Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15782 del 10/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15782 Anno 2014
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: DE CHIARA CARLO

ORDINANZA
sul ricorso 24842-2013 proposto da:
KASONGA LENGE MUSASA KSNMSS78A17Z312I, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio
dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, rappresentato e difeso
dall’avvocato FERRARA SILVIO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585 – COMMISSIONE
NAZIONALE PER IL DIRITTO DI ASILO,
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO
DI ROMA;
– intimati –

Data pubblicazione: 10/07/2014

avverso la sentenza n. 4765/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 28.3.2013, depositata il 16/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA.
PREMESSO

respinto il gravame — espressamente qualificandolo reclamo a dispetto
della qualifica di appello attribuitagli dall’impugnante — proposto dal
sig. Kasonga Lenge Musasa, cittadino della Repubblica Democratica
del Congo, avverso la sentenza di primo grado con cui era stata
respinta l’impugnazione del diniego di riconoscimento dello status di
rifugiato da parte della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Precisato che l’interessato, residente in Italia dal 2004, gode
comunque della protezione umanitaria riconosciutagli ai sensi dell’art.
5, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (poi trasformata in protezione
sussidiaria), nella sentenza si riferisce che il reclamante invocava la
maggior protezione attribuita dallo status di rifugiato dichiarandosi
vittima di persecuzioni nel suo paese di origine, ove era stato
incarcerato e torturato all’indomani di un tentativo di colpo di stato,
con attentato alla vita dell’allora Presidente della Repubblica
Democratica del Congo Joseph Kabila, perpetrato nel 2004 da suo
fratello, Eric Lenge, già guardia del corpo del nominato Presidente.
La Corte d’appello ha confermato, sulla scorta delle
informazioni acquisite presso il Ministero degli Affari Esteri, il
tentativo di colpo di stato posto in essere da Eric Lenge, ma ha
affermato che manca la prova del legame familiare tra lui e il
reclamante, e ciò in quanto: la documentazione all’uopo prodotta da
quest’ultimo è di “dubbia provenienza”; il suo difensore aveva
rinunziato all’esame del teste indicato e già ammesso; le certificazioni
Ric. 2013 n. 24842 sez. M1 – ud. 16-04-2014
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Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha

sanitarie rilasciate da medici it2liani nel 2006 erano meramente
descrittive e non consentivano di attribuire le ferite e le cicatrici
riscontrate alle torture subite in carcere dal reclamante.
Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso per cassazione con tre
motivi di censura. Il ricorso è stato notificato al Ministero dell’Interno,

cura della cancelleria della stessa, ai sensi dell’art. 35, ultimo comma,
d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. L’amministrazione non ha svolto difese.
Il ricorrente ha presentato anche memoria.
CONSIDERATO
1. — Va preliminarmente chiarito che questa Corte ha seguito la
procedura di cui all’art. 35 d.lgs. n. 25 del 2008, e non quella ordinaria,
nonostante il ricorso fosse già stato notificato all’amministrazione
intimata a cura dello stesso ricorrente. Ciò in quanto, benché il
giudizio fosse iniziato in primo grado secondo il rito ordinario, non
essendo all’epoca ancora entrato in vigore il rito speciale di cui al
richiamato decreto legislativo, la Corte d’appello ha disposto, con
provvedimento non sottoposto a censure, il mutamento di rito,
coerentemente qualificando l’impugnazione quale reclamo (ai sensi,
evidentemente, del comma 11 del richiamato art. 35, come rivelato
anche dalla forma — sentenza — del provvedimento conclusivo
adottato). Trattandosi, inoltre, di processo pendente alla data di
entrata in vigore del successivo d.lgs. 10 settembre 2011, n. 150, che
ha nuovamente modificato il rito applicabile in materia di protezione
internazionale, quest’ultima modifica non è qui applicabile ratione
temporis, ai sensi dell’art. 36, comma 2, digs. cit.
2. — I tre motivi di censura in cui si articola il ricorso, tra loro
connessi e largamente ripetitivi, possono essere esaminati
congiuntamente.
Ric. 2013 n. 24842 sez. M1 – ud. 16-04-2014
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assieme al decreto di fissazione dell’udienza davanti a questa Corte, a

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello (a) abbia violato gli
artt. 33, 65 e 67 1. 31 maggio 1995, n. 218 negando valenza probatoria
al certificato di stato di famiglia del ricorrente, attestante il legame
familiare con Eric Lenge, rilasciato dalle autorità congolesi e prodotto
in giudizio; (b) abbia immotivatamente neutralizzato detto documento

abbia violato la regola di giudizio prevista dall’art. 3, comma 5, d.lgs.
17 novembre 2007, n. 251, che impone di considerare raggiunta la
prova della persecuzione in presenza delle circostanze ivi indicate,
puntualmente verificatesi nel caso in esame, nonché (d) eluso la regola
di cui all’art. 8, comma 3, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, che impone
indagini officiose nel paese di origine del richiedente asilo; (e) abbia
apoditticamente privato di rilevanza le certificazioni mediche prodotte
dal ricorrente, che confermavano la presenza dei segni delle torture
subìte sul suo corpo e sulla sua psiche.
2.1. — Va anzitutto sgomberato il campo dalla censura (a) di
violazione degli artt. 33, 65 e 67 1. n. 218 del 1995, inammissibile
perché la Corte d’appello non ha negato in assoluto valenza ai
procedimenti accertativi della filiazione seguiti nella Repubblica
Democratica del Congo e alle conseguenti certificazioni delle
competenti autorità, ma ha, più semplicemente, “dubitato” della
provenienza della certificazione prodotta dal ricorrente.
2.2. — Va altresì respinta la censura (d) di violazione dell’art. 8,
comma 3, d.lgs. n. 25 del 2008. La Corte di merito ha infatti richiesto
al Ministero degli Esteri le informazioni necessarie sulla situazione
della Repubblica Democratica del Congo con riferimento ai profili
rilevanti in causa, ossia all’attentato subito dal Presidente Kabila,
dando poi atto in sentenza che le informazioni ricevute coincidevano
con la versione dei fatti fornita dal reclamante, ovviamente per la sola
Ric. 2013 n. 24842 sez. M1 – ud. 16-04-2014
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mediante l’oscura e apodittica taccia di “dubbia provenienza”; (c)

parte riscontrabile mediante informazioni di ordine generale — le
uniche contemplate dalla norma richiamata — non certo per la parte
riguardante specificamente la persona del reclamante stesso e il suo
legame familiare con l’attentatore.
2.3. — E’ fondata, invece, la censura di violazione dell’art. 3,

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