Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15803 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/07/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 29/07/2016), n.15803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26971 – 2014 proposto da:

D.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EUGENIA

TRUNFIO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS);

– intimato –

avverso il Decreto n. 50322/2013 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

ROMA dei 18/11/2013, depositato il 25/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MANNA Felice;

udito l’Avvocato Eugenia Trunfio difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 19.6.2009 D.P.G. adiva la Corte d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo ex L. n. 89 del 2001, per il danno patrimoniale e non derivato dall’irragionevole della causa civile di separazione personale dalla moglie, causa iniziata nel 1999 innanzi al Tribunale di Avellino ed ancora pendente in grado d’appello alla data di proposizione del ricorso. La domanda di ristoro dei danni patrimoniali, in particolare, si basava sul fatto che l’assegno di mantenimento in favore della moglie, inizialmente stabilito dal Presidente del Tribunale, era stato successivamente ridotto con la sentenza di primo grado, emessa il 14.1.2008, sicchè il ritardo nella definizione del processo aveva provocato la corrispondente perdita patrimoniale per l’irripetibilità dei pagamenti già effettuati.

Con decreto depositato il 15.12.2010 la Corte capitolina si pronunciava, accogliendola, sulla sola domanda relativa al danno non patrimoniale. Pertanto, contro tale decreto D.P.G., lamentando l’omessa pronuncia sulla domanda di equa riparazione per il danno patrimoniale, proponeva ricorso per cassazione, cui però rinunciava per averlo notificato tardivamente. Di qui l’estinzione del giudizio di cassazione dichiarata con decreto depositato in data 16.12.2011.

Nelle more, il secondo grado del giudizio presupposto era definito con sentenza della Corte d’appello di Napoli in data 5.3.2010, che escludeva il diritto al mantenimento; e, infine, il successivo giudizio di cassazione era concluso con ordinanza in data 25.6.2012, con la quale questa Corte rigettava il ricorso principale e dichiarava inammissibile quello incidentale del D.P., volto ad ottenere la restituzione degli importi già pagati a titolo di mantenimento.

D.P.G., pertanto, il 24.12.2012 proponeva un secondo ricorso ex L. n. 89 del 2001, per conseguire la riparazione del danno patrimoniale. Ricorso che la Corte d’appello di Roma respingeva, dapprima in sede monitoria poi con decreto collegiale all’esito dell’opposizione ex art. 5 – ter detta legge. Quest’ultimo provvedimento motivava il rigetto in considerazione del fatto che, a prescindere dalla questione inerente all’infrazionabilità della domanda, il danno lamentato era stato prodotto non dall’eccessiva durata del processo, ma da ragioni di puro merito, sicchè il ricorrente avrebbe dovuto agire semmai in sede civile contro il coniuge per la ripetizione dell’indebito.

Contro quest’ultimo decreto D.P.G. propone ricorso, affidato a sei motivi.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I sei motivi di ricorso denunciano la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., e artt. 156 e ss. c.p.c., per il difetto assoluto di motivazione del decreto impugnato, art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia sulla domanda di riparazione dei danni patrimoniali, artt. 24 e 111 Cost., art. 47 Carta di Nizza, 6, 13 e 17 CEDU, 2907 c.c., art. 99 c.p.c., e L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, in relazione al principio di effettività della tutela giurisdizionale, art. 6 CEDU, 2 L. n. 89 del 2001, artt. 1223, 1173 e 1363 per omessa motivazione sui fatti, controversi e decisivi, addotti dal ricorrente sull’esistenza del danno patrimoniale lamentato, artt. 2041 e 2042 c.c., per la generica ed infondata affermazione della proponibilità di un’azione d’arricchimento senza causa, e artt. 2 e 111 Cost., artt. 1175, 1337 e 2909, e artt. 324 e 99 c.p.c., relativamente al principio d’infrazionabilità della domanda ex lege Pinto e alle regole che presiedono alla formazione del giudicato.

2. – Detti motivi, da esaminare congiuntamente per l’unicità sia della ratio decidendi sia del capo di pronuncia in cui si sostanzia il decreto impugnato, sono infondati, sebbene per ragioni diverse da quelle svolte nella motivazione di detto provvedimento, di cui s’impone la correzione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

2.1 – Giova premettere che, nonostante la vasta latitudine delle censure svolte (in maniera, peraltro, sovrabbondante e a volte non pertinente all’unico problema posto dal caso in esame), i motivi di ricorso non valgono a dimostrare nè un’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno patrimoniale, nè una carenza assoluta di motivazione. Il decreto impugnato, infatti, si è pronunciato sulla domanda – tant’è che l’ha respinta nel merito – e ha fornito la propria sia pur succinta motivazione al riguardo, affermando che il tipo di danno patrimoniale lamentato derivava dalla stessa controversia civile, piuttosto che dalla sua durata; con il che resta escluso ogni profilo di nullità del provvedimento.

Pertanto, non più consentito il controllo sulla sufficienza della motivazione a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si tratta solo di valutare se detta decisione sia o non conforme a diritto.

2.2. – E’ nota la giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui qualora il giudice di primo grado ometta di pronunciare su una domanda e non ricorrano gli estremi di una reiezione implicita, nè risulti l’assorbimento della questione pretermessa nella decisione di altra domanda, la parte ha la facoltà alternativa di fare valere l’omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in separato giudizio, posto che la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., ha valore meramente processuale e non anche sostanziale. Ne consegue che, riproposta la domanda in separato giudizio, non è in tale sede opponibile la formazione del giudicato esterno (così e per tutte, Cass. n. 11356/06).

Confidando evidentemente su tale principio di diritto, l’odierna parte ricorrente ha introdotto un nuovo procedimento d’equa riparazione per conseguire quel medesimo risarcimento del danno in ordine al quale, col precedente ricorso per cassazione, aveva lamentato l’omessa pronuncia da parte della Corte territoriale. Da rimarcare che la stessa parte odierna ricorrente, nel proprio atto di rinuncia a quel giudizio di legittimità, manifestò espressamente il suo proposito di “promuovere un nuovo giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma per il riconoscimento del danno patrimoniale richiesto con il ricorso definito dalla Corte d’appello di Roma con Decreto cron. 7361 rep. 7109 del 18.1.2010, depositato il 15.12.2010” (v. pag. 114 dell’odierno ricorso per cassazione).

2.2.1. – Per le peculiarità che lo connotano, il procedimento di equa riparazione si sottrae, però, all’applicazione di tale principio.

Il giudizio sulla durata irragionevole del processo e sulle sue conseguenze patrimoniali e non patrimoniali è per sua natura unitario e omnicomprensivo, come si ricava dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, – nel testo ante D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134/12, vigente alla data di proposizione della prima domanda da parte dell’odierno ricorrente – tant’è che mette capo ad un’unica pronuncia di condanna emessa ai sensi dell’art. 2056 c.c., con l’imposizione di una somma di denaro; e dall’art. 4 stessa legge, testo previgente, che sottopone la domanda al termine semestrale di decadenza dalla data di definizione del processo di riferimento. Trattandosi di un’obbligazione ex lege derivante da una responsabilità per fatto lecito, regolata all’interno di un’istanza nazionale che a sua volta richiede importanti coperture finanziarie, è interesse dello Stato concentrare il giudizio e la conseguente liquidazione del danno anche quando la parte privata, nell’esercizio della facoltà concessale dall’art. 4, testo previgente, opti per la proposizione della domanda durante il corso della causa presupposta.

A parte ciò tale domanda è per sua stessa natura infrazionabile, e richiede che della vicenda processuale sia valutato globalmente lo svolgimento, le ragioni del ritardo e i pregiudizi prodotti, come dimostra l’indirizzo costante di questa Corte, espresso sempre in relazione al previgente sistema della L. n. 89 del 2001, secondo cui nella determinazione del superamento della ragionevole durata del processo, che discende dall’eccedenza, oltre il termine ragionevole. del tempo intercorso dall’inizio della causa fino al momento della sua conclusione in esito all’ultimo grado od all’ultima fase, ovvero, in ipotesi di pendenza, fino al momento in cui l’interessato assuma l’iniziativa di reclamare detta riparazione, denunciando la situazione in atto, non è consentito alla parte di formulare distinte domande per il primo ed il secondo grado, nè al giudice di scindere l’unica domanda proposta, con riferimento all’intero giudizio, atteso che il diritto all’equa riparazione e la domanda diretta a farlo valere hanno carattere unitario e non sono suscettibili di essere frazionati o segmentati con riferimento ai singoli momenti della vicenda processuale (v. per tutte, Cass. n. 12541/03).

Che anche nel sistema precedente della L. n. 89 del 2001, tale valutazione non possa essere iterata in relazione alla medesima pretesa riparatoria, si ricava altresì dalla soggezione della domanda al termine semestrale di decadenza ex art. 4 stessa legge, decorrente dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che conclude il processo della cui durata si discute. E che detto termine una volta spirato non possa essere riaperto è stato affermato da questa Corte con riguardo al ricorso per revocazione (Cass. nn. 14970/12 e 24358/06), e sempre con riferimento alla precedente formulazione del L. n. 89 del 2001. Principio, questo, che coordinato con quello d’infrazionabilità conduce a dedurre dal sistema che anche il diritto alla riparazione dei danni verificatisi fino alla domanda proposta nella pendenza del giudizio presupposto soggiace ad un’analoga comminatoria. La sua funzione è identica a quella del termine decadenziale, cioè far si che il diritto all’equa riparazione sia esercitato in maniera sollecita e che il relativo giudizio si concentri in un unico procedimento. Diversa è solo la tecnica: non potendo operare quella del termine di decadenza (il quale ovviamente non potrebbe decorrere, per la facoltà concessa alla parte di agire durante lo stesso giudizio presupposto), la medesima finalità di concentrare tutto il deducibile è assicurata dalla preclusione pro iudicato, che si forma su quanto non sia stato oggetto di pronuncia pur potendo esserlo.

Ne deriva che la parte ricorrente, la quale si avvalga della facoltà di agire prima che il giudizio presupposto sia stato definito, ha l’onere di proporre e di coltivare la propria domanda con riferimento ad ogni profilo di danno; con la conseguenza che nell’eventuale nuovo procedimento instaurato per far valere il diritto all’indennizzo per la durata ulteriore della causa, la medesima parte non può recuperare pretese non azionate o domande non coltivate relativamente a danni, patrimoniali e non, verificatisi nell’arco temporale coperto dalla prima domanda di equa riparazione.

2.2.1. – Nel caso in esame, come si è premesso, la parte odierna ricorrente ha proposto con il secondo ricorso ex lege Pinto la medesima domanda di risarcimento del danno patrimoniale fatta valere nel primo procedimento, deciso dalla Corte d’appello capitolina con Decreto del 15.12.2010, passato in giudicato a seguito del decreto di questa Corte in data 16.12.2011, che dichiarò l’estinzione per rinuncia della relativa impugnazione per cassazione.

Ne deriva che tale seconda domanda resta preclusa dal precedente esercizio del potere giurisdizionale svolto nel primo procedimento per equa riparazione, a nulla rilevando che essa sia stata prodotta nel termine di sei mesi dalla definizione della causa presupposta.

2.3. – Nei termini che seguono, il principio di diritto formulato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1: “in materia di L. n. 89 del 2001, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, dai principi di unicità e di concentrazione della valutazione del giudice, d’infrazionabilità della domanda e di proposizione della stessa entro un termine semestrale di decadenza, desunti dagli artt. 2, comma 3, e 4 stessa legge, si ricava altresì che la parte ricorrente, ove si avvalga della facoltà di agire prima che il giudizio presupposto sia stato definito, ha l’onere di proporre e di coltivare la propria domanda con riferimento ad ogni profilo di danno; con la conseguenza che nell’eventuale nuovo procedimento instaurato per far valere il diritto all’indennizzo per la durata ulteriore della causa, la medesima parte non può far valere pretese non azionate o riproporre domande non coltivate relativamente a danni, patrimoniali e non, verificatisi nell’arco temporale coperto dalla prima domanda di equa riparazione”.

3. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero della Giustizia svolto attività difensiva in questa sede di legittimità.

5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sesta sezione civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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