Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15804 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/06/2017, (ud. 11/05/2017, dep.23/06/2017),  n. 15804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15778-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

G.R., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 991/29/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA, SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata I’

08/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’ 11/05/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate ricorre, su due motivi, nei confronti dei soggetti indicati in epigrafe (che resistono con controricorso) avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Puglia ne aveva dichiarato improcedibile l’appello avverso la decisione di primo grado, per l’accertato difetto di legittimazione, sostanziale e processuale, dei soggetti nei cui confronti era stato proposto.

In particolare, il Giudice di appello -rilevato che, a seguito di ordinanza di integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della contribuente, questi si erano costituiti depositando l’atto di rinuncia all’eredità – riteneva l’appello improcedibile perchè la rinuncia privava i chiamati all’eredità della legittimazione a contraddire per ogni questione riguardante il de cuius.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, la ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – rubricato: violazione dell’art. 348 c.p.c.- la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dichiarato l’appello improcedibile, in esito alla rinuncia dei chiamati all’eredità della contribuente, non rientrando detta ipotesi in quelle tassativamente previste dalla norma invocata.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 laddove, secondo la prospettazione difensiva, il Giudice aveva fondato la propria decisione su un documento (la rinuncia all’eredità) prodotto oltre il termine fissato dall’art. 32 invocato, ovvero tredici, e non venti, giorni prima dell’udienza fissata.

2.1. Detta censura va esaminata, per ragioni di ordine logico giuridico delle questioni, da prima. All’uopo, appare opportuno premettere la ricostruzione fattuale della vicenda processuale per come risulta incontestata in atti.

Nel corso del giudizio di secondo grado, la Commissione tributaria regionale dichiarò l’interruzione del processo, per la morte della contribuente appellata e del suo difensore, e dispose l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi, fissando all’uopo l’udienza del 28 gennaio 2015. A tale incombente l’Agenzia provvedeva con atto del 25.11.2014 ricevuto da una degli eredi il 1 dicembre 2014.

I chiamati in causa si costituirono il 14.1.2015 depositando l’atto di rinuncia all’eredità.

La norma che si deduce come violata con il mezzo, ovvero il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, testualmente recita: le parti possono depositare documenti fino a venti giorni prima della data di trattazione osservato l’art. 24, comma 1.

Detta norma va strettamente collegata con gli artt. 23 e 24 stesso D.Lgs. i quali prevedono in via generale le modalità di costituzione in giudizio della parte resistente, ivi comprese la produzione di documenti in uno con le controdeduzioni entro sessanta giorni dalla notificazione.

Le norme sono poi espressamente richiamate per il giudizio di appello dall’art. 54 che richiama l’art. 23, mentre in materia di nuove prove soccorre l’art. 58 il quale dispone che il giudice d’appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. E’ fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti.

2.2. Questo il quadro normativo, invocato dalla ricorrente, va evidenziato come non sussista la dedotta violazione di legge. Ed invero le norme ed i precedenti giurisprudenziali di questa Corte citati a conforto della fondatezza del mezzo di ricorso non possono trovare applicazione alla fattispecie, del tutto diversa e particolare rispetto a quella ordinaria, nella quale i chiamati in causa nel giudizio di appello si costituirono, depositando l’atto di rinuncia all’eredità, nel termine di cui all’art. 23, richiamato per il grado di appello dall’art. 49, ovvero entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto di chiamata in causa.

Ciò che rende ininfluenti le contrarie argomentazioni svolte dalla ricorrente nella memoria anche alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del Sentenza n. 2951 del 16/02/2016 ovvero che “la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa”.

3. Affermata, pertanto, la piena e legittima utilizzabilità da parte del Giudice di appello dell’atto di rinuncia all’eredità, anche il secondo motivo di ricorso non merita accoglimento. Ed invero, la censura è inammissibile laddove non coglie, aldilà della terminologia processualmente errata usata dal Giudice di appello, l’effettiva ratio della decisione impugnata nella quale si è espressamente motivato che il giudizio di appello non poteva proseguire per il difetto di legittimazione passiva sostanziale e processuale dei chiamati in causa. E ciò correttamente alla luce dei principi statuiti da Cass. n. 25151 del 26/11/2014 (“Qualora l’atto di riassunzione del giudizio interrotto per morte della parte sia stato notificato nei confronti del solo chiamato all’eredità, che, lamentando il proprio difetto di “legitimatio ad causam”, abbia successivamente rinunziato all’eredità, la sentenza di primo grado è nulla attesa l’efficacia retroattiva della rinunzia all’eredità con la conseguenza che il giudice d’appello deve rimettere il giudizio al primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., per consentire la regolarizzazione del contraddittorio, eventualmente previa nomina di un curatore dell’eredità giacente) di recente ribaditi da Cass. 6 – 5, Ordinanza n. 9225 del 10/04/2017 (“L’atto d’impugnazione notificato al solo chiamato all’eredità, che vi abbia rinunciato, è inammissibile per difetto di legitimatio ad causam, attesa l’efficacia retroattiva della rinunzia all’eredità ai sensi dell’art. 521 c.c.”).

4. Conclusivamente, pertanto, il ricorso va rigettato.

5. La peculiarità della fattispecie induce a compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Compensa le spese integralmente tra le parti.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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