Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15807 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/07/2020, (ud. 29/05/2019, dep. 23/07/2020), n.15807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2251-2014 proposto da:

DITTA ARTIGIANA INDIVIDUALE DI R.G., C.F. (OMISSIS), in

persona del titolare e legale rappresentante R.G.,

domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato SANDRO PINCELLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS) elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO,LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1235/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 05/11/2013 R.G.N. 238/2013.

La CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza del 17 ottobre – cinque novembre 2013, notificata il 4 dicembre dello stesso anno, confermava la pronuncia del Tribunale di Teramo in data 31 ottobre 2012, appellata dalla ditta artigiana individuale DI R.G. come da ricorso del 5 marzo 2013, che aveva respinto l’opposizione del D.R. avverso la cartella esattoriale, relativa ad omissioni contributive, per un totale di Euro 262.165,47 sulla scorta di DM/10 relativi al periodo (OMISSIS), quindi rettificati in base al verbale ispettivo dell’I.N.P.S. n. 509 dell’otto febbraio 2008 (di seguito ad accertamento eseguito da militari della Guardia di Finanza in data (OMISSIS)), anch’esso, ma separatamente, opposto in via giudiziale, pure respinta, riguardo alla mancata registrazione di ore e giornate lavorative per diversi dipendenti assunti “in nero”. La Corte d’appello condivideva la valutazione del giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che la prova delle violazioni fosse stata fornita dall’Inps con la documentazione allegata al verbale di constatazione della Guardia di Finanza n. (OMISSIS), posto che le rilevate omissioni di contribuzione previdenziale emergevano dal confronto tra i registri delle presenze mensili ufficiali (libro paga) e quelli dei due registri extracontabili rinvenuti nell’abitazione del titolare della ditta, coincidente con la sede dell’impresa, che indicavano per ciascun mese, a partire dal (OMISSIS), il nome dei lavoratori (indicati in maniera informale perlopiù con il solo nome di battesimo), le presenze giornaliere, le retribuzioni corrisposte, il numero totale delle ore di lavoro prestato;

per la cassazione della sentenza d’appello il sig. D.R.G., quale titolare della omonima ditta artigiana, ha proposto ricorso, notificato il 17 gennaio 2014, affidato a due motivi, cui l’I.N.P.S., anche in nome e per conto della società di cartolarizzazione S.C.C.I. S.p.a., ha resistito con controricorso, di cui è stata chiesta la notifica il 26 febbraio 2014 (v. raccomandata a.r. del successivo 27 febbraio, il cui plico risulta poi ritirato dal destinatario il 12 marzo 2014).

Diritto

CONSIDERATO

che:

come primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, e art. 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il punto decisivo del giudizio, per avere ritenuto la Corte d’Appello che l’Istituto previdenziale avesse dimostrato mediante i dati extracontabili la sicura individuazione dei lavoratori effettivamente impiegati dalla ditta appellante, le giornate di lavoro e la relativa retribuzione;

con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 389 del 1989, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio, per avere la Corte distrettuale giudicato infondato il secondo motivo di gravame, stante l’insussistenza del predicato difetto di prova da parte dell’I.N.P.S. e ritenuto assorbito il terzo motivo, avendo escluso la denunciata arbitrarietà del calcolo dell’addebito e quindi la necessità della consulenza contabile invocata dall’appellante. Nè la Guardia di Finanza, nè l’Inps erano riusciti, quale conseguenza della mancata compiuta individuazione dei lavoratori, ad attribuire agli stessi le mansioni e qualifiche professionali o comunque l’inquadramento indispensabile ad individuare il c.c.n.l. applicabile ai fini del calcolo della retribuzione imponibile. Inoltre, il calcolo dei contributi era stato operato dall’I.N.P.S. in maniera non trasparente, nè comprensibile, avendo riportando il verbale di accertamento il solo importo finale dell’imponibile retributivo calcolato per ciascun anno di addebito in maniera cumulativa per tutti i lavoratori ritenuti impiegati. Di conseguenza, non era possibile desumere alcunchè sul come ed in base a quali leggi e contratti collettivi si era pervenuti alla determinazione dei contributi pretesi e delle connesse sanzioni. In vista di ciò la decisione impugnata risultava illogica ed immotivata nel non aver ammesso c.t.u. contabile, che avrebbe potuto circoscrivere l’accertamento ai pochissimi soggetti individuati con nome e cognome, con riferimento ai quali, essendo i medesimi già assunti dalla ditta, sarebbe stato agevole il calcolo della base imponibile, ciò che invece non sarebbe stato possibile per gli altri lavoratori.

Per altro verso la sentenza impugnata violava il principio di trasparenza, fondamentale per tutti gli atti amministrativi, tanto più per quelli impositivi, dovendo quindi essere annullata la cartella opposta qualora non risulti chiara la causale delle somme “avanzate” (pretese ?) dall’ente impositore. Infine, parte ricorrente ha lamentato il rigetto del quarto motivo d’appello, in quanto la censura sarebbe stata formulata senza i necessari riferimenti temporali, atteso che la notifica del ricorso di cui al primo procedimento (sub. n. 1671/08) sarebbe avvenuta dopo l’iscrizione a ruolo;

tanto premesso, il ricorso va disatteso in base alle seguenti ragioni;

invero, quanto al primo motivo, occorre ribadire che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre per dedurre in cassazione la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 13395 del 29/05/2018, Cass. n. 26769 del 23/10/2018);

nel caso in esame i giudici di merito hanno ritenuto che la prova del credito contributivo risultasse dall’esame dei prospetti extracontabili allegati al verbale della Guardia di Finanza e richiamati dall’Inps, rinvenuti nell’abitazione del D.R. ove era stabilita la sede legale dell’impresa, il cui contenuto che non era stato fatto oggetto di specifica contestazione. La Corte territoriale si è attenuta, quindi, ai parametri di legge nel valutare le risultanze dell’accertamento, considerato altresì che il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese, mentre la veridicità sostanziale delle dichiarazioni acquisite – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – può essere contestata con qualsiasi mezzo di prova (Cass. n. 24461 del 05/10/2018, Cass. n. 11751 del 24/06/2004). Il motivo, peraltro, è poi inammissibile laddove, in effetti, facendo riferimento, evidentemente, alla previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine al difetto di motivazione, si sostanzia nella critica alla ricostruzione operata dal giudice di merito delle risultanze fattuali (critica come tale non consentita in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c.). Ad ogni modo nella specie il vizio di cui al cit. art. 360, n. 5 non è nemmeno deducibile, per effetto della c.d. doppia conforme derivante dalla conferma della sentenza di primo grado, risalente al 31.10.2012, mediante il rigetto del gravame interposto in data 5 marzo 2013, sicchè la Corte d’Appello ha fatto propria la valutazione dei fatti adottata dal Tribunale, in quanto opera l’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) conv. con modif., nella L. n. 134 dello stesso anno. v. peraltro anche Cass. II civ. n. 5528 del 10/03/2014, secondo cui nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5 il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Conformi, tra le varie, Cass. III civ. n. 19001 del 27/09/2016 e Cass. I civ. n. 26774 del 22/12/2016);

anche il secondo motivo di ricorso appare irritualmente formulato, per giunta attraverso una pressochè inestricabile commistione di asseriti vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dovendosi comunque pur rilevare, in primo luogo, la preclusione da doppia conforme ex art. 348-ter c.p.c., u.c. (nei sensi già sopra indicati per la prima doglianza), per quanto concerne la pretesa – ex cit. art. 360, n. 5 – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (laddove d’altro canto nella specie è da escludere, per effetto delle rilevate coerenti ed adeguate argomentazioni svolte dai giudici di merito, qualsiasi violazione del minimo costituzionale circa il requisito della motivazione, però denunciabile, quale error in procedendo, a seguito della modifica dell’art. 360 n. 5, soltanto univocamente in termini di nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. cit. codice di rito). Ne deriva, inoltre, che nel caso di specie è insindacabile, in questa sede di legittimità, l’accertamento dei fatti di causa operata dai giudici di merito, sicchè appare anche inammissibile il prospettato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè la censura, sotto tale aspetto, non rispetta la distinzione chiarita dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale mentre il vizio di motivazione concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, la violazione di legge attiene esclusivamente all’interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche (Cass. sez. un. 28054 del 25/11/2008, I civ. n. 28663 del 27/12/2013). Ed invero, a tal riguardo, le anzidette doglianze, pur richiamando il vizio di violazione di legge, attengono in effetti alla ricostruzione operata dalla Corte di merito delle acquisite emergenze istruttorie, avendo i giudici aditi ritenuto che la documentazione extracontabile, nel raffronto con i libri paga della ditta, consentisse anche la ricostruzione dell’imponibile contributivo, potendo desumersi dalle pur sommarie indicazioni gli elementi identificativi dei singoli lavoratori interessati e gli ulteriori correlativi dati necessari;

parimenti è inammissibile il secondo motivo, laddove si denuncia il difetto di trasparenza e di chiarezza in ordine alla cartella opposta, sotto diversi profili, visto in primo luogo che la censura al riguardo risulta assolutamente non autosufficiente nella sua formulazione, in violazione quindi degli obblighi di allegazione e di specificità occorrenti a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n., tanto più che sul punto manca anche un preciso riscontro nella sentenza impugnata. D’altro canto, quest’ultima risulta pronunciata nei soli confronti dell’appellante D.R. e dell’appellato I.N.P.S., anche quale mandatario della società di cartolarizzazione, ma non anche nei confronti dell’agente addetto alla riscossione. Analogamente, il ricorso per cassazione è stato proposto nei soli riguardi dell’I.N.P.S., pure nell’anzidetta qualità. Per contro, l’accennato difetto trasparenza allude evidentemente ad un vizio di forma attinente alla cartella opposta, che di conseguenza andava ritualmente denunciato nei confronti dell’agente addetto alla riscossione, quale parte legittimata passivamente (cfr. sul punto Cass. III civ. n. 21080 del 19/10/2015, secondo cui in tema di riscossione mediante iscrizione a ruolo delle entrate non tributarie ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, la contestazione dell’assoluta indeterminatezza per mancanza di motivazione della cartella di pagamento integra un’opposizione agli atti esecutivi di cui al D.Lgs. n. 46 cit., art. 29, comma 2, per la cui regolamentazione rinvia alle forme ordinarie, poichè è diretta a far valere un vizio di forma dell’atto esecutivo, con riferimento alla notificazione della cartella che contiene un estratto del ruolo costituente titolo esecutivo, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49. V. altresì Cass. III civ. n. 3707 del 25/02/2016: in tema di riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo di entrate di natura non tributaria, qualora il debitore abbia impugnato la cartella di pagamento, emessa dall’agente della riscossione, per motivi che attengono a vizi della cartella medesima, compreso il vizio di motivazione, l’impugnazione deve essere rivolta nei confronti dell’agente della riscossione, il quale, ove assuma che il vizio sia imputabile all’ente impositore, può estendere il giudizio a quest’ultimo.

Cfr. ancora Cass. lav. n. 18691 in data 8/7/2008 per la parte in cui si precisa che nella disciplina della riscossione mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, l’opposizione agli atti esecutivi – con la quale si fanno valere i vizi di forma del titolo esecutivo, ivi compresa la carenza di motivazione dell’atto- è prevista dall’art. 29, comma 2, che per la relativa regolamentazione rinvia alle “forme ordinarie”, e non dall’art. 24 stesso D.Lgs., che si riferisce, invece, all’opposizione sul merito della pretesa di riscossione. Ne consegue che l’opposizione agli atti esecutivi va proposta contro il titolo esecutivo, che, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49 si identifica nella cartella esattoriale, non assumendo alcuna rilevanza, invece, l’assenza di accertamenti e delle relative contestazioni, trattandosi di adempimenti previsti per l’irrogazione delle sanzioni amministrative e non per l’esazione di contributi e somme aggiuntive);

ugualmente carenze di autosufficienza e di specificità all’evidenza si ravvisano, quanto alla seconda doglianza, laddove è stato lamentato, ma con assoluta genericità, il rigetto del quarto motivo d’appello, senza quindi neppure con precisione confutare le argomentazioni sul punto svolte dalla Corte di merito con la sentenza qui impugnata (infondata deve ritenersi anche l’ultima censura, peraltro inammissibilmente formulata senza l’indicazione dei necessari riferimenti temporali, atteso che il ricorso per accertamento negativo con il quale si è instaurato il procedimento n. 1671/2008 risulta depositato il 27.11.2008 e notificato all’INPS il 4.12.2008, in epoca successiva all’iscrizione a ruolo dei crediti di cui alla cartella di interesse, resi esecutivi in data 8.10.2008);

pertanto, nei sensi di cui sopra il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del soccombente al pagamento delle relative spese;

atteso, infine, l’esito del tutto negativo dell’impugnazione qui proposta sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi 11.000,00 (undicimila/00) per compensi professionali, oltre Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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