’opposta cartella esattoriale, la rilevanza probatoria del documento, ancorchè prodotto soltanto in appello, risultava ad ogni modo attinente al tema della decisione ed in particolare alle allegazioni inerenti al fatto primario della inesistente subordinazione, comunque esclusa già in prime cure dalla S.a.s. PANIFICIO L.E. & C., nonchè quindi indispensabile nei sensi di cui al citato art. 437, comma 2 (anche se eventualmente in parte circa la quantificazione della pretesa creditoria);

nel rito del lavoro, il giudice deve vagliare l’ammissibilità di nuovi documenti prodotti in appello sotto il profilo della rilevanza degli stessi in termini di indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al “thema probandum”, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall’intero processo (Cass. sez. 6 – L, ordinanza n. 7883 del 20/03/2019. Cfr. altresì Cass. lav. n. 18924 del 5/11/2012, secondo cui nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado. Ne consegue che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte.

V. pure Cass. lav. n. 19305 del 29/09/2016, secondo cui nel c.d. rito lavoro il potere istruttorio d’ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c., non è meramente discrezionale, ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicchè il giudice – anche di appello -, qualora reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati d’indagine, non può arrestarsi al rilievo formale del difetto di prova ma deve provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio idonei a superare l’incertezza sui fatti in contestazione, senza che, in tal caso, si verifichi alcun aggiramento di eventuali preclusioni e decadenze processuali già prodottesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile ai fini del decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo. In senso analogo anche Cass. lav. n. 278 del 10/01/2005.

V. inoltre Cass. sez. un. civ. n. 11353 del 17/06/2004, per la parte in cui si affermava, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., che l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere, sicchè il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c., ed al disposto di cui all’art. 111 Cost., comma 1, sul “giusto processo regolato dalla legge” – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso.

V. ancora Cass. sez. un. 8202 del 20/04/2005, laddove pur affermandosi, in base al combinato disposto dell’art. 416 c.p.c., comma 3 e art. 437, comma 2 cit. codice, che l’irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello, ciò nondimeno è stato rilevato un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse.

Cfr. del resto, quanto osservato da Cass. I civ. in ordine all’appello secondo il rito ordinario, con l’ordinanza n. 24164 del 13/10/2017, secondo cui costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. In senso conforme Cass. sez. un. civ. n. 10790 del 7/3/ – 4/05/2017);

pertanto, come ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte nella citata pronuncia n. 8202/05 (cui hanno fatto seguito numerose altre decisioni fra le quali Cass. 6/10/2016 n. 20055 e 16/05/2018n. 11994), il deposito di documenti in momento successivo al deposito della memoria di costituzione è ammesso quando la produzione abbia ad oggetto circostanze decisive, sicchè il rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa. Nell’ottica descritta va ricordato ancora l’orientamento espresso da questa Corte sulla questione della ammissibilità dei mezzi istruttori in appello e sulla definizione della nozione di indispensabilità della prova (Cass. s.u. n. 10790/17 cit.), che ampiamente riprende e conferma i principi già affermati nell’arresto di Cass. s.u. 8202/05, pervenendo alla conclusione che il giudizio di indispensabilità implica una valutazione sull’idoneità del mezzo istruttorio a dissipare un perdurante stato di incertezza sui fatti controversi smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio;

alla stregua delle superiori argomentazioni, l’attività processuale posta in essere dalla parte appellante nel giudizio di gravame, deve ritenersi esente da censure, ed ammissibile la produzione documentale concernente l’anzidetto attestato di servizio inerente all’attività lavorativa svolta dal sig. L.V.;

la sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d’Appello, in diversa composizione, che provvederà allo scrutinio della fattispecie considerata, facendo applicazione dei succitati principi di diritto, provvedendo, all’esito, anche sulle spese di questo giudizio di legittimità;

atteso il positivo esito dell’impugnazione qui proposta, NON ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il secondo. Cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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