Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15786 del 02/07/2010

Cassazione civile sez. I, 02/07/2010, (ud. 15/06/2010, dep. 02/07/2010), n.15786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE U. TOPINI 133, presso l’avvocato BRAGAGLIA ROBERTO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAIELLA

GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

07/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2010 dal Consigliere Dott. RORDORF Renato;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ROBERTO BRAGAGLIA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del primo e

secondo motivo; assorbimento del terzo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, con decreto emesso il 7 maggio 2007, ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere al sig. I.M. la somma di Euro 900,00 a titolo di equo indennizzo per i danni non patrimoniali subiti a cagione dell’eccessivo protrarsi di una causa intrapresa dal medesimo sig. I. il 3 marzo 1997 dinanzi al Giudice di pace di Casoria e conclusasi, dopo due gradi di giudizio, il 24 gennaio 2005.

Avverso tale sentenza il sig. I. ha proposto ricorso per Cassazione articolato in tre motivi, illustrati poi con memoria.

L’amministrazione intimata si e’ difesa con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e’ inammissibile.

Risulta infatti ad esso applicabile, ratione temporis, la disposizione dell’art. 366 bis c.p.c., a tenore della quale l’illustrazione dei singoli motivi deve essere accompagnata, a pena d’inammissibilita’, dalla formulazione di un quesito di diritto.

La giurisprudenza di questa corte e’ da tempo orientata nel senso che e’ inammissibile, per violazione appunto del citato art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale i prescritti quesiti non postulino l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato (Cass. 28280/08). Detti quesiti debbono, cioe’, essere formulati in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, essendo percio’ inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. un. 26020/08). Il quesito, pertanto, deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziarla (restando escluso che la questione possa risultare da un’operazione di interpretazione complessiva del ricorso stesso e quindi anche dell’esposizione del motivo: Cass. 16002/07), sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, onde la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. 24339/08).

Del pari inammissibile risulta il motivo di ricorso I quando, essendo la formulazione del quesito generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, esso si rivela inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, giacche’ manca di indicare quale sia l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Sez. un. 18759/08).

Nel caso in esame la formulazione dei quesiti si esaurisce nella mera affermazione del dovere del giudice nazionale di conformarsi ai precetti della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, tanto per quel che concerne la durata ragionevole del giudizio (primo motivo) quanto per quel che concerne i criteri di liquidazione dell’indennizzo (secondo motivo), essendo quel giudice tenuto ad applicare direttamente i suindicati precetti (terzo motivo).

L’enunciazione di tali quesiti e’, pero’, completamente avulsa dalla vicenda di cui si discute, nella quale potrebbe farsi semmai questione del modo in cui il giudice nazionale ha interpretato ed applicato le regole poste dalla suddetta convenzione ed i criteri enunciati al riguardo dalla giurisprudenza europea, ma non certo di una mai rivendicata sua liberta’ di prescindere dalle une o dagli altri. La risposta positiva ai quesiti formulati nel ricorso, pur se positiva, lascerebbe quindi del tutto impregiudicata la questione se il ricorso stesso sia o meno accoglibile e se l’impugnato decreto debba o meno essere cassato. Il che necessariamente conduce alla declaratoria d’inammissibilita’.

All’indicata declaratoria fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che vengono liquidate in Euro 500,00 per onorari, oltre a quelle prenotate a debito.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 500,00 per onorari, oltre a quelle prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 15 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2010

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