Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15805 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/07/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 29/07/2016), n.15805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5082 – 2015 R.G. proposto da:

Avvocato F.G. – c.f. (OMISSIS) – da se medesimo

rappresentato e difeso ed elettivamente domiciliato in Roma, alla

via San Vincenzo dè Paoli, n. 13 (presso Marco Gardin).

– ricorrente –

contro

FU.GI. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Francesco Siacci, n. 38, presso lo studio dell’avvocato

Alessandro Giussani che lo rappresenta e difende giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della corte d’appello di Bari n. 1469 dei

19/23.9.2014;

Udita la relazione all’udienza in camera di consiglio dell’11 aprile

2016 del consigliere Dott. Abete Luigi.

Udito l’avvocato F.G.;

Udito l’avvocato Alessandro Giussani per il controricorrente;

Letta la relazione ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, del Dott. Abete

Luigi;

Letta la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, presentata dal

ricorrente.

Fatto

RILEVA IN FATTO

Con Decreto 26 febbraio 2002, n. 411, il presidente del tribunale di Bari ingiungeva all’avvocato F.G. e a B.R. di pagare al ricorrente, dottor Fu.Gi., la somma di Euro 12.867,51, oltre interessi e spese, a titolo di corrispettivo per l’incarico conferito al ricorrente ai fini della predisposizione di relazione di consulenza poi utilizzata dalla B. nell’ambito di una controversia di lavoro.

Avverso l’ingiunzione proponevano opposizione F.G. e Raffaella B.. Resisteva Fu.Gi..

Con sentenza n. 2827/2008 il tribunale di Bari accoglieva in parte l’opposizione, revocava l’ingiunzione, rigettava la domanda in via monitoria esperita nei confronti della B., condannava l’avvocato F. al pagamento della minor somma di Euro 6.127,79, oltre interessi, determinata sulla scorta delle tariffe dei dottori commercialisti, e compensava le spese legali.

Interponeva appello l’avvocato F.G..

Resisteva il dottor Fu.Gi.; esperiva appello incidentale.

Non si costituiva e veniva dichiarata contumace B.R..

Con sentenza n. 1469 dei 19/219.2014 la corte d’appello di Bari rigettava ambedue i gravami e condannava l’appellante principale alle spese del grado.

In merito alla doglianza secondo cui il primo giudice avrebbe dovuto, in assenza di disciplina convenzionale, determinare il quantum del corrispettivo alla stregua degli usi e non già delle tariffe professionali – giacchè all’atto del conferimento dell’incarico il dottor Fu.Gi. non era iscritto all’albo dei dottori commercialisti – evidenziava la corte distrettuale che non si era acquisito riscontro dell’esistenza di usi nella materia in questione, sicchè “il Tribunale non poteva fare altro che applicare la tariffa professionale dei dottori commercialisti” (così sentenza d’appello, pag. 12).

Avverso tale sentenza F.G. ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

Fu.Gi. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Con un unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), error in iudicando in relazione all’art. 2225 c.c., ed al D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 2, (ordinamento della professione di dottore commercialista).

Adduce che la corte territoriale, benchè abbia riscontrato il difetto, all’atto del conferimento dell’incarico, dell’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti del dottor Fu.Gi., ha del tutto contraddittoriamente applicato le tariffe professionali; che, viceversa, era da applicare “la disciplina di cui agli artt. 2222 e ss. c.c., e segnatamente quella di cui all’art. 2225 c.c. e non certo quella di cui all’art. 2333 c.c., riservata, anche ai sensi del D.P.R. n. 1067 del 1953, ai dottori commercialisti” (così ricorso, pag. 11); che, più esattamente, la corte avrebbe dovuto, “ex art. 2225 c.c., determinare il corrispettivo in relazione al risultato ottenuto ed alla quantità e qualità del lavoro normalmente necessario per ottenerlo” (così ricorso, pag. 11); che “la prestazione professionale non protetta (…) è, infatti, caratterizzata da un minor valore in quanto carente della spendita, a beneficio del committente, della competenza ed esperienza del professionista” (così ricorso, pag. 11).

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto respinto.

Invero questa Corte di legittimità spiega che nel contratto di prestazione d’opera autonoma la pattuizione del prezzo – che non costituisce elemento prescritto a pena di nullità – può anche mancare, con la conseguenza che in tal caso, a norma dell’art. 2225 c.c., il corrispettivo va determinato secondo le tariffe professionali ovvero secondo gli usi ovvero, ancora, direttamente dal giudice (cfr. Cass. 21.8.1985, n. 4452; Cass. sez. lav. 1.9.2004, n. 17564, secondo cui in tema di lavoro autonomo in generale, compreso il lavoro autonomo cosiddetto parasubordinato, è previsto dall’art. 2225 c.c., che il giudice possa determinare il corrispettivo in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo, ma ciò solo nel caso che non sia stato convenuto dalle parti e non possa esser stabilito secondo le tariffe professionali o gli usi).

Ed, al contempo, soggiunge che nell’applicazione del criterio, di natura tipicamente equitativa, dettato dall’art. 2225 c.c., per la determinazione del corrispettivo per il lavoro autonomo, ove questo non sia stato convenuto dalle parti, il giudice, pur dovendo considerare le peculiarità della singola fattispecie, non è vincolato da precise direttive o da determinati parametri, nè è tenuto a disporre consulenza tecnica, e può, in via di massima, riferirsi anche alle retribuzioni normalmente pagate per le corrispondenti prestazioni svolte in regime di subordinazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.1981, n. 1279).

Nei termini esposti, precipuamente alla luce di tal ultimo insegnamento, se è vero che il giudice in sede di determinazione del corrispettivo non è vincolato da precise direttive o da determinati parametri e può, in via di massima, riferirsi anche alle retribuzioni normalmente pagate per le corrispondenti prestazioni svolte in regime di subordinazione, ne discende che nulla osta a che il giudice determini il corrispettivo dovuto per prestazioni professionali “non protette”, per la cui esplicazione, cioè, non è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, assumendo a parametro di riferimento le tariffe dettate per le analoghe ovvero per le più o meno corrispondenti prestazioni professionali “protette”.

Si è anticipato che il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

In relazione ai rilievi del ricorrente di cui alla summenzionata memoria si rappresenta quanto segue.

In primo luogo, che il reiterato rilievo secondo cui “la prestazione professionale non protetta resa dal non professionista è caratterizzata da un minor valore perchè carente della spendita (…) della competenza ed esperienza del professionista” (così memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, pag. 1), non menoma, non svilisce affatto la puntualizzazione per cui il giudice non è vincolato da precise direttive o da determinati parametri; cosicchè ben può il giudice, anche al cospetto di una prestazione d’opera intellettuale “non protetta”, per la cui esplicazione cioè non è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, utilizzare in chiave parametrica le indicazioni di cui alla tariffa vigente per l’attività professionale “protetta” cui, mutatis mutandis, la prestazione “non protetta” può essere assimilata.

E tanto, propriamente, non già nel solco dell’art. 2233 c.c., sibbene nel segno dell’art. 2225 c.c., disposizione quest’ultima dettata in linea generale per il contratto d’opera e di cui, si badi, lo stesso avvocato F.G. ha espressamente lamentato (anche con la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2: cfr. pag. 3) la mancata applicazione.

In secondo luogo, che, siccome ha posto in risalto il controricorrente, “il giudice di primo grado ha determinato il compenso (…) nella misura, in verità, determinata dal C.T.U. che ha esplicitamente riconosciuto la complessità dell’incarico” (così controricorso, pag. 4).

In terzo luogo, che, al più, è da correggere, nel segno dell’art. 384 c.p.c., u.c., il riferimento dalla corte di merito operato – a pagina 12, in sede di disamina del quarto motivo di gravame – all’art. 2233 c.c.: sul terreno della prestazione d’opera intellettuale “non protetta” risulta più congruo reputare che il corrispettivo sia stato dal giudice di prime cure determinato giusta la prerogativa prefigurata nella seconda parte della disposizione di portata generale di cui all’art. 2225 c.c..

In questi termini, ossia – si ribadisce – nel solco dell’art. 2225 c.c., non ha, evidentemente, ragion d’essere la paventata elusione “dello spirito e della ratio dell’art. 2233 c.c.” che l’avvocato F. ha prefigurato a pagina 2 della memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

In dipendenza del rigetto del ricorso F.G. va condannato a rimborsare a Fu.Gi. le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 13.2.2015. Ne discende, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), che il rigetto del ricorso determina l’obbligo per il ricorrente F.G. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente F.G. a rimborsare a Fu.Gi. le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, che il rigetto del ricorso determina l’obbligo per il ricorrente F.G. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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