Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15777 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 13/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIRUILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22911-2013 proposto da:

S.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

C.SO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato AMINA

L’ABBATE, rappresentata e difesa dall’avvocato SEBASTIANO COMEGNA

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.D., A.V. elettivamente domiciliati in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GREZ

& ASS.TI, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANO PACIFICI

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2013 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

TARANTO, depositata il 07/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza 7.2.2013 n. 57, ha rigettato l’appello proposto da S.A. avverso la sentenza del tribunale di Taranto n. 547/2012, con la quale era stato dichiarato risolto il contratto di locazione immobiliare – stipulato in data 21.3.2006 con i locatori A.D. ed A.V.- per inadempimento della conduttrice, condannata altresì al rilascio del bene ed al risarcimento del danno in misura pari a canoni non versati.

Il Giudice di appello riteneva che i pagamenti eseguiti con assegni bancari dalla S., in esecuzione di una scrittura privata datata 15.3.2006 e sottoscritta da uno solo dei locatori, non costituissero anticipazioni da imputarsi a scomputo dei canoni futuri del contratto locativo, ostandovi sia la anteriorità cronologica della scrittura rispetto alla data del contratto, essendo inverosimile una modifica preventiva di un contratto stipulato successivamente, sia l’assenza nella scrittura privata di indicazioni od altre causali del pagamento od ancora di riferimenti al contratto di locazione, sia infine la non corrispondenza degli importi anticipati ai canoni per i quali si era verificato l’inadempimento da ritardo e che risultavano egualmente corrisposti, deponendo ulteriormente per la insussistenza di un collegamento tra i due atti la mancata registrazione delle scrittura privata, richiesta a pena di nullità ai sensi della L. n. 311 del 2004 qualora detto atto fosse stato ritenuto accessivo al contratto di locazione.

I Giudici di appello inoltre ritenevano inanunissibile la eccezione di “alterazione” della data riportata nella scrittura privata, in quanto formulata per la prima volta in appello dalla S. e non ammettevano il giuramento decisorio chiesto dall’appellante in quanto vertente su un fatto illecito.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione da S.A. con quattro motivi concernenti errori di diritto e vizio logico.

Hanno resistito con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con il quale si censura la sentenza di appello per violazione delle norme sui criteri ermeneutici dei negozi, ed in specie dell’art. 1362 c.c., essendosi discostata la Corte territoriale dalla interpretazione letterale della scrittura privata in cui era indicato che “in deroga al contratto d’affitto commerciale tra i sigg. A.D. e V. locatori e la sig.ra S.A…..in data odierna i due locatori incassano….”, deve ritenersi inammissibile.

La censura non è autosufficiente ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, essendosi limitata la parte ricorrente a trascrivere una breve proposizione, estrapolata dalla scrittura privata, che non consente di inquadrarla nel contesto dell’accordo stipulato, e che peraltro non fornisce alcuna indicazione circa la correlazione con il successivo contratto di locazione, del quale la parte ricorrente ha omesso di trascrivere il contenuto, rimanendo precluso pertanto ogni accertamento in ordine al collegamento negoziale, ed alla stessa identificazione dell’immobile, non consentendo di verificare tale lacuna espositiva se vi sia o meno coincidenza tra l’immobile oggetto del “contratto di affitto commerciale” al quale fa riferimento la scrittura privata e l’immobile oggetto del contratto di locazione al quale – secondo la prospettazione della ricorrente – la scrittura verrebbe ad accedere.

Come evidenziato, infatti, dalla stessa ricorrente nella esposizione del motivo, la prevalenza del criterio letterale sugli altri criteri di interpretazione soggettiva implica un testo che non presenti equivoci, diversamente essendo fatto obbligo all’interprete di ricercare quale sia la effettività volontà negoziale espressa dalle parti, risolvendo l’ambiguità testuale mediante la verifica di elementi extratestuali quali il criterio sistematico, mettendo in relazione il testo da interpretare con le altre clausole del contratto, ed il comportamento complessivo tenuto dalle parti anteriormente e successivamente alla stipula del negozio (art. 1362 c.c., comma 2).

Orbene nella specie la Corte di appello si è attenuta alle coordinate indicate, in quanto, prendendo atto che la scrittura privata non recava alcuna specifica causale di pagamento, ha ritenuto oscura una deroga ad un contratto di locazione ad uso commerciale ancora non concluso (argomentando dalla diffidenza che il Legislatore manifesta nei confronti di patti aggiunti o contrari anteriori alla stipula del contratto art. 2722 c.c.), ed ha quindi ricercato elementi extratestuali che consentissero di pervenire ad un significato coerente del testo della scrittura privata, pervenendo ad escludere un collegamento con il contratto di locazione, in base alla differenza tra gli importi pagati dalla S. in base alla scrittura (tre assegni di Euro 3.000,00 ciascuno) e quelli dei canoni pagati in ritardo nell’anno 2007, e soprattutto in base alla circostanza che i canoni relativi all’anno 2007, se pure in ritardo, erano stati pagati per l’intero importo, condotta evidentemente confliggente con il precedente pagamento a mezzo dei tre assegni bancari, asseritamente effettuato a parziale scomputo dell’importo di quegli stessi canoni: l’assunto della ricorrente per cui vi sarebbe coincidenza “tra l’importo della cauzione menzionata e quietanzata nella scrittura”, per Euro 2.750,00 e l’importo pari “a tre mensilità” previsto in contratto, appare indimostrato e comunque non idoneamente illustrato, in difetto di trascrizione del documento, tanto più considerando che la stessa ricorrente riferisce che gli A. “hanno ricevuto dalla S. gli Euro 14.000,00 di cui alla scrittura privata con le modalità in essa indicate”, con ciò introducendo un ulteriore elemento di incertezza in ordine allo stesso contenuto della scrittura privata.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, sostenendo che la scrittura privata non conteneva un contratto di locazione, ma soltanto una differente modalità temporale di pagamento dei canoni e dunque la mancata registrazione non determinava, diversamente da quanto statuito dalla Corte territoriale, la nullità disposta dalla norma fiscale antielusiva.

La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non essendo stata trascritta nel ricorso la scrittura privata, rimanendo quindi impedito a questa Corte, che in relazione allo specifico vizio di legittimità denunciato non ha accesso diretto all’esame degli atti e documenti prodotti nei gradi merito, di verificare se la scrittura privata, in base alla quale risultano essere stati eseguiti determinati pagamenti, contenesse o meno obbligazioni patrimoniali ulteriori e diverse, rispetto a quelle previste nel contratto di locazione (e dunque soggette ad imposta di registro), ovvero come asserisce, ma non dimostra, la ricorrente, si limitasse invece soltanto a regolare le modalità esecutive dei pagamenti, secondo una diversa scansione temporale.

Il terzo motivo è inammissibile in quanto la ricorrente censura il vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” che non trova più riscontro nell’elenco tassativo dei vizi di legittimità censurabili con ricorso per cassazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012.

Ed infatti nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), il controllo del vizio di legittimità (fino ad allora esteso anche al processo logico argomentativo fondato sulla valutazione dei fatti allegati assunti come determinanti in esito al giudizio di selezione e prevalenza probatoria, potendo essere censurata la motivazione della sentenza, oltre che per “omessa” considerazione di un fatto controverso e decisivo dimostrato in giudizio, anche per “insufficienza” e per “contraddittorietà” della argomentazione) rimane circoscritto alla verifica del “minimo costituzionale” prescritto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte in materia di ricorso straordinario, per cui tale requisito minimo non risulta soddisfatto soltanto qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;

motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza. Al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale) residua soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che è stato oggetto di discussione e “decisivo”, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053).

Tanto premesso l’unico elemento probatorio indicato nel motivo consisterebbe nella ammissione degli A., contenuta nella “memoria di replica del 18.5.2009”, della imputazione dell’importo eccedente il pagamento dei tre canoni trimestrali relativi all’anno 2006, “alla locazione stipulata verbalmente di un’altra unità immobiliare di proprietà del solo A.D.”.

Orbene la censura è inammissibile, in quanto non è indicato il luogo del processo in cui è dato rinvenire il documento in questione (memoria in data 18.5.2009), non essendo in conseguenza consentito alla Corte effettuare alcuna verifica in ordine all’assunto della ricorrente (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015), tenuto conto altresì che dallo parziale stralcio della memoria riportato nel ricorso, non si evince in alcun modo l’asserito collegamento tra la scrittura privata del 15.3.2006 ed il contratto di locazione del 21.3.2006, non essendo dato comprendere se il pagamento in eccedenza trovi titolo nella ridetta scrittura privata ed i canoni relativi all’anno 2006 si riferiscano al contratto di locazione del 21.3.2006, ovvero invece se il pagamento per l’importo eccedente i canoni del 2006 – e che non è oggetto di controversia, in quanto la pretesa fatta valere in giudizio concerne l’inadempimento per ritardato pagamento dei canoni dovuti per l’anno 2007 – abbia ad oggetto la locazione di un’altra unità abitativa, distinta dall’immobile oggetto del contratto stipulato in data 21.3.2006.

Il quarto motivo censura la sentenza di appello per violazione del D.M. n. 140 del 2012, artt. 1 – 4 ed 11 in ordine al capo relativo al regolamento delle spese del grado, liquidate “in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge”.

Sostiene la ricorrente che il Giudice di appello non avrebbe esplicitato i criteri di liquidazione ed inoltre che, “applicando l’onorario medio sulla base dello scaglione di riferimento e per le fasi effettivamente svolte”, si perverrebbe a determinare gli onorari in complessivi Euro 1.860,00 (fase di studio Euro 660,00, fase introduttiva, Euro 360,00, fase decisoria Euro 840,00), importo notevolmente inferiore a quello liquidato in sentenza.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto la parte ricorrente, da un lato non lamenta il superamento dei massimi tariffari, limitandosi ad effettuare un calcolo relativo alla tre fasi (studio, istruttoria e decisoria) basato “sugli onorari medi” e, dall’altro, non indica il valore della controversia assunto a base della liquidazione, indispensabile ai fini della individuazione dello scaglione applicabile, trattandosi di presupposto indispensabile per consentire l’apprezzamento della decisività della censura (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2532 del 10/02/2015).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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