Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15806 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. I, 07/06/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 07/06/2021), n.15806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 812/2017 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio

Cantore n. 5, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Mucciolo,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Antonio Buono, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.a.s. (OMISSIS), nonchè del socio

illimitatamente responsabile R.A., in persona del curatore

Dott. G.L., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza

della Libertà n. 10, presso lo studio dell’Avvocato Francesca

Colombaroni, rappresentato e difeso dall’Avvocato Aurelio Marino,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3122/2016 della Corte d’appello di Napoli

pubblicata il 18/8/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/3/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 7098/2013, condannava S.R. al pagamento in favore del fallimento di (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) della somma di Euro 350.000, a ristoro dei danni dallo stesso provocati nell’esercizio del potere gestorio di mero fatto della compagine.

2. La Corte d’appello di Napoli, a seguito dell’impugnazione proposta dallo S., riteneva – per quanto qui di interesse – che quest’ultimo non potesse legittimamente invocare la violazione del principio del ne bis in idem con riferimento alla statuizione che aveva rigettato la richiesta di estensione nei suoi confronti della dichiarazione di fallimento L. Fall., ex art. 147.

Ciò non solo perchè l’istanza di fallimento era stata formulata sul presupposto dell’assunzione della qualità di socio da parte dello S., mentre nel giudizio risarcitorio il curatore si era limitato a dedurne lo svolgimento di un ruolo gestorio, allegando fatti nuovi e ulteriori, ma anche perchè i decreti di rigetto dell’istanza di fallimento sono privi di attitudine al giudicato.

I giudici distrettuali, inoltre, rilevavano l’inammissibilità dei motivi di appello che censuravano l’affermazione di responsabilità dello S. quale amministratore di fatto della società fallita, sia per essere stati formulati in maniera non rispettosa dei dettami di cui all’art. 342 c.p.c., comma 1, n. 1, sia per aver formulato doglianze in merito alle risultanze probatorie valorizzate dal primo giudice che non erano coerenti con il contenuto della decisione impugnata.

3. Per la cassazione della sentenza dm rigetto dell’appello, depositata in data 18 agosto 2016, ha proposto ricorso S.R. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS).

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c..

La Corte d’appello – a dire di parte ricorrente – avrebbe erroneamente disconosciuto il valore preclusivo del provvedimento inoppugnabile del Tribunale di Napoli che, a seguito del ricorso L. Fall., ex art. 147, aveva accertato come nessun atto imputabile alla società risultasse posto in essere dallo S..

Le due azioni erano state proposte facendo riferimento al medesimo fatto storico, costituito in entrambi i casi dalla pretesa ingerenza sociale dell’odierno ricorrente.

La curatela fallimentare avrebbe così ottenuto, con la decisione impugnata, un’inammissibile pronuncia di rivalutazione della gestione sociale di tenore antitetico all’accertamento negativo già compiuto a questo proposito, malgrado la domanda fosse investita dagli effetti dell’irretrattabile provvedimento del Tribunale fallimentare, in presenza del quale rimaneva preclusa la ripresentazione di un accertamento di analogo tenore.

5. Il motivo è infondato perchè muove da una premessa – costituita dal carattere irretrattabile della pronuncia di rigetto dell’estensione del fallimento L. Fall., ex art. 147 – nient’affatto condivisibile.

E’ principio consolidato all’interno della giurisprudenza di questa Corte che tanto il decreto reiettivo dell’istanza di fallimento, quanto quello che conferma il rigetto non sono idonei al giudicato (tanto che non sono ricorribili per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, trattandosi di provvedimenti non definitivi e privi di natura decisoria su diritti soggettivi; si vedano in questo senso Cass. 5069/2017, Cass. 20297/2015, Cass. 6683/2015, Cass. 19446/2011, Cass. 21834/2009, Cass., S.U., 26181/2006″ Cass. 15018/2001).

In termini generali la ratio dell’insegnamento è che l’istante qualunque istante, sia esso il creditore, sia esso, nel caso di cui alla L. Fall., art. 147, il curatore della società fallita con soci illimitatamente responsabili – non è portatore di un diritto all’altrui fallimento.

Tanto che non interessa neppure quale sia la ragione per la quale l’iniziativa di fallimento sia stata respinta (per motivi di rito, in base all’accertamento di circostanze di fatto od all’affermazione di principi di diritto; Cass. 19446/2011).

Quel che solo rileva è che il provvedimento, nella parte che pronuncia il rigetto, non può essere inteso come provvedimento che nega in concreto la sussistenza di un diritto al fallimento del debitore, posto che un simile diritto, nel sistema, non è astrattamente configurabile. Non interessa quindi se le domande proposte in questo procedimento ripercorrano, in fatto, la questione già dibattuta nella precedente sede fallimentare (nel senso escluso dalla Corte territoriale e contestato dall’odierno ricorrente).

In ogni caso rimane fermo che il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento, anche di quella in estensione presentata L. Fall., ex art. 147, non è idoneo al giudicato, dovendosi di conseguenza escludere che la prima pronuncia potesse assumere un qualche effetto rispetto alle domande risarcitorie in seguito introdotte dalla procedura.

5. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.: la Corte d’appello ha condiviso la valutazione del primo giudice concernente l’esercizio di un potere gestorio di mero fatto da parte dello S. nei confronti di (OMISSIS) s.a.s. e le conseguenze pregiudizievoli che questa ingerenza totale nell’amministrazione aveva provocato alla compagine.

Questo accertamento, tuttavia, si fonderebbe – in tesi di parte ricorrente – unicamente sulla documentazione prodotta dalla parte attrice, che in realtà nulla dimostrava ai fini della gestione sociale imputata allo S., e invece non considererebbe il valore probatorio contrario da attribuire al provvedimento oramai passato in giudicato reso dal Tribunale fallimentare.

6. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello non ha compiuto alcun accertamento rispetto all’affermazione della responsabilità dello S. quale nè di fatto di (OMISSIS) s.a.s., nè ha condiviso le valutazioni di merito svolte dal primo giudice.

I giudici distrettuali, al contrario, dopo aver ripercorso il tenore delle statuizioni compiute dal Tribunale a questo proposito, si sono limitati a rilevare che i motivi di appello proposti non contenevano alcuna critica, specifica o anche generica, nei confronti degli accertamenti in fatto compiuti dal primo giudice e delle relative valutazioni, così come non indicavano le modifiche richieste alla ricostruzione delle vicende in precedenza compiuta, nè risultavano coerenti con il contenuto della decisione impugnata rispetto agli elementi probatori valorizzati.

La doglianza in esame non si cura in alcun modo di questa constatazione di inammissibilità dei motivi di appello, a mente dell’art. 342 c.p.c. e lamenta una valorizzazione di elementi di prova che la decisione impugnata non ha minimamente operato. Ne discende, inevitabilmente, la sua inammissibilità, posto che le critiche illustrate sono prive di riferibilità alla decisione impugnata, non hanno alcuna specifica attinenza c:on il suo contenuto e sono, di conseguenza, assimilabili alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), rilevabile anche d’ufficio (Cass. 20910/2017).

7. In virtù delle ragioni appena illustrate il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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