Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15807 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/07/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 29/07/2016), n.15807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6850 – 2015 R.G. proposto da:

P.A. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Sistina, n. 125, presso lo studio dell’avvocato M.Z.,

che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Marco di

Lotti la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE (già Comune di Roma) – c.f. (OMISSIS) – in persona del

sindaco pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale

a margine del controricorso dall’avvocato Rosalda Rocchi ed

elettivamente domiciliata in Roma, presso gli uffici dell’avvocatura

capitolina, alla via del Tempio di Giove, n. 21;

– controricorrente –

Avverso la sentenza del tribunale di Roma n. 21068 dei 1/24.10.2014,

pronunciata in grado di appello;

Udita la relazione all’udienza in camera di consiglio dell’11 aprile

2016 del consigliere Dott. ABETE Luigi;

Udito l’avvocato M. Z. per la ricorrente;

Letta la relazione ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, del Dott. Abete

Luigi;

Letta la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, presentata dal

ricorrente.

Fatto

RILEVA IN FATTO

P.A. proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c., avverso cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 211,15.

L’adito giudice di pace di Roma con sentenza n. 47902 depositata il 29.10.2012 accoglieva l’opposizione, annullava la cartella esattoriale e condannava il comune di Roma a rimborsare a controparte le spese di lite, liquidate in Euro 400,00, di cui Euro 30,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Con atto notificato in data 1.2.2013 P.A. proponeva appello; lamentava “l’esiguità della liquidazione delle spese” (così ricorso, pag. 1) ed, in particolare, eccepiva la “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., la L. n. 1051 del 1957, art. unico, e della tariffa adottata con delibera del consiglio nazionale forense del 12/6/1993 e 29/9/94 approvata con D.M. n. 585 del 1994 tabella B) dell’art. 15 del citato D.M., nonchè violazione e falsa applicazione del principio della L. n. 794 del 1942, art. 24” (così ricorso, pagg. 1 – 2).

Chiedeva “il riconoscimento della somma indicata nella nota spese già depositata in primo grado pari ad Euro 1.722,77 o la maggior/minor somma ritenuta di giustizia, a seconda delle voci indicate” (così ricorso, pag. 2).

Resisteva Roma Capitale.

Con sentenza n. 21068 dei 1/24.10.2014 il tribunale di Roma rigettava il gravame e compensava interamente le spese del grado di appello.

Evidenziava che la liquidazione operata dal primo giudice, commisurata alle cause di importo fino ad Euro 600,00, era rispondente, con riferimento sia agli onorari sia ai diritti, alle indicazioni di cui, rispettivamente, alle tabelle “A” e “B” del D.M. n. 127/2004 applicabile ragione temporis alla fattispecie; che, al contempo, andavano applicati i minimi tariffari “in ragione del modesto valore della vertenza, della semplicità delle argomentazioni sostenibili in linea teorica anche senza l’assistenza di un legale e della non riconoscibilità di alcune voci della nota spese” (così sentenza d’appello, pag. 2).

Avverso tale sentenza P.A. ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

Roma Capitale ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Con un unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., delle disposizioni del codice di rito concernenti la liquidazione delle spese di lite, del “tariffario forense”, dell’art. 36 Cost..

Adduce che in prime cure aveva depositato apposita nota con cui aveva domandato la liquidazione di Euro 735,00 per onorari, di Euro 439,00 per diritti e di Euro 106,17 per spese non imponibili; che il primo giudice in alcun modo aveva motivato in ordine alla eliminazione o alla riduzione delle voci indicate nella “nota – spese”, in tal guisa precludendo la verifica della conformità della liquidazione effettuata alle risultanze degli atti e delle tariffe; che il giudice del gravame parimenti “non si è espresso chiaramente sul punto” (così ricorso, pag. 9).

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto respinto.

Si rappresenta che, a rigore, la ricorrente non ha denunciato la violazione dei minimi tariffari. Del tutto generico, invero, e il riferimento alla liquidazione “di una somma assai inferiore al Tariffario Forense ed a quanto stabilito dalle tabelle in vigore nel Tribunale Civile di Roma”, che si rinviene nel corpo del ricorso (a pag. 5), propriamente nel testo dell’atto di appello riprodotto nel testo del ricorso a questa Corte di legittimità.

Evidentemente, in questi termini, non può che rivestire valenza l’insegnamento di questo Giudice del diritto secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (cfr. Cass. 9.10.2015, n. 20289; nella specie, questa Corte ha rigettato il ricorso con il quale il professionista ricorrente riconosceva che non erano stati violati i minimi tariffari, ma lamentava che le sue prestazioni professionali non erano state adeguatamente valutate; Cass. 4.7.2011, n. 14542, secondo cui la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini; Cass. 4.3.2003, a 3178, secondo cui la determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, essendo rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia specificamente invocata la violazione dei minimi tariffari che, per l’autosufficienza del ricorso, deve essere dedotta con riferimento non solo alle singole voci ma anche agli importi considerati, così da consentire alla Corte il controllo senza l’esame degli atti, trattandosi di errori in indicando,. Cass. 14.6.1982, n. 3607, secondo cui la determinazione degli onorari di difesa, ove la relativa liquidazione non sia superiore al massimo o inferiore al minimo stabilito dalla tariffa, costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità).

Comunque, seppur la ricorrente avesse denunciato la violazione dei minimi tariffari (lo si ammette esclusivamente per ampiezza di motivazione), di certo non ha provveduto – di già con l’atto di appello, riprodotto testualmente alle pagine 5, 6 e 7 del ricorso a questa Corte – a specificare analiticamente le voci e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore (cfr. Cass. 7 8.2009, n. 18086, secondo cui, appunto, la parte che intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima; Cass. sez. lav. 9.7 2009, n. 16149, secondo cui in tema di liquidazione delle spese processuali, la parte che censuri la sentenza di primo grado con riguardo alla liquidazione delle spese di giudizio, lamentando la violazione dei minimi previsti dalla tariffa professionale (n.d.e.: ma non è il caso di specie), ha l’onere di fornire al giudice d’appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando, in maniera specifica, gli importi e le singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado, dovendosi escludere che tali indicazioni possano essere desunte da note a da memorie illustrative successive, la cui funzione è solo quella di chiarire le censure tempestivamente formulate; Cass. 27.10.2005, n. 20904; Cass. 12.4.2001, n. 5467, secondo cui la liquidazione delle spese processuali può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, perciò la semplice enunciazione di prestazioni che non sarebbero siate prese in considerazione senza la possibilità di un raffronto con l’importo liquidato dal giudice, rende la censura inammissibile).

Al contempo del tutto generico è il vizio motivazionale denunciato nel corpo del ricorso ed in verità per nulla riflesso nella rubrica dell’unico motivo dedotto.

In ogni caso il giudice a quo ha congruamente ed esaustivamente enunciato le ragioni atte a giustificare la liquidazione delle competenze di prime cure secondo i minimi tariffari ovvero, limitatamente agli onorari, in misura pari ad Euro 55,00 per l’intero giudizio, in quanto di valore non superiore ad Euro 600,00, alla stregua del punto 1 del paragrafo 1 – cause davanti ai giudici di pace – della tabella “A” del D.M. n. 127 del 2004.

E siffatta motivazione è ineccepibile, tanto più nel segno dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, 71. 8053), secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle Prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Si è anticipato che la ricorrente (comparsa all’udienza in camera di consiglio) ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

In relazione ai rilievi della ricorrente di cui alla summenzionata memoria si rappresenta quanto segue.

In primo luogo, che anche nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2. P.A. non ha denunciato la violazione dei minimi tariffari. Beninteso, seppur a tanto avesse atteso, lo avrebbe fatto irritualmente e tamquam non esset, non avendo formulato denuncia in tal senso nel ricorso a questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 19.5 1997, n. 4445, secondo cui nel giudizio di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi dell’impugnazione ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure nè venire sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può venire specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari del ricorso).

In secondo luogo, che pur nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, la ricorrente non ha provveduto a specificare analiticamente le voci e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore (del pari, beninteso, lo avrebbe fatto irritualmente).

A nulla vale dedurre che contestazione in tal senso è stata preclusa, “considerato che nella liquidazione delle spese il giudice di pace ha illegittimamente accorpato gli onorari ai diritti” (così memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, pag. 4).

Si è premesso che il giudice di prime cure ebbe a liquidare le spese di lite in Euro 400,00, di cui Euro 30,00 per esborsi, oltre accessori di legge. E che il giudice di secondo grado ha, a sua volta, precisato che gli onorari in particolare si commisurano all’importo minimo di Euro 55,00.

Su tale base ben avrebbe potuto e dovuto P.A.- nel ricorso a questa Corte – indicare puntualmente le singole “voci” d’attività di avvocato e di procuratore prestate ed il correlato quantum “tariffario” della remunerazione spettantegli e, parallelamente, per “esclusione” il quantum della remunerazione accordatagli ovvero non accordatagli.

Si badi che è sulla scorta e solo sulla scorta dell’analitica specificazione delle voci cui si correla l’errore del giudice del merito, che può esplicarsi il sindacato di questa Corte di legittimità.

In terzo luogo, che è stato formulato unicamente ed esclusivamente con la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, lo specifico rilievo per cui “la motivazione è evidentemente errata in quanto non tiene conto del (…) D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 7, ai sensi del quale “nelle cause riservate alla esclusiva competenza funzionale del giudice di pace e nelle cause accessorie o di garanzia sono dovuti gli onorari di cui al paragrafo 11 della tabella A, avuto riguardo al valore della controversia”” (così memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, pag. 3), ossia sostanzialmente il rilievo per cui “nelle cause riservate alla esclusiva competenza funzionale del giudice di pace, come quello di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, gli onorari spettanti al difensore devono essere liquidati tenendo presente le singole voci riportate sì, nella tabella A, ma per la parte relativa alle cause davanti al Tribunale, ossia nel paragrafo 2” (così memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, pag. 3).

In ogni caso, a tal ultimo riguardo si evidenzia che certamente al giudice di pace è attribuita la competenza funzionale, generale ed esclusiva ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 bis, comma 1 e comma 3, lett. c), in ordine alle sanzioni amministrative in materia di assegni bancari e di violazioni del codice della strada (cfr. Cass. (ord.) 20.6.2011, n. 13551; allo stato il riferimento è al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 2).

Nondimeno da nessun passaggio e del ricorso a questa Corte e della sentenza impugnata e della stessa memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, si evince l’esatta natura dell’infrazione cui si correla la sanzione amministrativa di Euro 211,15.

Ed ulteriormente si evidenzia che nella seconda parte del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 7, è statuito che “nelle cause di competenza del giudice di pace, ai sensi dell’art. 7 c.p.c., comma 2, eccedenti il valore di Euro 2.600,00 sono ugualmente dovuti gli onorari di cui al paragrafo 2”.

E’ ben chiara la voluntas legis, con riferimento alle cause (di valore non superiore a Euro 20.000.00) di competenza del giudice di pace in materia di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, di consentire la dilatazione degli onorari solo nell’ipotesi in cui il valore della controversia sia superiore ad Euro 2.600,00.

Ebbene, la necessità di evitare, in rapporto agli onorari in materia di responsabilità da circolazione di veicoli e di natanti, macroscopiche disparità di trattamento su un terreno, quale quello – in disamina – della competenza funzionale ed esclusiva del giudice di pace D.Lgs. n 150 del 2011, ex art. 7, del pari destinata ad esplicarsi con riferimento a valori monetari ben determinati, suscettibili di “posizionare” ab origine la controversia al di sopra ovvero al di sotto della soglia di Euro 2.600,00, induce a disconoscere, ben vero nel quadro di un’interpretazione del complessivo dettato del comma 7 dell’art. 5 cit., la possibilità di accordare gli onorari di cui al paragrafo 2 della tabella “A” allegata al D.M. n. 127 del 2004, allorchè pur in ipotesi di opposizione al verbale di accertamento di violazione al codice della strada ovvero di opposizione ex art. 615 c.p.c., non si ecceda – è il caso de quo – la soglia di Euro 2.600,00.

In dipendenza del rigetto del ricorso P.A. va condannata a rimborsare a Roma Capitale le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Si da atto che il ricorso è stato notificato in data 13.3.2015.

Ne discende, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), che il rigetto del ricorso determina l’obbligo per la ricorrente P.A. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente P.A. a rimborsare a Roma Capitale le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, che il rigetto del ricorso determina l’obbligo per la ricorrente P.A. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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