Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15804 del 02/07/2010
Cassazione civile sez. lav., 02/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 02/07/2010), n.15804
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO
ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta mandato in calce
al ricorso;
– ricorrente –
contro
R.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 114/2007 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 11/04/2007 r.g.n. 410/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/05/2010 dal Consigliere Dott. MORCAVALLO Ulpiano;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 luglio 2004 il Tribunale di Macerata, in funzione di giudice del lavoro, accoglieva la domanda proposta da R.M. nei confronti dell’INPS, intesa ad ottenere la trasformazione della pensione di invalidita’ in pensione di vecchiaia con decorrenza dal primo giorno del mese successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta’, anziche’ dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda di trasformazione, cosi’ come invece ritenuto dall’Istituto.
2. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Ancona, che, con sentenza dell’11 aprile 2007, respingeva l’appello dell’Istituto rilevando che la regola della decorrenza della pensione di vecchiaia dal primo giorno del mese successivo a quello di compimento dell’eta’ pensionabile non poteva trovare eccezione – in base al principio di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. – nell’ipotesi in cui l’assicurato fosse gia’ titolare della pensione di invalidita’.
2. Di questa sentenza l’INPS domanda la cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione. Il pensionato non ha svolto difese in questa fase di giudizio.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione o falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, del R.D.L. n. 463 del 1983, art. 8, convertito in L. n. 638 del 1983, nonche’ del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 60, del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, della L. n. 218 del 1952, art. 2, del D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 1, 2, 5 e 6 (tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Sostiene l’INPS che la pensione di invalidita’, di cui era titolare l’assicurato in base alla normativa precedente l’entrata in vigore della L. n. 222 del 1984, non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia al perfezionarsi dei relativi requisiti – tale effetto automatico essendo stato previsto solo dalla L. n. 222 del 1984 e solamente (art. 10) per i titolari di assegno di invalidita’ – conseguendone, per l’assicurato, la necessita’ di presentare la domanda di trasformazione, la cui data rileva anche ai fini della decorrenza della pensione di vecchiaia (coincidendo tale decorrenza con il primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda in parola).
2. Il ricorso e’ fondato.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 622 del 2005, n. 855 del 2006, 4392 del 2007, 2879 del 2008 e numerose successive conformi), per quanto riguarda la pensione di invalidita’ di cui al R.D.L. n. 636 del 1939 – pensione della quale, incontestatamente, era titolare l’odierno intimato – nessuna disposizione normativa prevede la sua automatica trasformazione in pensione di vecchiaia. Del resto, la stessa possibilita’ di mutamento del titolo di pensione – anche nei casi di espressa domanda dell’assicurato -, in particolare la possibilita’ di ottenere, al compimento dell’eta’ pensionabile, la trasformazione della pensione di invalidita’ in pensione di vecchiaia, e’ stata per anni oggetto di contrasto in dottrina e in giurisprudenza; detto contrasto e’ stato, poi, risolto in senso affermativo dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8433 del 2004 in base al rilievo secondo cui e’ immanente, nel nostro sistema pensionistico, il principio della mutabilita’ del titolo. L’esistenza di un tale principio, peraltro, non puo’ risolversi in danno dell’assicurato e, dunque – in difetto di una specifica previsione di legge che consideri automatica la trasformazione di un trattamento pensionistico in un altro -, non puo’ che concretarsi nel riconoscimento, all’assicurato medesimo (libero di valutarne i vantaggi), della facolta’ di richiedere la trasformazione e, percio’, nel riconoscimento di uno specifico diritto di opzione che non puo’ che essere conseguente a una sua domanda in tal senso. Ne’ puo’ affermarsi che la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, sia direttamente applicabile alla fattispecie dell’invalidita’ disciplinata dalla normativa anteriore. La norma, sicuramente di carattere eccezionale -ove si consideri che, in materia di prestazioni previdenziali, la domanda dell’interessato costituisce la “regola” – non e’, per cio’ stesso, suscettibile di interpretazione analogica e, con riferimento alla “vecchia” pensione di invalidita’, neppure di interpretazione estensiva (vedi sui limiti della interpretazione estensiva di disposizioni “eccezionali” o “derogatorie” rispetto ad una avente natura di “regola”: Cass. n. 9205 del 1999), considerando le profonde differenze che corrono tra le due prestazioni (la pensione e’ prestazione molto piu’ favorevole all’assicurato dell’assegno) e che giustificano la diversa disciplina in materia: cambiano, infatti, nella L. n. 222 del 1984 cit., le condizioni relative alla misura dello stato invalidante, giacche’ la riduzione della capacita’ di “guadagno” prevista per la pensione investiva un ambito di operativita’ piu’ ampio rispetto alla riduzione della capacita’ di “lavoro” prevista per l’assegno (art. 1, comma 1); la pensione di. invalidita’ era prestazione a carattere definitivo, soggetta solo a revoca per riacquisto della capacita’ di guadagno (R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10), mentre l’assegno ha durata triennale, confermabile su domanda dell’interessato (art. 1, comma 7); la pensione e’ reversibile ai superstiti mentre l’assegno non lo e’ (art. 1, comma 6); piu’ oneroso e’ il requisito contributivo, poiche’, se per entrambe le prestazioni e’ previsto il quinquennio di contribuzione, per l’assegno sono necessari tre anni di contribuzione nell’ultimo quinquennio (art. 4) mentre per la pensione era sufficiente un solo anno (L. n. 1272 del 1939, art. 9, n. 2, lett. b).
In conclusione ha errato la Corte di Ancona nell’affermare che, al compimento dell’eta’ pensionabile, la pensione di invalidita’ dell’odierno intimato si era automaticamente trasformata in pensione di vecchiaia, cosi’ da far decorrere il diritto alla prestazione dal compimento dell’eta’ pensionabile, anziche’ dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione all’INPS della domanda amministrativa di trasformazione.
3. Accolto il ricorso dell’INPS, la sentenza d’appello va cassata, e, poiche’ dalla stessa risulta che l’assicurato aveva dato atto di aver gia’ ottenuto dall’Istituto previdenziale la trasformazione richiesta con la decorrenza indicata dall’Istituto medesimo (controvertendosi solo per l’affermazione del diritto alla piu’ remota decorrenza della pensione di vecchiaia sin dal compimento dell’eta’ pensionabile), la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto della domanda del pensionato.
4. Nulla per le spese dell’intero processo ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003, nella specie inapplicabile avuto riguardo alla data di deposito del ricorso giurisdizionale).
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Nulla per le spese dell’intero processo.
Cosi’ deciso in Roma, il 26 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010