Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 158 del 08/01/2010

Cassazione civile sez. I, 08/01/2010, (ud. 08/10/2009, dep. 08/01/2010), n.158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.L. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la

Cancelleria civile della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv. MARRA Maria Teresa, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il 26

marzo 2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;

letta la relazione del C.r. Dr. Bruno Spagna Musso in data 3

aprile/20 giugno 2008.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.L. adiva la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio proposto, nella fase di appello, innanzi al Consiglio di Stato, con ricorso del febbraio 2000, definito con sentenza del febbraio 2005.

La Corte d’appello, con decreto del 20 marzo 2006, fissato in due anni il termine di durata ragionevole del giudizio presupposto, ritenuto violato detto termine per anni tre, liquidava a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale complessivi Euro 3.000,00 con il favore delle spese.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso C. L., affidato a tre motivi; non ha svolto attività difensiva l’intimata.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Con il primo ed il secondo motivo l’istante denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e degli artt. 6 e 41 della CEDU (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo la diretta applicabilità nell’ordinamento interno della norme della CEDU e delle sentenze della Corte EDU, quindi l’obbligo del giudice nazionale di liquidare il danno avendo riguardo all’intera durata del giudizio; di liquidare una somma tra Euro 1.000,00 e Euro 2.000,00, oltre Euro 2.000,00 per le cause di natura “assistenziale” (primo motivo); di disapplicare la legge nazionale in contrasto con la CEDU (secondo motivo).

In questi termini sono formulati anche i quesiti di diritto.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 della CEDU ed 1 del protocollo, nonchè della giurisprudenza della Corte EDU e delle tariffe professionali (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui il decreto ha liquidato le spese del giudizio in una entità tale da ledere il diritto alla difesa ed il diritto di proprietà e da ledere anche i diritti del difensore (sono richiamate sentenze dei giudici europei e di questa Corte).

Nella specie sarebbero applicabili le tariffe concernenti i giudizi innanzi alla Corte EDU e, comunque le tariffe concernenti i giudizi contenziosi (Tab. A-4^ e Tab.B-1^), non quelli camerali, poichè, nella specie, l’adozione del relativo modello non influisce sul contenuto sostanziale del giudizio e sulla natura di sentenza del decreto (sulla natura del giudizio sono richiamate alcune sentenze di questa Corte).

Sono quindi indicate le voci della tariffa che dovrebbero essere osservate, è allegata la nota spese ed è formulato quesito di diritto sulla tariffa applicabile.

2.- La relazione ex art. 380 bis c.p.c., nella parte motiva ha osservato:

“che preliminarmente deve rilevarsi l’inammissibilità del ricorso per erronea formulazione dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., non in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità;

che infatti detti quesiti non sono formulati, mediante un chiaro interrogativo alla Corte, in modo tale da far comprendere, rispetto alla vicenda processuale in esame, le dedotte non corrispondenze tra la ratio della decisione impugnata e le relative censure;

che, pertanto, ove si accolgano detti rilievi, il ricorso può essere, mediante procedura camerale, dichiarato inammissibile”.

3.- La relazione va condivisa soltanto in parte, per le ragioni svolte di seguito.

4.- Il primo motivo pone questioni che concernono: la quantificazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale; l’eventuale obbligo di liquidare un bonus di Euro 2.000,00 per le cause aventi particolare natura, quali quelle che hanno ad oggetto l’assistenza di malati; il moltiplicatore di detta base di calcolo.

Il mezzo si conclude con un quesito sufficientemente preciso e chiaro, ma è manifestamente infondato, in applicazione dei consolidati principi affermati da questa Corte, secondo i quali:

a) i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/ Euro 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006);

in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

b) Va escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, rientrando la relativa valutazione nella ponderazione del giudice del merito, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione (Cass. n. 18012 del 2008).

c) La precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo, essendo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

In questi termini è il principio di diritto che va enunciato in relazione al quesito posto con il primo motivo, che è quindi manifestamente infondato, tenuto conto che il giudice del merito ha liquidato Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, conformandosi sia alla giurisprudenza della Corte EDU, sia agli orientamenti di questa Corte, ciò che rende incensurabile sul punto il decreto.

5.- Il secondo motivo è manifestamente inammissibile, in quanto pone un quesito astratto, che non considera l’avvenuta osservanza da parte della Corte territoriale del parametro stabilito dalla Corte EDU per la quantificazione dell’indennizzo e l’inesistenza dell’ipotizzato contrasto.

6.- Il terzo motivo non presenta profili di inammissibilità, poichè il quesito di diritto identifica con sufficiente specificità la domanda posta a questa Corte, consistente nell’identificazione delle voci della tariffa applicabili, formulato sull’assunto che la liquidazione operata nel decreto non le avrebbe correttamente individuate, con conseguente violazione dei minimi di tariffa.

Inoltre, nell’osservanza del principio di autosufficienza, il ricorso riporta la nota spese, con l’indicazione delle voci asseritamente dovute.

Nel merito, il motivo è manifestamente fondato.

Al riguardo va data continuità all’orientamento di questa Corte, secondo il quale:

la L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui all’art. 3, comma 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis, e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265) (Cass. n. 23789 del 2004);

va esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 1078 del 2003);

la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001, quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilità della Tab. A-4^ e della Tab.B-1^ (per tutte, Cass. n. 5320 del 2008; n. 4486 del 2008).

In questi termini è il principio che va enunciato e che dimostra la manifesta fondatezza delle doglianze, poichè il decreto ha liquidato per le spese Euro 350,00, di cui Euro 300,00 per onorari.

Il decreto va quindi cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate.

Le spese di legittimità vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

Le spese vanno liquidate come in dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato limitatamente al capo concernente le spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare le spese della fase di merito, che liquida in complessivi Euro 923,00 di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorario, nonchè un terzo delle spese della presente fase (compensate la residua parte), che liquida in complessivi Euro 230,00, di cui Euro 30,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, con attribuzione al difensore, avv. Maria Teresa Marra, antistatario.

Dispone che la Cancelleria provveda agli adempimenti di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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