Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15789 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 27/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28142-2013 proposto da:

I.O. SAI SPA, (OMISSIS) in persona del proprio legale

rappresentante pro tempore Dr. O.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO LAURO, rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE RICCIO

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

HUKTRA ITALIA SRL, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione G.O.V.P. quale legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELL’OCA 35, presso

lo studio dell’avvocato DRINGA MILITO PAGLIARA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRO MARCO PESCE giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 837/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato RICCIO RAFFAELE;

udito l’avvocato ALESSANDRO MARCO PESCE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La I.O. – SAI spa, che aveva acquistato all’estero un prodotto chimico, assumendo di aver incaricato del trasporto in Italia la Huktra Italia srl e lamentando l’inadempimento per essere la merce pervenuta inidonea all’uso, convenne in giudizio la suddetta società chiedendo il risarcimento del danno e il rimborso del prezzo del trasporto. Il Tribunale ritenne tardiva l’eccezione di carenza di titolarità passiva del rapporto sollevata dalla convenuta, per essere stata eccepita con comparsa depositata alla prima udienza; ma, esaminandola, riconobbe la titolarità passiva del rapporto in capo alla convenuta e accolse la domanda.

2.La Corte di appello di Torino (sentenza del 22 aprile 2013), riformando la decisione del Tribunale di Novara, ha ritenuto: – integrante mera difesa attinente al merito della lite l’eccezione di difetto di titolarità passiva sollevata dalla convenuta con comparsa di risposta alla prima udienza; – il difetto della titolarità passiva in capo alla convenuta, per essersi il rapporto contrattuale instaurato con la Huktra nv (società belga), mentre la società italiana affiliata aveva svolto solo attività nella fase delle trattative e nella fase esecutiva, con conseguente rigetto della domanda.

3. Avverso la suddetta sentenza, l’originaria società attrice propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Huktra Italia srl resiste con controricorso, esplicato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, invocando la violazione dell’art. 2797 c.c. e degli artt. 166 e 167 c.p.c., sostiene che l’eccezione di difetto di titolarità passiva sollevata dalla convenuta avrebbe dovuto essere ritenuta tardiva e, quindi, inammissibile.

1.1.La censura va rigettata sulla base della decisione delle Sezioni Unite (n. 2951 del 2016), da ultimo intervenuta a risoluzione di un contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità.

La suddetta decisione, in esito ad approfondita argomentazione, cui si rinvia, ha affermato il principio di diritto, secondo cui “Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotta dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti”.

2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 1326 c.c., comma 1, e art. 1337 c.c., con argomentazioni sintetizzabili secondo due distinti profili.

La prima è che il contratto si è concluso, ai sensi dell’art. 1326 cit., con la conferma dell’ordine effettuata alla società convenuta, (doc. 4 attoreo) dovendosi evincere che la stessa società aveva in precedenza formulato la proposta contrattuale. In tale direzione rileverebbero: – le comunicazioni mail (doc. 19, 20, 21) con l’impiegata rappresentante della società convenuta, contenenti le offerte commerciali; – le comunicazioni fax (doc. 22, 23) attinenti al ritiro/trasporto delle merce viziata dopo l’inizio della causa di risarcimento. Mentre risulterebbe irrilevante quanto ritenuto dalla sentenza impugnata sulla base della emissione delle fatture da parte della società belga, che aveva ricevuto il pagamento, trovando spiegazione sul piano fiscale, ben potendo società distinte, ma collegate, assumere obbligazioni contrattuali in proprio.

La seconda è che il giudice di appello avrebbe dovuto valutare il comportamento delle parti alla luce del principio della buona fede, risultando evidente che la concreta gestione del rapporto da parte della società italiana abbia ingenerato la convinzione che essa fosse l’unica controparte contrattuale ed anche considerando il comportamento della convenuta nella fase successiva, che nulla eccepì nel ricevere la lettera del legale che contestava l’inadempimento (doc. 13, 14).

2.1. La Corte di merito, premesso il collegamento tra le due società, con identità di amministratore, ritenne che il contratto di trasporto fu concluso con la società belga, che lo eseguì, al prezzo da questa praticato e accettato dalla appellata, che fu pagato alla società belga, cui furono rivolte le contestazioni. Mentre, la società italiana agì per la società belga come tramite, sia per le trattative che nella fase esecutiva, senza mai impegnarsi in proprio.

2.2. Le censure, non hanno pregio.

2.2.1.Preliminarmente, deve rilevarsi che il profilo della buona fede risulta dedotto per la prima a volta dinanzi al giudice di legittimità, non avendo la ricorrente dimostrato, mediante l’idoneo richiamo degli atti processuali, di averlo sviluppato nel giudizio di merito. Conseguente è l’inammissibilità.

2.2.2. Va rigettato, invece, l’altro profilo di censura.

Il rapporto tra le due società è stato ricostruito dalla Corte di merito, sostanzialmente, come un mandato con rappresentanza alla società italiana, la quale trasmetteva le condizioni di contratto della società belga, usava carta intestata della società belga e firmava nella corrispondenza con l’attrice; con tale impostazione è coerente l’emissione delle fatture da parte della società rappresentata.

D’altra parte, non sono decisive le argomentazioni della ricorrente. Nel dedurre che il contratto si è concluso, ai sensi dell’art. 1326 cit., con la conferma dell’ordine effettuata alla società convenuta, (doc. 4 attoreo) si limita a ricavarne che la stessa società aveva in precedenza formulato la proposta contrattuale, me non dimostra, mediante il richiamo preciso a documenti, che la proposta era stata fatta da quest’ultima solo a suo nome. Inoltre, quanto ai fax richiamati, si tratta di documenti intestati alla società belga a firma della società italiana, tramite la rappresentante impiegata presso la società italiana. Quanto al comportamento della convenuta nella fase successiva, che secondo la ricorrente nulla eccepì nel ricevere la lettera del legale che contestava l’inadempimento (doc. 13, 14), deve rilevarsi che dai documenti richiamati emerge, piuttosto, che la società italiana aveva chiesto la traduzione della richiesta dovendosi intendere diretta alla società estera.

3. In definitiva, il ricorso deve rigettarsi. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza nei confronti della società controricorrente.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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