Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15774 del 29/07/2016

Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 15340 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

C.M.L., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura a margine del ricorso, dall’avvocato Stefano Peconi (C.F.:

PCN SFN 60C19 H501B);

– ricorrente –

nei confronti di:

F.A., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al controricorso, dagli avvocati Matteo Malandrino

(C.F.: MLN MTT 49E30 L049G) e Cataldo Pentassuglia (C.F.: PNT CLD

60L10 E986E);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Lecce –

Sezione Distaccata di Taranto n. 577/2012, pronunziata in data 24

ottobre 2012 e depositata in data 2 gennaio 2013;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

12 maggio 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Eugenio De Paola, per delega dell’avvocato Stefano Peconi,

per la ricorrente;

l’avvocato Francesco Anelli, per delega dell’avvocato Matteo

Malandrino, per il controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del

primo motivo del ricorso e l’accoglimento del terzo motivo, con

assorbimento del secondo.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M.L., proprietaria di un immobile in (OMISSIS), agì in giudizio nei confronti di F.A. (già suo coniuge divorziato) per ottenere l’annullamento per violenza morale o, in subordine, la risoluzione per inadempimento del conduttore di un contratto di locazione avente ad oggetto detto immobile per uso commerciale.

La sola domanda subordinata di risoluzione per inadempimento fu accolta dal Tribunale di Taranto.

Su gravame del F., la Corte di Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato anche la domanda di risoluzione contrattuale della locatrice, condannandola al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

Ricorre La C., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso il F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui con esso si denunzia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la formulazione della norma, che prevedeva la possibilità di prospettare in sede di legittimità una siffatta censura, non è applicabile alla fattispecie, essendo stata la sentenza impugnata pronunziata e pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, onde va applicato il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”; e la suddetta riformulazione “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 e 629831).

Va d’altronde certamente esclusa l’inesistenza, l’apparenza ovvero l’insanabile illogicità della motivazione sulla base della quale la corte di merito ha escluso il difetto di specificità dei motivi del gravame proposto dal F..

La corte ha infatti espressamente rilevato in proposito che questi aveva puntualmente censurato la pronunzia di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva ritenuto sussistere i presupposti per la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento di esso conduttore fondandosi su una errata interpretazione delle clausole pattizie e delle circostanze di fatto, il che aveva portato a negare che la vendita di bombole di gas fosse attività connessa a quelle pattiziamente convenute e ad affermare che l’uso del piazzale come parcheggio costituisse inadempimento contrattuale grave.

Il motivo è dunque altresì infondato, nella parte in cui con esso viene dedotta la violazione dell’art. 342 c.p.c., disposizione invece correttamente applicata dai giudici di appello.

Sotto quest’ultimo profilo, va poi anche rilevato – per completezza espositiva – che la ricorrente omette di indicare specificamente e trascrivere le parti dell’atto introduttivo del gravame da cui dovrebbe desumersi il dedotto vizio di genericità dello stesso, limitandosi in sostanza (al di là del riferimento ad alcuni passi dell’atto di costituzione del convenuto e delle conclusioni da questi rassegnate in primo grado, che risulterebbero identici ad altrettanti passi dell’appello) ad un generico richiamo alla “lettura” dell’atto stesso, per invocarne la conferma delle proprie argomentazioni, il che induce a ritenere carente il motivo di ricorso anche sotto il profilo dell’autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il motivo è inammissibile.

Vanno in primo luogo ribadite le considerazioni già esposte (in relazione al primo motivo) con riguardo alla inammissibilità della denunzia del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per quanto poi attiene al profilo della violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denunzia una non corretta applicazione della disposizione di cui all’art. 1455 c.c., in tema di valutazione della gravità dell’inadempimento del conduttore, che nella specie sarebbe costituito dalla vendita di bombole di gas, quale attività non compresa tra quelle consentite dal contratto di locazione.

Orbene, in proposito va richiamato e confermato – in linea generale – il principio di diritto per cui in materia di responsabilità contrattuale, la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione conqrua ed immune da vizi logici e giuridici (ex multis, cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015, Rv. 634986; in senso conforme: Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015, Rv. 634986; Sez. 3, Sentenza n. 6669 del 19/03/2009, Rv. 607358; Sez. 3, Sentenza n. 24621 del 26/11/2007, Rv. 600472; Sez. 3, Sentenza n. 14755 del 26/06/2007, Rv. 597472; Sez. 3, Sentenza n. 14974 del 28/06/2006, Rv. 593040; Sez. 1, Sentenza n. 4397 del 28/02/2006, Rv. 586763; Sez. 3, Sentenza n. 20791 del 27/10/2004, Rv. 579218; Sez. 3, Sentenza n. 1572 del 28/01/2004, Rv. 570225).

Ma in realtà la censura in esame presenta un più radicale profilo di inammissibilità, in quanto non coglie l’effettiva ratio della decisione impugnata.

Nella fattispecie, infatti, la corte di merito non ha affatto ritenuto che l’attività di vendita di bombole di gas (G.P.L.) costituisse inadempimento “non grave” alle obbligazioni contrattuali (come tale insufficiente a determinare la risoluzione della locazione, ai sensi dell’art. 1455 c.c.).

Ha invece ritenuto che quella attività fosse del tutto conforme alle pattuizioni negoziali, in quanto rientrante tra quelle previste e consentite dal contratto di locazione, essendo il G.P.L. un prodotto utilizzato per attività connesse a quelle di “giardinaggio, hobbistica, ferramenta e agricoltura”, espressamente previste dalle parti.

Ha quindi escluso in radice che sussistesse un qualunque inadempimento contrattuale sotto il profilo in esame.

Di conseguenza non ha in alcun modo fatto applicazione della disposizione di cui all’art. 1455 c.c., di cui si assume la violazione o falsa applicazione.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1587 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Anche questo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Anche per esso vanno in primo luogo richiamate le considerazioni già esposte (in relazione ai primi due motivi) con riguardo alla inammissibilità della denunzia del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inoltre si osserva che la questione della contestazione dell’uso del piazzale come deposito per le bombole di G.P.L. appare del tutto nuova.

Nella sentenza impugnata non è contenuto alcun riferimento a siffatta contestazione, ma solo a quella relativa all’uso del piazzale come parcheggio.

Secondo il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, qualora una determinata questione giudica – che implichi un accertamento di fatto – sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 20518 del 28/07/2008, Rv. 604230; Sez. 1, Sentenza n. 18440 del 31/08/2007, Rv. 598943).

E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d’ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali: e ciò anche nel caso in cui le deduzioni non abbiano ad oggetto eccezioni in senso proprio e consistano invece in mere contestazioni difensive, involgenti comunque accertamenti non compiuti dal giudice del merito perchè non richiestone (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6989 del 13/04/2004).

Nella specie la ricorrente non indica specificamente i propri atti difensivi (con il richiamo al contenuto rilevante di essi) in cui la questione sarebbe stata posta in sede di merito.

Neanche è d’altronde specificamente richiamato e trascritto l’art. 12 del contratto di locazione, che la corte di appello ha considerato rilevante ai fini della validità del consenso espresso dai nudi proprietari dell’immobile alla risistemazione del piazzale ed alla sua utilizzazione come parcheggio per i clienti.

In ogni caso, sotto tale profilo, va esclusa qualunque violazione dell’art. 1587 c.c.: la corte di appello ha infatti ritenuto in fatto che l’utilizzazione del piazzale come parcheggio fosse da ritenersi autorizzata, secondo quanto previsto nel contratto di locazione e comunque che, anche se non lo fosse stata, il relativo inadempimento non avrebbe potuto considerarsi grave.

Sotto tale aspetto, in definitiva, il motivo di ricorso finisce per risolversi in una contestazione di incensurabili accertamenti di fatto operati dai giudici di merito, sia con riguardo all’interpretazione delle clausole contrattuali che con riguardo alla gravità dell’eventuale inadempimento, il che non è comunque consentito in sede di legittimità (in proposito, e anche in relazione al testo previgente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si vedano le pronunzie richiamate in relazione al secondo motivo di ricorso).

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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