Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15772 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10934-2013 proposto da:

C.N., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato BERNARDINO PASANISI giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A.C., nella qualità di erede di SP.MA.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo

studio dell’avvocato SEBASTIANO MASTROBUONO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANGELO ESPOSITO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 262/2011 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

TARANTO, depositata il 23/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.N., conduttore di un immobile ad uso commerciale sito in (OMISSIS), citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto Sp.Ma., locatrice del suddetto immobile, chiedendo che fosse condannata alla restituzione della somma indebitamente percepita pari ad Euro 60.548,85, comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria, per la corresponsione, nel periodo 1993-2005, di un canone di importo maggiore rispetto a quello originariamente pattuito.

Si costituì in giudizio la locatrice, contestando la domanda attorea e sostenendo che il canone fissato nel contratto andava aumentato secondo gli indici ISTAT e che i pagamenti effettuati dal conduttore costituivano il canone aggiornato secondo l’ISTAT. La convenuta, inoltre, propose domanda riconvenzionale, deducendo che il conduttore avesse pagato importi inferiori al dovuto e chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 3.287,89.

2. Disposta ed effettuata consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Taranto, con sentenza del 28 settembre 2010, rigettò la domanda dell’attore e dichiarò inammissibile la domanda riconvenzionale della convenuta, condannando il primo al pagamento delle spese processuali in favore della seconda.

3. C.N. ha proposto appello chiedendo l’integrale riforma della sentenza di primo grado.

Si è costituita l’appellata, resistendo al gravame.

Con la decisone ora impugnata, pubblicata il 23 febbraio 2012, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha rigettato l’appello, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.

4. Avverso la sentenza C.N. propone ricorso affidato ad un unico motivo. La sig.ra S.A.C., in qualità di erede della sig.ra Maria Speciale, si difende con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 447 bis c.p.c., art. 416 c.p.c., comma 3, dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e della L. n. 392 del 1978, artt. 79 e 32 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello di Lecce ha ritenuto che non vi sarebbe stata la prova che le somme pagate erano eccedenti quelle dovute, mancando la certezza degli esborsi effettivamente eseguiti dal conduttore.

A detta del ricorrente, l’ammontare di questi esborsi così come indicato nell’atto introduttivo del giudizio non sarebbe stato contestato dalla resistente ed il giudice d’appello, trascurando questa non contestazione, avrebbe violato l’art. 447 bis c.p.c. e art. 416 c.p.c., comma 3 – applicabili alle controversie in materia locatizia – perchè non avrebbe tenuto conto che i fatti non contestati sono pacifici e non hanno bisogno di essere provati. Relativamente al presente giudizio, sostiene che la resistente non solo non avrebbe contestato il fatto di aver ricevuto i pagamenti indicati dal ricorrente (nella misura e nei tempi indicati nel ricorso introduttivo), ma li avrebbe “espressamente riconosciuti, avendo fondato la sua difesa sull’asserzione che quei pagamenti rappresentavano il canone di locazione, maggiorato a seguito dell’applicazione degli aggiornamenti ISTAT” (così a pag. 7 del ricorso).

1.1.- L’illustrazione del motivo prosegue dando per scontato siffatto preteso riconoscimento e criticando quindi altri punti della decisione, precisamente sostenendo:

– che non vi sarebbe stata la prova della richiesta, anche verbale, da parte della locatrice, di aggiornamento del canone secondo gli indici ISTAT;

– che dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado sarebbe emerso che sarebbero state pagate somme maggiori anche rispetto a quelle dovute a seguito dell’aggiornamento del canone nella misura di legge, pari al 75% (e non al 100%) dell’incremento secondo gli indici ISTAT;

– che sarebbe viziato da travisamento il ragionamento della corte di merito laddove avrebbe attribuito valore probatorio (in merito all’avvenuto concorde adeguamento dei canoni) all’accettazione, da parte del conduttore, dell’indennità per la perdita di avviamento nella misura corrispondente a 18 mensilità del canone rivalutato; la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l’indennità era stata accettata dal conduttore “salvo conguaglio”, in attesa che il canone fosse determinato in sede giudiziale.

Si sarebbero avuti perciò vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione della L. n. 392 del 1978, art. 79 perchè non sarebbe stata ordinata la restituzione di somme corrisposte dal conduttore alla locatrice senza alcuna giustificazione causale.

2.- Il motivo non merita di essere accolto.

Giova premettere che l’azione del conduttore che agisce per la ripetizione delle somme che assume di avere versato in eccedenza rispetto al canone legale o (nelle locazioni non abitative) convenzionale è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito (cfr. Cass. n. n. 3277/92, n. 2936/95). Quindi il conduttore deve provare l’effettivo versamento del canone nella misura eccedente quella legale ovvero, in caso di immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo (come nella specie), nella misura eccedente quella convenuta. Infatti, è a carico dell’attore per ripetizione di indebito la prova dei fatti costitutivi della domanda, da individuarsi, oltre che nell’inesistenza della causa debendi, nell’avvenuto pagamento delle somme non dovute od eccedenti il dovuto (cfr., tra le altre, Cass. n. 1557/98).

2.1.- La Corte d’appello, attenendosi al criterio di riparto dell’onere della prova appena richiamato, ha rigettato la domanda dell’odierno ricorrente ritenendo non provati i maggiori esborsi per la carenza della prova documentale. Questa è stata reputata insufficiente sia per il numero esiguo delle ricevute prodotte, a fronte di un periodo di durata della locazione di diciotto anni, sia per l’inadeguatezza del loro contenuto essendo risultato “che fosse consuetudine del conduttore, accettata dalla controparte, pagare in una unica soluzione più canoni e oneri accessori, sicchè appare problematico quanto meno ritenere che egli abbia corrisposto canoni maggiorati rispetto a quelli dovuti” (così a pag. 3 della sentenza).

3.- Orbene, il ricorrente non contesta questo accertamento in fatto nè la conclusione tratta dal giudice di merito circa la mancanza di prova dell’avvenuto pagamento di somme non dovute, ma assume che il fatto si sarebbe dovuto ritenere pacifico, quindi non bisognoso di prova, perchè non contestato dalla locatrice.

A prescindere dai profili di inammissibilità della censura – che conseguono, per un verso, alla novità del richiamo del principio di non contestazione che non risulta essere stato dedotto come motivo di appello (avverso la sentenza di primo grado che pure aveva ritenuto il difetto di prova dei pagamenti); per altro verso, alla mancata riproduzione in ricorso del contenuto della comparsa di risposta in primo grado -, l’assunto è comunque destituito di fondamento.

3.1.- La difesa svolta dalla locatrice dinanzi al primo giudice non risulta fondata su alcun riconoscimento esplicito che il conduttore avesse versato i canoni nella misura e nei tempi indicati nel ricorso introduttivo.

Per come si evince da quanto dedotto nel controricorso, ma anche nello stesso ricorso, la locatrice contestò la domanda di ripetizione, sostenendo che non era stata da lei pretesa, nè percepita, alcuna somma non dovuta e che le somme percepite in eccesso rispetto al canone pattuito, dopo la scadenza del primo quadriennio (durante il quale il conduttore aveva versato il canone contrattuale, come dallo stesso riconosciuto), si sarebbero dovute imputare ad aggiornamenti del canone secondo gli indici ISTAT, come da convenzione contrattuale che richiamava la Legge sull’equo canone, art. 32.

La presa di posizione della resistente contiene sì il riconoscimento di avere percepito più del canone stabilito in contratto, ma per aver attivato la clausola contrattuale concernente l’aggiornamento ISTAT; non certo, il riconoscimento di avere percepito esattamente quanto indicato nel ricorso del conduttore. Allora, a fronte della contestazione della pretesa restitutoria, l’attore non era esonerato dall’onere di provare, anche in via presuntiva, l’ammontare dei pagamenti da lui effettuati; specificamente, di provare che questi corrispondevano agli importi indicati nello “specchietto riepilogativo” inserito nel ricorso introduttivo.

3.2.- E’ infondata la pretesa del ricorrente secondo cui la non contestazione della controparte si desumerebbe dalla produzione di una consulenza tecnica di parte che avrebbe riportato “pedissequamente” i pagamenti così come indicati in ricorso ovvero dall’avere il primo giudice disposto una consulenza tecnica d’ufficio finalizzata a verificare l’ammontare dei canoni dovuti a seguito dell’applicazione dell’aumento ISTAT. In diritto, il contenuto della contestazione della parte costituita va infatti desunto dalla comparsa di risposta ovvero dai successivi scritti difensivi della medesima, non essendo precluso alla parte convenuta, che pur contesta, quanto alla sussistenza, i fatti principali posti a fondamento della pretesa dell’attore, dedurne l’infondatezza, in via subordinata all’eventualità che detta sussistenza sia positivamente accertata nel corso del giudizio.

In fatto, è questo ciò che appunto è accaduto, essendo stata disposta la consulenza tecnica d’ufficio al fine di ricostruire i rapporti di dare-avere tra le parti, nel presupposto (conseguente al reciproco atteggiarsi delle contrapposte deduzioni dei contraenti) che fosse rimasto in capo all’attore dimostrare di avere effettivamente corrisposto somme maggiori di quelle dovute, così come accertate dal CTU. 4.- Essendo mancata questa dimostrazione, ogni altra censura del ricorrente (riportata sopra sub 1.1.) risulta inammissibile, perchè tutte basate su un fatto (il pagamento delle somme indicate in ricorso) rimasto privo di riscontri. Sono perciò inammissibili per irrilevanza, oltre che per difetto di autosufficienza:

– la mera asserzione del conduttore che il contratto di locazione (del quale il ricorso non indica nemmeno il luogo di reperimento nei fascicoli di parte) non contenesse la clausola di rinvio alla L. n. 392 del 1978, art. 32 (riscontrata invece dal giudice d’appello, nonchè da quello di primo grado, mediante il richiamo di una “clausola D” del contratto di locazione);

– l’assunto secondo cui il CTU avrebbe accertato come dovute somme (solo parzialmente indicate in ricorso: cfr. pag. 11) di gran lunga inferiori a quelle pagate (delle quali tuttavia si sconosce l’importo).

Quanto all’assunto del ricorrente secondo cui non vi sarebbe stata la prova della richiesta delle variazioni in aumento del canone da parte della locatrice – che invece il giudice ha ritenuto provata presuntivamente e mediante rinvio all’accettazione dell’indennità per perdita di avviamento commisurata all’ultimo canone aggiornato- la relativa censura, oltre che per i già evidenziati profili di inammissibilità, risulta inammissibile perchè attiene all’apprezzamento dei fatti e delle prove riservato al giudice di merito.

Giova peraltro sottolineare che la sentenza è conforme all’orientamento di questa Corte in punto di esclusione dell’applicabilità della L. n. 392 del 1978, art. 79 alla richiesta di aggiornamento del canone contrattualmente prevista in conformità alla L. n. 392 del 1978, art. 32 che non dà luogo, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da abitazione, ad aumenti del canone in corso di rapporto (cfr. Cass. n. 8410/06, n. 2901/07, n. 2932/08, n. 24433/09, n. 13826/10, n. 2961/13), nonchè in punto di non ripetibilità delle somme versate dal conduttore a seguito di richieste del locatore fatte oralmente ma nella misura di legge (cfr. Cass. n. 2462/91, n. 16110/09).

Il ricorso va perciò rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della resistente, nell’importo complessivo di Euro 5.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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