Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15784 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. I, 07/06/2021, (ud. 04/03/2021, dep. 07/06/2021), n.15784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29663/2016 proposto da:

Banca Popolare Pugliese “Capogruppo Gruppo Bancario Banca Popolare

Pugliese” Società Cooperativa per azioni, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

San Sebastianello n. 6, presso lo studio dell’avvocato Cappiello

Raffaele, rappresentata e difesa dagli avvocati Dell’Anna Raffaele,

Dell’Anna Misurale Giuseppe, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.B.S., in proprio e quale erede di D.B.G.,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Stasi Carlo, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 947/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 04/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2021 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 947/2016, depositata il 4/10/2016, – in controversia promossa da D.B.S., con citazione del febbraio 2005, nei confronti della Banca Popolare Pugliese, al fine di sentire accertare l’inesistenza, la nullità o l’inefficacia del contratto concluso, il 31/10/2000, nell’ambito di contratti di negoziazione di valori mobiliari del 1994 e del marzo 2000, di acquisto di obbligazioni (OMISSIS), nei confronti della D.B., in via principale, in quanto non sottoscritto dalla stessa (ma dal di lei padre, D.B.G., sprovvisto, all’epoca, di procura ad operare sul “conto titoli” della figlia, conferitagli solo in epoca successiva), ovvero, in via subordinata, per violazione reiterata della normativa di settore, nonchè, in subordine, per sentire accertare l’inadempimento dell’intermediario, nella conclusione e nello svolgimento del contratto di acquisto, agli obblighi di informazione, attiva e passiva, con condanna della banca alla restituzione integrale del capitale investito, pari ad Euro 310.930,00, ed al risarcimento del danno, patrimoniale e non, con chiamata in causa, ad opera della convenuta, del terzo D.B.G. – ha riformato la decisione di primo grado.

Il Tribunale di Lecce, in particolare, aveva: a) con sentenza parziale del 2009, respinto la domanda principale attorea, ritenendo (sulla base della documentazione acquisita, pur dando atto della mancata risposta del terzo chiamato all’interrogatorio formale, senza giustificato impedimento) che il contratto in oggetto si fosse perfezionato e fosse divenuto efficace nei confronti dell’attrice, quale rappresentata dal firmatario D.B.G., avendo la banca fatto incolpevole affidamento sull’effettiva sussistenza, in capo al faisus procurator, dei poteri di rappresentanza (non potendo rilevare, ai fini della colpa, il solo comportamento omissivo della banca nel richiedere la procura formale, a fronte di alcune negoziazioni intervenute nei mesi precedenti, sempre ad opera del padre sui conti della figlia), che comunque la D.B., figlia del primo, avesse ratificato l’operato del padre, nè che fosse necessaria, per il singolo ordine di acquisto, una procura scritta ad substantiam; 2) successivamente, con sentenza definitiva del 2010, respinto tutte le ulteriori domande attoree, di nullità per difetto di forma scritta o ai sensi dell’art. 30, comma 7, del TUF o per conflitto di interessi, nonchè di declaratoria della responsabilità della banca per inadeguatezza dell’investimento (avendo la D.B., rifiutato, in sede di stipula del contatto quadro del 1994, di fornire informazioni sulla sua situazione finanziaria ed essendo stata segnalata al D.B., padre, sottoscrittore dell’ordine, l’inadeguatezza dell’operazione, con ordine comunque di effettuazione della stessa), con le conseguenti pretese restitutorie e risarcitorie.

I giudici d’appello, in accoglimento del gravame principale della D.B., proposto avverso entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva, hanno, invece, dichiarato inefficace il contratto di acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) del 31/10/2000, nei confronti della medesima D.B., condannando la banca alla refusione alla stessa dell’importo di Euro 310.930,00, oltre interessi legali e risarcimento del maggior danno, ed hanno respinto il gravame incidentale proposto dalla banca nei confronti del D.B.G.. In particolare, la Corte territoriale ha sostenuto che: a) la normativa di settore, nella specie il D.Lgs. n. 58 del 1998 – TUF ed il regolamento Consob n. 11522/1998, impongono agli intermediari abilitati obblighi di diligenza particolarmente intensi, a tutela dell’investitore, contraente debole, ed il fatto dell’operatore finanziario, “che riceve un ordine di acquisto…”importante”, sottoscritto da un soggetto diverso da quello cui fanno carico gli effetti dell’operazione, senza l’accertamento degli effettivi poteri di rappresentanza in capo al primo”, costituisce violazione evidente della particolare diligenza imposta dalla legge all’operatore professionale; b) non possono valere a giustificazione di tale condotta nè la circostanza che il falsus procurator sia persona stimata o conosciuta o che già abbia svolto con la banca un’operazione di tenore analogo a nome altrui, nè il disposto dell’art. 1393 c.c., che attribuisce al terzo una facoltà, piuttosto che un obbligo, in ordine alla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante, atteso che tale disposizione non esclude la doverosità di tale richiesta “in circostanze che, come nel caso di specie, impongono l’adozione di particolari cautele ed attenzioni”, il tutto “in disparte alla espressa previsione nel contratto di negoziazione 30/3/2000 della necessità di procura in forma scritta”; c) la ricezione da parte del rappresentato dei fissati bollati, inviati dalla banca, o delle cedole, accreditale sul conto, senza contestazioni, non vale ad integrare alcuna ratifica, sia “per difetto del requisito formale contrattualmente necessario”, sia in difetto di un’univoca manifestazione di volontà del soggetto cui la ratifica spettava, “in disparte il fatto che l’eccezione da parte della banca della ratifica sia stata o meno tempestivamente e validamente formulata” (come eccepito dall’attrice). La Corte territoriale, poi, in ordine al rigetto dell’appello incidentale di B.P.P., avente ad oggetto la domanda di risarcimento danni azionata dalla banca nei confronti del terzo chiamato D.B., ha osservato che la banca non poteva ritenersi “terzo in buona fede”, essendo necessariamente consapevole della mancanza di valida procura in capo al padre al fine di operare sul conto titoli della figlia, tanto da avere successivamente ottenuto la consegna di una formale procura scritta dal D.B. per analoghe operazioni, e la sua condotta, valutato il particolare regime normativo di settore, l’importanza ed il rischio dell’operazione stessa, non poteva ritenersi “senza colpa”.

Avverso la suddetta pronuncia, Banca Popolare Pugliese, soc.c.oop.p.a., propone ricorso per cassazione, notificato il 9/12/2016, affidato a sei motivi, nei confronti di D.B.S., in proprio ed in qualità di unica erede di D.B.G., (che resiste con controricorso). La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1393 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che, nel caso di contratti di intermediazione finanziaria, la banca non avesse la mera “facoltà”, al pari di ogni terzo contraente, di chiedere la giustificazione dei poteri del rappresentante, bensì un vero e proprio obbligo, la cui violazione esclude, di conseguenza, che la banca possa invocare l’incolpevole ignoranza dell’assenza di poteri rappresentativi del falsus procurator; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1398 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la specificata qualità di operatore finanziario della banca e l’esistenza di una disciplina di settore dell’attività di intermediazione finanziaria, ispirata ad una particolare esigenza di tutela dell’investitore, precludesse alla banca, diversamente che per altro terzo contraente, di fare affidamento su una situazione di rappresentanza apparente, malgrado, nello specifico, neppure potesse ritenersi che la necessità della forma scritta della procura derivasse dalla forma ad substantiam prescritta per il contratto cui essa accedeva (essendo la forma scritta richiesta, nella materia, per il solo contratto-quadro e non per i singoli ordini di acquisto) ovvero da clausola contrattuale del contratto di negoziazione del 30/2/2000; c) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5 di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, rappresentati dall’avere il D.B.G. già compiuto attività gestorie nell’interesse della figlia, fatte proprie da quest’ultima, nonostante la mancanza di una procura formale, attività che avrebbero potuto rilevare ai fini sia della segnalazione di un contesto affidabile di rappresentanza apparente sia del comportamento colposo del rappresentato, idoneo ad ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione del valido conferimento del potere di rappresentanza al rappresentante apparente; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 232 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di considerare la circostanza che il terzo chiamato D.B.G. si era ingiustificatamente sottratto alla prova per interrogatorio formale, richiesta dalla banca ed ammessa dal giudice; e) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1398 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la mancata richiesta da parte della banca dell’esibizione della procura escludesse di per sè anche la responsabilità del D.B.G. in qualità di falsus procurator; f) con il sesto motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1399 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la condotta tenuta dalla signora D.B., contestualmente e dopo l’effettuazione dell’ordine di acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) da parte del padre, non fosse comunque idonea a configurare un’ipotesi di ratifica dell’operato del falsus procurator.

2. La prima censura è inammissibile.

2.1.La Banca ricorrente deduce, in punto di fatto (come accertato in giudizio, sin dal primo grado, peraltro pacificamente tra le parti), che i D.B., padre e figlia, erano da anni clienti della Banca Popolare Pugliese, molto importanti, sia per capitale sia per il ruolo rivestito dal D.B., amministratore della “più antica banca salentina, il Piccolo Credito Salentino”, e che, nell’ambito di un rapporto di negoziazione di strumenti finanziari avviato con la D.B. dal 1994, rinnovato con nuovo contratto nel marzo 2000, il padre della stessa, D.B.G., procuratore abilitato ad operare sul conto corrente della figlia, aveva, nel giugno 2000, versato, sul conto corrente intestato, presso la Banca Popolare Pugliese, alla figlia, un assegno di circa L. 600.000.000, dal medesimo sottoscritto, con il suo nome, sotto il timbro “Dott.ssa D.B.S.”, tratto su altra banca e regolarmente pagato, ed aveva poi impartito, con le stesse modalità, apponendo la sua firma in calce al timbro recante il nome della figlia, un ordine di investimento della somma in “pronti contro termine”, con scadenza 31/10/2000, negoziando il tasso, e, a tale data di scadenza dei PCT, a seguito di comunicazione trasmessa dalla banca alla D.B., un ordine di acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) per L. 602.108.271. E’ altresì pacifico che una formale procura ad operare sul conto titoli acceso presso la Banca Popolare Pugliese sia intervenuta solo nell’ottobre 2002. Non è neppure contestato che l’intermediaria abbia inviato alla titolare del rapporto i fissati bollati relativi alle operazioni effettuate sul conto nell’anno 2000 (gli acquisti dei PCT e delle obbligazioni (OMISSIS)), gli estratti del conto titoli, le contabili di accredito degli interessi sul bond, senza nulla dedurre, instaurando poi il presente giudizio nel 2005.

La ricorrente lamenta che, nella specie, al fine di escludere la ricorrenza dell’incolpevole affidamento della banca sulla sussistenza, in capo al falsus procurator D.B., della legittimazione a sottoscrivere, in nome e per conto della figlia, l’ordine di acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) del 31/10/2000, la Corte d’appello abbia dato rilievo, essenzialmente ed unicamente, al comportamento, meramente omissivo, tenuto dalla stessa intermediaria, nel non richiedere che il rappresentante le consegnasse una copia scritta della procura, malgrado ciò non sia sufficiente ad integrare la colpa prevista dall’art. 1398 c.c., avendo il terzo contraente, ai sensi dell’art. 1393 c.c., la semplice facoltà e non pure l’obbligo di controllare i poter di colui che si qualifichi rappresentante, nè potendo ritenersi che la disciplina speciale di settore, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998 detti alcuna previsione di deroga a tale regolai generale, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello.

Aggiunge la ricorrente che, pur volendo dare seguito a quell’indirizzo di questo giudice di legittimità in base al quale sussiste, nell’ipotesi di negozi a forma scritta ad substantiam, un vero e proprio obbligo di documentazione della procura, dalla cui mancanza dovrebbe dedursi la colpa inescusabile del terzo contraente, nella specie, l’ordine di acquisto di valori mobiliari doveva ritenersi a forma libera, essendo prescritta, dall’art. 23 del T.U.F., la forma scritta solo per il contratto-quadro, ed essendo l’art. 11 del contratto di negoziazione inter partes del 30/2/2000, in punto di necessità del rilascio di una procura in forma scritta per la delega dei poteri di negoziazione a terzi, riferibile al solo caso di cointestazione del rapporto ed alla necessità che in tale ipotesi tutti i contestatari conferiscano autorizzazione ai rappresentanti (come dedotto tempestivamente nei gradi del merito), trattandosi, in ogni caso, di forma convenzionale scritta pattuita per la sola procura e non determinata per relationem con la forma prescritta per il contratto da stipulare, l’ordine di acquisto in valori mobiliari, a forma libera.

In conclusione, secondo la ricorrente, eliminato l’erroneo assunto della Corte territoriale, in ordine alla doverosità, per l’intermediaria, di richiedere, sempre e comunque, al rappresentante documentazione giustificativa al fine di operare nell’ambito del contratto di negoziazione in valori mobiliari, nella specie, la condotta tenuta dalla rappresentata D.B., anteriormente e successivamente all’ordine di acquisto in contestazione, non poteva non implicare un affidamento incolpevole della banca intermediaria.

2.2.La controricorrente, oltre ad eccepire l’inammissibilità del motivo perchè volto ad una contestazione della ricostruzione della fattispecie concreta riservata al giudice del merito se congruamente motivata, obietta che il motivo non è conferente rispetto al decisum, in quanto la Corte d’appello ha affermato, non che il terzo contraente abbia “sempre” l’obbligo di richiedere al sedicente rappresentante la giustificazione dei poteri, ma che la negligenza nella condotta del terzo, idonea ad escludere la tutela della rappresentanza apparente, possa essere desunta da concrete circostanze che impongano l’adozione di particolare cautela ed attenzione, nella specie riscontrate.

2.3. Secondo il disposto di cui all’art. 1393 c.c., la richiesta di documentazione in ordine al potere rappresentativo è a carattere facoltativo, ragione questa per cui l’omissione, ad opera del terzo contraente con il rappresentante, non vale di per sè solo a costituirlo in colpa, ai fini di cui all’art. 1398, sia per la responsabilità del rappresentante senza poteri sia per la ricaduta degli effetti del contratto sullo pseudo rappresentato, nonostante il difetto di procura, in applicazione del principio dell’apparenza.

Secondo giurisprudenza costante, per l’applicabilità di tale principio, riconducibile a quello, più generale, della tutela dell’affidamento incolpevole, con riguardo alla rappresentanza negoziale, occorrono: a) elementi oggettivi idonei a giustificare l’erroneo convincimento, in cui l’invoca, che la situazione apparente, in ordine all’esistenza del potere rappresentativo, rispecchi la realtà giuridica; b) l’essere l’erroneo convincimento frutto di errore scusabile e non di colpa del terzo; c) l’essere stata l’apparenza determinata da un comportamento colposo dell’apparente rappresentato (Cass. 4299/1999; Cass. 1720/1998).

Essendo quindi necessarie, in ogni singolo caso, la buona fede del terzo e la ragionevolezza dell’affidamento, il principio non può essere invocato da chi versi in colpa per avere omesso di accertare, in contrasto con la stessa legge e con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose, affidandosi alla mera apparenza (Cass. 1534/1966).

L’onere della prova sui presupposti dell’apparenza colposa ricade su chi invochi l’efficacia del contratto stipulato dal falsus procurator, mentre, allorchè concorrono obiettivi elementi, sia pure di carattere presuntivo, idonei a costituire una situazione di apparenza giuridica, spetta al convenuto, il quale contesti l’efficacia a suo danno di tale situazione, l’onere della prova contraria, consistente nel dimostrare che il terzo non ignorava la situazione reale ovvero che l’opinione del terzo, che la situazione apparente corrispondesse a quella reale, era determinata da colpevole negligenza (Cass. 1534/1966; Cass. 3287/1999).

Si è posta quindi la questione dell’incidenza, sulla valutazione della diligenza del terzo contraente, del disposto dell’art. 1393 c.c., secondo cui il terzo che contratta con il rappresentante “può” esigere la giustificazione dei suoi poteri rappresentativi.

Questa Corte ha ritenuto, ai sensi dell’art. 1393 c.c., che la richiesta della giustificazione dei poteri del rappresentante, ai fini di controllare se colui che si qualifica rappresentante sia realmente tale, costituisce per il terzo contraente una facoltà e non un onere, sicchè il non aver fatto uso di tale facoltà non è di per sè sufficiente a costituire in colpa il terzo stesso ai sensi dell’art. 1398 c.c., occorrendo, per potere affermare che il terzo nel caso concreto abbia agito senza la dovuta diligenza, il concorso di altri elementi, anche laddove il contratto cui abbia partecipato il falsus procurator necessiti della forma scritta ad substantiam (Cass. 1817/1987; Cass. 3691/1995; Cass. 9289/2001; Cass. 6301/2004; Cass. 15743/2004). Secondo un diverso indirizzo giurisprudenziale, la tutela dell’affidamento del terzo sull’apparenza del diritto deve applicarsi solo allorchè tale affidamento riguardi negozi a forma libera o per i quali la forma scritta sia prevista ad probationem, poichè, in tal caso, a differenza dell’ipotesi in cui per l’atto da compiere sia richiesta la forma scritta ad substantiam, non sussiste un onere legale di documentazione della procura, dalla cui mancanza si debba dedurre una colpa inescusabile all’altro contraente (cfr. Cass. 6244/1981; Cass. 3988/1999; Cass. 3364/2010; Cass. 1192/2017).

Ora, nella pronuncia di questa Corte n. 9289/2001 si è giustamente obiettato: “Delle due l’una: o si ritiene che per il terzo contraente con il rappresentante costituisca un onere, per escludere che il suo affidamento sia colpevole, richiedere sempre la giustificazione dei poteri rappresentativi (e ciò comporterebbe la pressochè totale scomparsa dell’istituto dell’apparenza del diritto nell’ambito della rappresentanza), ovvero si ritiene che detto onere non esista in nessun caso, non avendo base normativa il ritenere che esso sussista solo in ipotesi di stipula di contratti per i quali è necessaria la forma scritta ad substantiam”.

Dovendosi quindi escludere, in generale, che sussista un obbligo giuridico per il terzo contraente di controllo dei poteri del rappresentante, dal cui inadempimento derivi la non scusabilità dell’errore o una presunzione assoluta di colpa e, di conseguenza, la non invocabilità del principio della rappresentanza apparente, devono quindi essere valorizzate tutte le circostanze oggettive che hanno caratterizzato, in concreto, la stipulazione e che siano suscettibili di indurre un contraente di media diligenza a ritenere esistenza del potere rappresentativo; in sostanza, il terzo, che non abbia motivo di dubitare, secondo l’ordinaria diligenza, dell’effettivo conferimento al rappresentante dei relativi poteri, non può essere ritenuto in colpa soltanto perchè non abbia controllato l’esistenza dei poteri di rappresentanza mediate la richiesta di esibizione della procura.

Va, inoltre, ribadito che l’accertamento degli elementi obiettivi idonei a giustificare la ragionevole convinzione del terzo circa la corrispondenza della situazione apparente a quella reale – e, cioè, degli elementi richiesti perchè si possa attribuire rilevanza giuridica alla situazione apparente – è riservato istituzionalmente al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione (Cass. 15743/2004; Cass. 408/2006; Cass.18191/2007; Cass. 18519/2018), sempre che sia immune da errori di diritto.

2.4. Ora, tanto premesso, la Corte d’appello, pur richiamando il principio circa la non sussistenza di un obbligo giuridico, ai sensi dell’art. 1393 c.c., in generale, per il terzo contraente di richiedere al rappresentante giustificazione dei poteri rappresentativi, ha ritenuto che le circostanze concrete dell’investimento (quali descritte in precedenza e quindi l’entità del controvalore investito e la tipologia degli strumenti finanziari acquistati) imponessero ad un intermediario finanziario – soggetto, peraltro, per il quale è richiesta una soglia di vigilanza e diligenza, non media, ma specifica della funzione esercitata, con conseguente riduzione del grado di tolleranza della prevalenza dell’apparenza sulla situazione reale – un diligente controllo in merito alla regolarità dell’intera operazione, con verifica, in primis, della sussistenza di un effettivo potere di rappresentanza del D.B. padre per operare, per conto della figlia, titolare del rapporto di negoziazione in valori mobiliari con BPP.

Non sussiste dunque alcun errore di diritto e la censura si risolve in un’inammissibile richiesta di rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. da ultimo, Cass. SU 34476/2019).

3. La seconda censura è, del pari, inammissibile.

Con tale motivo, enunciato come violazione di norma di diritto, la BPP lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto comunque che la tutela del terzo contraente, ex art. 1398 c.c., che invochi l’efficacia del contratto stipulato dal falsus procurator in presenza dei presupposti della rappresentanza apparente, non possa essere mai invocata dalla banca intermediaria, nel rapporto di investimento in strumenti finanziari con il cliente investitore, avendo la prima, in quanto parte forte del rapporto contrattuale, sempre l’obbligo di verificare documentalmente l’esistenza della procura, richiedendone al rappresentante l’esibizione, con conseguente disapplicazione, sostanzialmente, dell’art. 1398 c.c..

La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del motivo, in quanto volto ad una contestazione della valutazione di fatto operata dalla Corte d’appello sulla negligenza in capo alla banca, per non avere richiesto al rappresentante la giustificazione dei suoi poteri.

In effetti, richiamato quanto già esposto ai precedenti paragrafi, deve qui ribadirsi che la Corte di merito non ha escluso che, in materia di intermediazione finanziaria, il soggetto intermediario possa invocare la tutela dell’apparenza colposa in materia di rappresentanza ma ha soltanto ritenuto che, sulla base delle circostanze concrete dell’investimento, il comportamento dell’intermediario non fosse senza colpa.

4. Il terzo motivo è pure inammissibile.

La doglianza attiene a vizio di omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di una serie di elementi fattuali che la Corte di merito solo apparentemente avrebbe preso in esame nell’ambito della valutazione dello stato di affidamento incolpevole della banca ex art. 1398 c.c. (quali: la conoscenza, per rapporto pluriennale, da parte dell’intermediaria dei D.B.; il compimento, alcuni mesi prima, da parte del D.B. – padre, di attività gestorie in qualità di rappresentante della figlia, non contestate da quest’ultima, nonostante la mancanza di una procura formale; il rilascio, due anni dopo, di una “procura postuma”, dalla D.B. al padre, al fine di operare sul conto titoli, indicativa del permanere di un immutato rapporto di fiducia tra le parti), essendosi, in effetti, la Corte territoriale limitata ad affermare, in maniera apodittica, che tale condotta integrava, al più, un’altra violazione, da parte della banca, dei doveri di diligenza, correttezza e tutela del cliente, su di essa gravanti.

La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del motivo, sia perchè i fatti descritti sono stati presi in esame dalla Corte d’appello, che li ha espressamente menzionati nella sentenza impugnata, cosicchè il vizio motivazionale non è volto a contestare la logicità intrinseca della sentenza ma sottende una censura di insufficienza motivazionale, inammissibile, sia perchè i fatti in sè non appaiono decisivi.

Ed in effetti i fatti descritti sono stati esaminati dalla Corte di merito, che li ha ritenuto inidonei ad escludere la colpa dell’intermediario e l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8053/2014) hanno precisato, in ordine alla portata dell’art. 360 c.p.c., n. 5 modificato, che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, con v. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

5. Il quarto motivo implica un vizio procedurale, per violazione e falsa applicazione degli artt. 232 e 116 c.p.c., lamentando la ricorrente che la Corte d’appello, pur avendo accolto la domanda principale attorea, riformando la decisione di primo grado, abbia del tutto omesso di valutare la mancata risposta del D.B.G. all’interrogatorio formale deferitogli, ed è inammissibile.

Invero, l’esercizio da parte del giudice della facoltà di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità, neppure come vizio di motivazione, atteso che l’art. 232 c.p.c. riconnette a tale comportamento del soggetto cui la prova è stata deferita soltanto una presunzione semplice, che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”) (Cass. 20740/2009; Cass. 19833/2014; Cass.4837/2018).

Quanto poi alla violazione dell’art. 116 c.p.c., questa Corte ha già affermato (Cass. 27000/2016) che “in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione”.

Ora, la ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia tratto i dovuti elementi dal rifiuto del D.B. padre di rendere l’interrogatorio formale deferitogli e ammesso dal giudice di primo grado, senza giustificazione, ma l’art. 116 c.p.c., in esame, anche nel comma 2, consacra il principio del libero convincimento del giudice e quindi il suo potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti, cosicchè il mancato uso di tale potere non è censurabile in sede di legittimità, nè per violazione di legge, nè sotto il profilo del difetto di motivazione, allorchè il giudice abbia deciso di non utilizzare tale argomento sussidiario, avendo già acquisito i necessari elementi di prova in base alle risultanze dell’istruttoria (Cass. 18128/2006; Cass. 26088/2011; Cass. 20673/2012).

6. Il quinto motivo è infondato.

Con la censura concernente violazione e falsa applicazione dell’art. 1398 c.c., la ricorrente si duole del rigetto del proprio appello incidentale, in punto di domanda di condanna del terzo chiamato D.B. al risarcimento dei danni, avendo la Corte di merito ritenuto che la condotta negligente e colposa della banca, per non avere richiesto al falso rappresentante D.B., l’esibizione della procura, valesse, oltre che a rendere il contratto di acquisto dei valori mobiliari inefficace per la rappresentata, ad escludere ogni responsabilità del D.B.G. nei confronto della banca, laddove invece la buona fede del terzo contraente rileva solo ai fini della sussistenza dei presupposti della rappresentanza apparente e dell’eventuale responsabilità del rappresentato ex art. 1398 c.c..

La controricorrente replica che la Corte d’appello ha affermato che la banca fosse pienamente consapevole del fatto che il D.B. padre non avesse il potere di impegnare la figlia, per mancanza di una procura formale, con conseguente venir meno sia dei presupposti della rappresentanza apparente sia di profili di responsabilità del falso rappresentate, e che tale argomentazione non è stata efficacemente censurata dalla ricorrente, con conseguente inammissibilità del motivo.

Ora, la responsabilità del rappresentante senza poteri, ai sensi dell’art. 1398 c.c., da ascrivere nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, per “culpa in contrahendo”, stante il comportamento contrario ai più generali doveri di correttezza e buona fede, connessi al divieto di “neminem laedere” (Cass. 11453/1998; Cass. 18191/2007; Cass. 9071/2010), presuppone, a prescindere dalla consapevolezza o dal dovere di riconoscere di agire senza averne il potere, in capo al falso rappresentante, la cui posizione soggettiva non è proprio presa in considerazione dalla norma, che il terzo contraente, che invoca la tutela dell’apparenza, non sia in colpa nell’avere confidato nella validità del contratto, sulla base dei dettami della normale diligenza.

Si è infatti chiarito (Cass. 231999/2004) che “l’art. 1398 c.c., nel riconoscere la responsabilità del falsus procurator verso il terzo incolpevole, con il quale ha contrattato senza avere i poteri rappresentativi, dà rilievo soltanto alla posizione soggettiva del terzo contraente, che per ottenere il risarcimento del danno deve provare di avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto, mentre prescinde totalmente dal considerare la posizione soggettiva del falsus procurator, del quale, pertanto, resta irrilevante accertare l’intenzionalità o il dolo, ovvero la colpa nella causazione del danno. Una volta ravvisato il presupposto soggettivo per il risarcimento in capo al terzo rimane, d’altro canto, esclusa la possibilità di configurare, agli effetti dell’art. 1227 c.c., un concorso del fatto colposo del terzo stesso, giacchè, il concorso del fatto colposo del creditore è ontologicamente inconciliabile con le situazioni – come quella di cui alla norma dell’art. 1398 – nelle quali operi il principio dell’apparenza del diritto, espressione del più generale principio dell’affidamento incolpevole, in quanto l’esistenza di un comportamento colposo del terzo impedirebbe di ravvisarne l’affidamento incolpevole”.

Nella specie, essendosi escluso un affidamento incolpevole da parte della BPP sull’esistenza della procura in capo al padre ad operare sullo specifico rapporto negoziale tra a figlia e l’intermediaria, non poteva che conseguire il rigetto della richiesta di accertamento della responsabilità del falso rappresentante e di sua condanna al risarcimento del danno nei confronti del terzo contraente, perchè ritenuto colpevole.

7. Infine, con l’ultimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1399 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la successiva condotta tenuta dalla rappresentata, di non contestazione, malgrado ricezione dei fissati bollati e degli estratti conto, descrittivi delle operazioni di investimento effettuate, e di riscossione delle cedole maturate sull’investimento, non integrasse i presupposti della ratifica dell’operato del falsus procurator, sulla base di due rationes decidendi: a) sia perchè la ratifica doveva risultare da atto scritto, essendo detto requisito formale “contrattualmente necessario”; b) sia perchè da tali comportamenti non si poteva evincere un’univoca manifestazione di volontà. La BPP deduce, da un lato, che la ratifica poteva avvenire anche per facta concludentia, considerato che la forma presa in considerazione ai fini della validità della ratifica, dalla disposizione di cui all’art. 1399 c.c., è solo quella per relationem prescritta per il contratto per la cui conclusione la procura è rilasciata e che quindi, nella specie, la forma scritta ad substantiam non era prescritta per l’ordine di acquisto dei titoli nè dall’art. 23 T.U.F. nè da alcuna clausola convenzionale, nonchè, dall’altro lato, che tali comportamenti successivi, protrattisi per anni, integrano una “rappresentanza tollerata”, che costituisce un’ipotesi di rappresentanza apparente, con conseguente efficacia dell’operazione posta in essere dal falsus procurator nei confronti del rappresentato.

La doglianza è inammissibile.

Invero, riguardo alla questione, oggetto della prima ratio decidendi contestata, della forma richiesta per la ratifica da parte del rappresentato al fine di fare propri gli effetti del contratto concluso in suo nome dal falsus procurator, l’art. 1399 c.c. prescrive che sia osservata la forma prescritta per il contratto concluso dal falsus procurator. Si è quindi ritenuto (Cass. 111223/1991; Cass. 2406/1989; Cass. 4794/1999; Cass. 21844/2010; Cass. 2617/2021) che anche “la ratifica di un contratto soggetto alla forma scritta “ad substantiam”, stipulato da “falsus procurator”, non richiede che il “dominus” manifesti per iscritto espressamente la volontà di far proprio quel contratto bensì può essere anche implicita – purchè sia rispettata l’esigenza della forma scritta – e risultare da un atto che, redatto per fini che sono conseguenziali alla stipulazione del negozio, manifesti in modo inequivoco la volontà del “dominus” incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere”.

Nella specie, non è contestato che si discuta di una ratifica tacita o per facta concludentia, che si sarebbe concretata in alcune condotte della pseudo rappresentata: omissive, quali la non contestazione, malgrado ricezione dei fissati bollati e degli estratti conto, descrittivi delle operazioni di investimento effettuate, e commissive, quale la riscossione delle cedole maturate sull’investimento, per alcuni anni, prima dell’instaurazione della lite.

La Corte d’appello ha fatto richiamo ad un “difetto del requisito formale contrattualmente necessario”; in precedenza, esaminando il profilo dell’affidamento incolpevole del terzo, la Corte di merito aveva ritenuto di non prendere in considerazione le clausole convenzionali inter partes in punto di forma della procura (“in disparte alla espressa previsione nel contratto di negoziazione 30/3/2000 della necessità di procura in forma scritta”).

In ogni caso, ai fini che qui interessano, rileva la forma richiesta per il contratto di acquisto dei valori mobiliari e la ricorrente si limita a dedurre che l’obbligo di forma scritta non emergerebbe nè dall’art. 23 del T.U.F. nè dalle clausole convenzionali, essendo previsto che gli ordini potessero essere impartiti anche telefonicamente, non avendo “le parti…previsto alcunchè”.

In effetti, questa Corte anche da ultimo (Cass. 18122/2020; Cass. 19759/2017; Cass. 3950/2016) ha ribadito che “D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, laddove impone la forma scritta a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengono poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro. Tali ordini, infatti, rappresentano un elemento di attuazione delle obbligazioni previste dal contratto di investimento del quale condividono la natura negoziale come negozi esecutivi, concretandosi attraverso di essi i negozi di acquisizione – per il tramite dell’intermediario – dei titoli da destinare ed essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro”.

Tuttavia, rispetto alla forma prescritta per i singoli ordini di acquisto, cui potrebbe ricollegarsi la forma (scritta) della ratifica per relationem, la ricorrente, che denuncia nel motivo soltanto un vizio di violazione di legge, si limita ad affermare, in fatto, che non era prevista alcuna forma convenzionale, in senso quindi esattamente contrario a quanto accertato dalla sentenza impugnata, ove si è parlato, invece, espressamente di un requisito formale contrattualmente necessario.

Tale affermazione in fatto della Corte di merito non era censurabile in questa sede di legittimità, se non mediante l’adeguata articolazione di una censura per vizio di motivazione, in alcun modo contenuta nella censura in esame.

La doglianza in ordine alla seconda ratio decidendi della decisione impugnata, basata sulla non inequivoca volontà del dominus di fare proprio il contenuto e gli effetti del contratto, risulta, di conseguenza, assorbita.

8. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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