Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15785 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. I, 23/07/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 23/07/2020), n.15785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 947/2019 proposto da:

N.D., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso

la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppina Marciano per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato ex lege presso l’Avvocatura dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso il decreto n. 7221/2018 del Tribunale di Milano, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea del

05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella camera di consiglio del 03/03/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato il ricorso proposto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis da N.D. avverso il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale ne aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Il tribunale ha ritenuto la non credibilità, per contraddittorietà ed illogicità del racconto reso dal ricorrente dinanzi alla Commissione territoriale articolato su due distinte vicende.

Per una prima, il padre del richiedente era stato ucciso in ragione di un prestito contratto con tale O.E., e mai restituito, per far lavorare la figlia, sorellastra del ricorrente, in Europa, nel mondo della moda, evidenza poi rivelatasi non vera, nella effettiva intenzione della donna, che aveva fatto una tale promessa, di avviare invece la ragazza alla prostituzione.

Il tribunale aveva ritenuto non credibile il racconto quanto al mancato timore del ricorrente circa la condotta della donna.

Per una seconda, invece, la setta degli (OMISSIS) avrebbe voluto assoldare tra le sue fila il ricorrente, primogenito del proprio esponente ucciso, all’esito di una cerimonia di iniziazione per sfuggire alla quale il ragazzo si era allontanato dalla propria abitazione per poi abbandonare il proprio paese dopo l’uccisione della madre sul cui corpo erano state praticate varie incisioni rappresentative del simbolo (un triangolo e tre righe) degli (OMISSIS).

La mancata conoscenza dei segreti della setta nonostante la frequentazione delle sue riunioni insieme al padre e la circostanza che questi nulla avesse riferito al ricorrente circa la sua appartenenza alla prima e, ancora, la natura non illustre della famiglia del ricorrente, presupposto di partecipazione all’indicata associazione, deponevano per la “totale” non credibilità del narrato.

2. N.D. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente di origini (OMISSIS), nato a (OMISSIS), nell'(OMISSIS), di religione (OMISSIS), orfano di entrambi i genitori, nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese, all’età di (OMISSIS), raggiungendo l’Italia dopo essere stato, anche, prigioniero in Libia, nel timore di essere ucciso dalla setta degli (OMISSIS), a cui si era rifiutato aderire, prendendo il posto del padre, ucciso, ed a cui attribuiva la morte della madre.

2. Sulla indicata premessa il ricorrente articola quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, ed in via preliminare, il ricorrente sollecita questa Corte di cassazione a sollevare dubbio di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) – per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5 e art. 117 Cost., comma 1, – così come integrato dall’art. 46, paragr. 3 della Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della CEDU, “per quanto concerne la previsione del rito camerale ex art. 737 c.p.c. e ss., e relative deroghe espresse dal legislatore, nelle controversie in materia di protezione internazionale”.

Le disposizioni introdotte dalla L. n. 46 del 2017 imporrebbero una irragionevole svalutazione del contraddittorio, del diritto a un giusto processo e del diritto alla difesa e tanto nella previsione di un contraddittorio concepito come puramente cartolare ed eventuale, senza fissazione di un’udienza per la comparizione del richiedente asilo, unitamente al suo difensore, e la sua audizione, con acquisizione, piuttosto, della videoregistrazione dell’intervista resa in fase amministrativa, che si trova a rivestire carattere di prova nonostante sia stata formata unilateralmente avanti alla competente Commissione territoriale, presso la quale la presenza di un difensore è facoltativa, e con abrogazione della fase di impugnazione avanti alla Corte d’appello.

2.2. La questione è manifestamente infondata.

Come già rilevato da questa Corte di legittimità con la sentenza n. 17717 del 05/07/2018, e saldamente confermato da pronunce di pari contenuto (ex plurimis: Cass. 33498/2019; Cass. 26424/2919; Cass. 16246/2019), “il procedimento camerale, da sempre impiegato anche per la trattazione di controversie su diritti e status”, “idoneo a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio con riguardo al riconoscimento della protezione internazionale, neppure potendo riconoscersi rilievo all’eventualità della soppressione dell’udienza di comparizione, sia perchè essa è circoscritta a particolari frangenti nei quali la celebrazione dell’udienza si risolverebbe in un superfluo adempimento, tenuto conto dell’attività in precedenza svolta, sia perchè il contraddittorio è comunque pienamente garantito dal deposito di difese scritte” (Cass. n. 17717 cit., p. 8).

2.3. Nel resto.

Non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado (Corte Cost. 31 marzo 1988, n. 395; Corte Cost. 14 dicembre 1989, n. 543; Corte Cost. 3 ottobre 1990, n. 433; Corte Cost. 23 dicembre 1994, n. 438; Cass. 27700/2018) e la soppressione di un grado risponde nei procedimenti di accertamento della protezione internazionale ad esigenze di celerità del giudizio ed alla peculiare struttura dell’intero procedimento in cui il giudizio è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali, dotate di particolari cognizione tecniche e deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. 27700 cit. p. 5).

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.L. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10, e 11.

Il tribunale con interpretazione gravemente errata delle norme avrebbe ritenuto l’insussistenza di automatismo tra mancanza di videoregistrazione e necessità di rinnovo dell’audizione del richiedente incorrendo in “una violazione istruttoria grave…ove le lacune del racconto del ricorrente reso innanzi alla Commissione sarebbero state colmate personalmente dallo stesso in sede di nuova audizione” che avrebbe altresì dimostrato “l’effettivo livello di integrazione raggiunto tale da poter propendere all’accoglimento della domanda eventuale di protezione umanitaria” (p. 11 ricorso).

3.1. Il motivo è infondato e per taluni suoi contenuti anche inammissibile per le ragioni di seguito indicate e precisate.

E’ necessario prendere le mosse dalle affermazioni di diritto che, chiare sul punto, ha reso questa Corte di legittimità con la sentenza del 05/07/2018 n. 17717.

In attuazione del principio del contraddittorio, e quindi del diritto del ricorrente ad una piena ed effettiva difesa, questa Corte di legittimità con l’indicata sentenza ha, per vero, rimarcato la necessità, per ragioni di stretta letteralità della norma in esame e di armoniosa ricostruzione del sistema, che in mancanza della videoregistrazione del colloquio il tribunale, chiamato a pronunciare sulla domanda di protezione internazionale, debba fissare l’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti la nullità del decreto pronunciato per il mancato pieno spiegamento del principio del contraddittorio (Cass. n. 17717 cit. pp. 10, 11).

Tuttavia, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, alla quale può non farsi luogo se sia stata garantita al ricorrente la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni davanti alla Commissione territoriale e il Tribunale, cui siano stati resi disponibili il verbale dell’audizione ovvero la videoregistrazione e la trascrizione del colloquio, nonchè l’intera documentazione acquisita, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8, debba respingere la domanda, per essere la stessa manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti già acquisiti (Cass. 28/02/2019 n. 5973).

3.2. Il Tribunale di Milano, in applicazione degli indicati principi e richiamando la sentenza di questa Corte n. 17177/2018, ha appunto dato conto dell’intervenuta fissazione dell’udienza alla data del 30.10.2018, con cui il giudice designato ha ritenuto “non necessario procedere a nuova audizione del richiedente” ed il Collegio, in difetto di nuove allegazioni, ha ritenuto “di avere tutti gli elementi necessari ai fini della decisione, senza necessità di intervistare nuovamente il ricorrente” (p. 2 decreto).

3.3. Il motivo è pertanto infondato poichè l’audizione del richiedente protezione non è in ogni caso obbligatoria avendo il tribunale valutato la domanda come manifestamente infondata e tanto in ragione degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (Cass. 5973 cit.), e tale violazione non è fatta oggetto di specifica censura da parte del ricorrente.

4. Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio ai fini del riconoscimento di un permesso di soggiorno per fini umanitari.

Il tribunale non avrebbe considerato, mancando sul punto di osservare il dovere di cooperazione officiosa (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8), il dato obiettivo integrato dalla effettiva situazione politica, economica e di pericolosità sociale del paese di origine del ricorrente, la (OMISSIS), non provvedendo a scrutinare la concreta situazione di vulnerabilità del richiedente previa comparazione di quella vissuta prima della partenza dalla (OMISSIS) e di quella alla quale si sarebbe trovato esposto in conseguenza del rimpatrio.

Il diritto alla protezione sussidiaria non si sarebbe potuto escludere in ragione della “circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese di origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela” (pp. 17 e 18 ricorso).

4.1. I motivi, che possono trattarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

Il tribunale ha fatto corretta e piena applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità con la sentenza n. 455 del 2018, poi ripreso, in continuità, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 29459/2019, sulla necessità che ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, nella “orizzontalità” dei diritti umani fondamentali si abbia una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

A siffatta affermazione si accompagna non solo l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, del grado di integrazione raggiunto dal richiedente in Italia in quanto isolatamente considerato, senza che si abbia quindi riguardo alla situazione soggettiva ed oggettiva goduta dal richiedente nel Paese di origine, ma anche che, una volta esclusa l’integrazione in Italia, l’accertamento del giudice del merito non potrà aprirsi al giudizio di bilanciamento, in difetto di uno dei due termini da porsi in comparazione.

I giudici di merito hanno ritenuto incapaci di integrare un “effettivo radicamento” in Italia le “tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza” (p. 13 decreto), portate dal ricorrente a sostegno della domanda di protezione umanitaria, evidenza, questa, che esclude la praticabilità di un giudizio di bilanciamento nei termini indicati.

Quanto ancora al quarto motivo, vero è poi che il tribunale esclude la sussistenza dell’altro requisito della grave violazione individuale dei diritti umani del ricorrente nel Paese di origine e tanto In ragione della non credibilità del suo racconto (Cass. 24/04/2019 n. 11267).

4.2. La dedotta violazione del dovere di collaborazione istruttoria D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 fatta valere a sostegno del riconoscimento della protezione sussidiaria all’interno di motivi per i cui contenuti si contesta la sussistenza dei presupposti di rilascio di un permesso di soggiorno e, comunque, si conclude nel senso di “cassare il decreto Impugnato, riconoscendo la protezione umanitaria a favore del ricorrente”, vale a rendere il motivo stesso inammissibile perchè incapace di segnalare in modo concludente i contenuti della critica e tanto nella natura vincolata dai motivi di ricorso per cassazione che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro Formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito (tra le altre: Cass. 14/05/2018 n. 11603).

4.3. D’altra parte, il contenuto del motivo è ancora generico perchè neppure si confronta con il decreto del Tribunale di Milano in punto di mancato riconoscimento della protezione sussidiaria (pp. 12-14, 17 e 18 ricorso e pp. 10-12 decreto) là dove si deduce la risalenza nel tempo, all’anno 2005, delle notizie acquisite dai giudici di merito sulla setta degli (OMISSIS), senza così considerare le ben più recenti COI del 2016 e 2017 investigate nell’impugnato decreto, anche per la ivi operata distinzione tra le due figure dell'”(OMISSIS)” e dell'”(OMISSIS)”, dai distinti segni caratterizzanti: la prima dagli scopi non illegali, strumento di ascesa sociale dell’individuo; la seconda, vera e propria associazione per delinquere.

Il fugace riferimento pure contenuto in ricorso sull’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata in (OMISSIS) “così da integrare la fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria” (p. 14), inserito in una più ampia critica che si conclude comunque con la richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria (p. 15 ricorso) non riesce a sostenerla, realizzando, piuttosto, confuse sovrapposizioni fattuali incapaci di individuare la domanda e di condurre ad una concludente critica.

5. Il ricorso deve essere pertanto, e conclusivamente, rigettato. Nulla sulle spese poichè l’amministrazione è rimasta intimata. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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