Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15794 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. I, 23/07/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 23/07/2020), n.15794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

H.N., rappr. e dif. dall’avv. Rosa Vignali,

studiovignali-gmail.com, elett. dom. presso lo studio della stessa

in Firenze, viale Antonio Gramsci n. 22, come da procura spillata in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappr. e dif. ex lege dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, in via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Bologna 29.12.2018, cron.

5147/2018, in R.G. 19392/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 10.7.2020;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. H.N. impugna il decreto Trib. Bologna 29.12.2018, cron. 5147/2018, in R.G. 19392/2017 che ne ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale ha così ritenuto: a) incomplete, generiche e incoerenti le dichiarazioni rese dal ricorrente, prive di adeguata contestualizzazione con riguardo alle fondamentali circostanze dell’allontanamento e delle riferite minacce ricevute (dalla setta (OMISSIS), di cui avrebbe fatto parte il padre), oltre che della morte del genitore, del soggiorno in Libia; b) parimenti non attendibili le informazioni rese sul reclutamento forzato della setta, secondo le fonti COI e EASO e dunque escluso il pericolo di persecuzione in caso di rientro; c) esclusa la situazione di violenza generalizzata nella regione (OMISSIS) di appartenenza sia essa quella originaria ((OMISSIS)) o quella di successivo stabilimento ((OMISSIS)); d) infondato il diritto alla protezione umanitaria, stante il carattere non decisivo della sola integrazione sociale e comunque la mancata prova di uno stato di vulnerabilità;

3. il ricorso descrive quattro motivi di censura; il Ministero si è costituito solo ai fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1.con il primo motivo si contesta la contraddizione del decreto ove si assume la permanenza di legami affettivi e familiari del ricorrente con il Paese d’origine (la (OMISSIS)) mentre invece l’unica sopravvissuta è la madre, che tra l’altro ha abbandonato la prima zona di abitazione, circostanza che osta alla raccolta di elementi di prova; con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 avendo errato il tribunale nel non prestare la propria cooperazione officiosa a seguito della ritenuta non credibilità del narrato, senza dunque procedimentalizzare tale verifica, omettendo di valutare le minacce degli (OMISSIS); con il terzo motivo si censura l’omessa concessione della protezione sussidiaria stante la situazione nel Paese, riferita a conflitto armato non localizzato nell’area di origine e di provenienza, ma trascurando la violenza esercitabile anche dalla citata setta; con il quarto motivo si contesta la omessa concessione della protezione umanitaria, che s’imporrebbe alla luce dei fatti esposti e con il rischio in caso di rimpatrio, anche deducendo l’omessa attivazione istruttoria officiosa;

2. i primi tre motivi, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la valutazione di non attendibilità del narrato e sulla omessa prospettata individualizzazione di pericoli o gravi rischi, oltre che la assoluta incertezza ed incoerenza sulle circostanze da cui sarebbe scaturito l’allontanamento, per come esplicitamente enunciate dal tribunale in ragione dell’assenza di motivi di provata o credibile persecuzione, non sono avversate in modo adeguato; nè sono allegate possibili specifiche circostanze di pericoli o gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, dunque impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo generico effettuato con il ricorso in cassazione ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione (secondo Cass. s.u. n. 8053/2014);

3. va altresì ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, “non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione” (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); il tribunale ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda, indicando in modo analitico COI e fonti EASO pertinenti, anche con riguardo alle caratteristiche della setta (OMISSIS), senza che il ricorrente abbia prospettato e allegato fonti alternative;

4. tanto più che, si ripete, da un canto “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 3340/2019, 6897/2020); dall’altro canto, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione – ove abbia portata generale – tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria “con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine” (Cass. 15794/2019);

5. così come, si aggiunge, non ha trovato alcuna adeguata censura la motivata indicazione di insussistenza, nel Paese di riferimento, di conflitto armato, per gli effetti di tutela D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) stante l’insufficiente prospettazione dei danni a livello dei requisiti di cui alle lett. a) e b) art. cit. e il mancato richiamo puntuale, anche su tale circostanza, a fonti diverse da quelle esplicitate dal tribunale anche quanto al danno grave sub c);

6. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quarto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dal tribunale, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal decreto, che ha altresì osservato la ostatività della saltuaria condizione lavorativa del richiedente (nemmeno comunque documentata) a giustificare una comparazione sicuramente in pejus in caso di rientro; l’odierna censura è così inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

7. sul punto, va altresì aggiunto che “la ritenuta inattendibilità del richiedente la protezione rende comunque impossibile una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 1088/2020, 780/2019, 25075/2017);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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