Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15795 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 07/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 07/06/2021), n.15795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32732/2018 proposto da:

D.R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA N.

79, (Studio Morandini), presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

TRULIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO ROTONDI;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 614/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 21/08/2018 R.G.N. 266/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.R.O., medico, deducendo di avere svolto il periodo di specializzazione in pediatria dal 1995/1996 e fino al 4 novembre 1999, agiva al fine di:

richiedere gli incrementi annuali e le rideterminazioni triennali della borsa di studio riconosciute dal D.Lgs. n. 257 del 1991;

richiedere la perequazione rispetto al miglior trattamento degli specializzandi stabilito dalla L. n. 370 del 1999, attuata solo con D.P.C.M. 7 marzo 2007 e applicata agli specializzandi solo a partire dall’anno accademico 2006/2007.

Il Tribunale di Perugia riconosceva la legittimazione passiva soltanto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e non quella del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dichiarava tuttavia la prescrizione della pretesa avanzata.

Proposto gravame nei soli riguardi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Corte d’Appello di Perugia confermava la pronuncia di primo grado ritenendo: che la prescrizione rispetto agli incrementi ed adeguamenti già previsti dal D.Lgs. n. 257 del 1991, fosse quinquennale e non decennale e che comunque il diritto all’adeguamento non sussisteva;

che il termine decennale di prescrizione della domanda di perequazione non poteva che decorrere dall’ultimazione degli studi, risultando tuttavia non comprensibile, dall’esposizione della parte ricorrente, come la retribuzione riconosciuta congrua dal legislatore del 2007 potesse applicarsi anche a coloro che avevano svolto il tirocinio quasi dieci anni prima.

2. Avverso la sentenza il D.R. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, resistito da controricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La causa è stata rimessa a questa sezione con ordinanza in data 27 ottobre 2020 resa dalla sezione di cui all’art. 376 c.p.c., comma 1.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha quindi depositato memoria

illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso il D.R. afferma la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo che la prescrizione, per i diritti conseguenti alla L. n. 370 del 1999, non sarebbe mai decorsa perchè fino al 2007 era mancata la necessaria normativa di attuazione, come ritenuto da Corte di Giustizia 24 gennaio 2018 in causa C-1616/16 e 617/16.

D’altra parte, la Corte di Giustizia aveva stabilito che l’obbligo di remunerazione sorgeva immediatamente con la direttiva 82/76 CE, a prescindere dal recepimento di essa nel diritto nazionale e l’adeguata remunerazione per il periodo della formazione specialistica era dovuto dal 1983 e fino alla conclusione.

2. Il ricorso è inammissibile, in quanto con esso si insiste nel rivendicare un diritto che palesemente non sussiste in forza di un assetto normativo e giurisprudenziale del tutto consolidato.

La giurisprudenza di questa S.C. è infatti assolutamente ferma nel senso che “la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sè idoneo elemento di diversificazione della disciplina, nè sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università italiane e quelli iscritti in scuole di altri paesi Europei, atteso che le situazioni giuridiche non sono comparabili, non avendo la Direttiva 93/16/CEE previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico, o disparità di trattamento con i medici neoassunti che lavorano nell’ambito del SSN, non comparabili in ragione della peculiarità del rapporto che si svolge nell’ambito della formazione specialistica” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449; Cass. 14 marzo 2018, n. 6355; Cass. 24 maggio 2019, n. 14168, oltre ad altre numerose analoghe pronunce tra il 2019 ed il 2020).

A fortiori tale principio vale poi per chi, come il ricorrente, avesse terminato la specializzazione addirittura prima dell’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999.

2.1 Ciò posto, vi è tuttavia da osservare che il ricorrente, come rilevato dalla Corte d’Appello, neppure spiega come potrebbe applicarsi in suo favore una normativa emanata dopo il termine della sua specializzazione e divenuta efficace ancora anni dopo.

D’altra parte, una proiezione in avanti della decorrenza del termine di prescrizione potrebbe in via di mera ipotesi aversi, rispetto alla pretesa di condanna dello Stato per mancato adeguamento alla direttiva Eurounitaria, solo se tale direttiva fosse stata violata o non attuata, ma costituisce dato assolutamente acquisito quello per cui già il D.Lgs. n. 257 del 1991, che il ricorrente non afferma non essere stato applicato nei suoi confronti, costituisse attuazione della direttiva comunitaria.

Essendosi altresì precisato che “le direttive comunitarie n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76, le quali hanno prescritto che i medici specializzandi dovessero ricevere un’adeguata remunerazione, sono state attuate dallo Stato italiano con il D.Lgs. n. 257 del 1991, con il riconoscimento di una borsa di studio annua. La successiva direttiva n. 93/16, invece, ha rappresentato un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti e, quindi, privo di carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscere agli iscritti alle scuole di specializzazione” (Cass. 6 maggio 2020, n. 8503).

Fuori luogo è poi il richiamo a Corte di Giustizia 24 gennaio 2018, in quanto tale pronuncia, in piena coerenza con quanto sopra detto, ha riconosciuto il diritto alla tutela agli specializzandi che avessero operato fino all’anno 1990 e dunque antecedentemente alla prima normativa di attuazione della Direttiva, mentre il ricorrente ha pacificamente iniziato la specializzazione nel 1995/1996.

Il diritto all’applicazione a chi avesse svolto e terminato la specializzazione nel vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, delle nuove regole della L. n. 370 del 1999, poi attuate nel 2007, non esiste e dunque è del tutto inutile una discussione rispetto ai termini di prescrizione di esso.

Il ricorso, pertanto, si colloca nel suo insieme al di fuori dell’assetto normativo e giurisprudenziale acquisito ed esso va dunque ritenuto inammissibile per effetto dell’art. 361-bis c.p.c., n. 1.

3. Le spese del giudizio di cassazione restano regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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