Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15796 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 07/06/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 07/06/2021), n.15796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26806/2015 proposto da:

A.F., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI PARENTI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

SEGRETARIATO GENERALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA in persona

del Segretario Generale pro tempore e PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA in

persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrenti –

avverso la decisione n. 6/2015 del Collegio d’Appello istituito con

D.P. 30 dicembre 2008, n. 34/N, depositata il 25/05/2015 Registro

ricorsi n. 6/2014/A;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decisione del 25 maggio 2015 n. 6 il Collegio d’Appello istituito con D.P. 30 dicembre 2008, n. 34/N, in parziale riforma della decisione del Collegio di primo grado, respingeva integralmente la impugnazione proposta dagli attuali ricorrenti – dipendenti del SEGRETARIATO GENERALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA – avverso il D.P. 19 luglio 2013, n. 2/N, ed il decreto attuativo del Segretario generale, che avevano ridotto gli importi della “indennità di rendimento” ed abrogato l’istituto dello “scatto premio”, riconosciuto al dipendente collocato a riposo con almeno 40 anni di servizio.

2. Il collegio di secondo grado osservava che la verifica di razionalità del provvedimento presidenziale, alla luce del principio di parità di trattamento, non poteva entrare nel merito delle scelte riservate alla amministrazione, a maggior ragione allorchè esso non concerneva lo status giuridico dei dipendenti ma il quantum di un istituto retributivo. Il decreto presidenziale rispettava i requisiti di razionalità e ragionevolezza, in quanto attuava una riduzione della spesa, con adeguato criterio di proporzionalità; le misure di contenimento della spesa pubblica in una dimensione solidaristica erano coerenti con il parametro dell’art. 36 Cost., ove, come nella fattispecie, non determinassero un sacrifico irragionevole per il lavoratore.

3. Quanto alla abrogazione del cd. “scatto premio”, i lavoratori si limitavano a riproporre la tesi, già disattesa dal giudice del primo grado, che la soppressione del beneficio non poteva incidere su diritti quesiti.

3. Non era tuttavia ravvisabile un diritto quesito in caso di situazioni in via di consolidamento; il diritto al cd. “scatto premio” poteva essere riconosciuto solo dopo il collocamento a riposo, costituendo la cessazione dal servizio il presupposto essenziale per il suo godimento.

4. Hanno proposto ricorso per la cassazione della decisione i dipendenti in epigrafe indicati, articolato in due motivi, cui ha resistito con controricorso il SEGRETARIATO GENERALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 1, 7, 29 e 34 e dell’art. 111 Cost., in relazione alla statuizione secondo cui il giudice del primo grado avrebbe superato i limiti del sindacato esercitabile dal giudice domestico nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione alla affermata razionalità delle modifiche della disciplina della “indennità di rendimento”, per non essere stato assolto il relativo onere motivazionale.

2. Con il secondo mezzo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 111 Cost., censurandosi la conferma della statuizione di primo grado in punto di legittimità della abrogazione dell’istituto del cd. “scatto premio” (di cui al D.P. 18 aprile 2013, n. 108/N, art. 68). Si assume che la norma istitutiva del beneficio prevedeva un diritto già consolidato, rispetto al quale il collocamento a riposo si poneva come mero requisito di godimento; si denuncia l’omessa pronuncia sulle ragioni di impugnazione proposte.

3. In via pregiudiziale deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso per carenza di giurisdizione.

4. Ai sensi dell’art. 84 Cost., u.c.. “L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge”. La L. 9 agosto 1948, n. 1077, recante “Determinazione dell’assegno e della dotazione del Presidente della Repubblica ed istituzione del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica” ha attribuito, con l’art. 3, comma 3, al Capo dello Stato una potestà regolamentare disponendo che il Segretario Generale proponga al Presidente della Repubblica l’approvazione del regolamento interno e dei provvedimenti relativi al personale.

5. A partire dall’anno 1996, con i decreti presidenziali numeri 81 e 89, è stata costituita una struttura interna per la decisione delle controversie tra il Presidente della Repubblica ed i suoi dipendenti.

6. La Corte Costituzionale, con sentenza 13 dicembre 2017 n. 262, ha respinto il conflitto di attribuzione sollevato dalle Sezioni Unite di questa Corte nei confronti del Presidente della Repubblica avverso le disposizioni dei D.P. 24 luglio 1996, n. 81, D.P. 9 ottobre 1996, n. 89 e D.P. 30 dicembre 2008, n. 34, nella parte in cui precludono l’accesso dei dipendenti della Segreteria generale della Presidenza della Repubblica alla tutela giurisdizionale comune in riferimento alle controversie di lavoro ed, in via subordinata, nella parte in cui non consentono, contro le decisioni pronunciate da tali organi, il ricorso in cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

7. In tale sentenza si è riconosciuto che:

– i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica hanno un implicito fondamento costituzionale, alla pari dei regolamenti parlamentari di cui all’art. 64 Cost.; la L. n. 1077 del 1948, che li prevede, ha carattere meramente ricognitivo.

– l’autodichia – ovvero la potestà degli organi costituzionali di decidere attraverso organi interni le controversie che attengono allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei propri dipendenti – costituisce uno svolgimento della autonomia normativa riconosciuta dalla Costituzione alle Camere ed al Parlamento.

– la tutela della posizioni giuridiche dei dipendenti, nelle controversie che li oppongono all’organo costituzionale, risulta assicurata attraverso la istituzione di detti organi interni e di procedure di garanzia che assicurano la loro indipendenza ed imparzialità, come impongono gli artt. 3,24,101 e 111 Cost., nonchè la Corte EDU (sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia).

– tali organi svolgono dunque funzioni obiettivamente giurisdizionali, pur non appartenendo all’organizzazione giudiziaria,

– non essendo stati configurati gli organi di autodichia quali giudici speciali, avverso le loro decisioni non è proponibile neppure il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7.

8. Sulla base dei richiamati principi, questa Corte ha escluso che le decisioni degli organi di autodichia possano essere sottoposte al controllo del giudice ordinario, privo di giurisdizione, ed hanno aggiunto che, d’altra parte, eventuali dubbi di legittimità costituzionale delle norme di legge cui i regolamenti parlamentari e le fonti di autonomia in genere fanno rinvio possono essere evidenziati davanti agli organi dell’autodichia stessa (Cassazione civile sez. lav., 22/01/2021, nn. 1407 e 1408; 07/01/2021″ n. 85; Cass. Sez. Un. 25211/2020, Cass. Sez. Un. 7220/2020, Cass. Sez. Un. 1720/2020, Cass. Sez. Un. 18265/2019, Cass. Sez. Un. 18266/2019, Cass. Sez.Un. N. 12570/2018 e N. 10775/2018; Cass. sez. lav. n. 21972/2018).

9. I principi innanzi richiamati sono applicabili alla fattispecie in esame poichè la decisione impugnata è stata resa dal Collegio nominato ai sensi del D.P. 30 dicembre 2008, n. 34.

10. In conclusione, il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile;

11. Le spese, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza;

12. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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