Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15766 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. I, 23/07/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 23/07/2020), n.15766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3264/2018 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Marco Ferrero, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale

alle liti allegata al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso la sentenza n. 2680/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2019 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna;

udito l’Avv. Marco Ferrero;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.B., cittadino nato in (OMISSIS), ricorre in cassazione con cinque motivi avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Venezia aveva accolto il gravame proposto dal Ministero dell’Interno e rigettato l’appello incidentale (con il quale era stato chiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria), e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza del Tribunale di Venezia 24 febbraio – 2 marzo 2017, aveva rigettato il ricorso presentato da C.B. nei confronti del provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona del 2 novembre 2015.

2. L’Amministrazione intimata non si è costituita.

3. C.B. ha deposito memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo C.B. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere il Giudice posto alla base della decisione una prova dedotta in giudizio e non contestata dalle parti relativa al periodo di inizio della frequentazione dell’Associazione Arcigay di Padova (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativo alla cessazione della frequentazione dell’Associazione Arcigay di Padova (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2.1. I motivi, in quanto entrambi attinenti alla valutazione di credibilità dei fatti narrati dal richiedente, sono connessi e vanno esaminati congiuntamente.

Il ricorrente afferma che i giudici di secondo grado non hanno considerato la dichiarazione del Presidente dell’Associazione Arcigay M.G. che attesta che il ricorrente ha partecipato da (OMISSIS) in modo assiduo alle attività dell’associazione e che i giudici di appello hanno affermato che il periodo di frequentazione del richiedente è iniziato dopo la prima udienza del 14 settembre 2016 (e precisamente da maggio 2016), mentre C.B. ha riferito di frequentare l’associazione da (OMISSIS) e di essersi iscritto a (OMISSIS).

Ancora il ricorrente precisa che ha smesso di frequentare l’associazione perchè è stato contrattualizzato nell’aprile 2017 con la città Metropolitana di Venezia, mentre i giudici di secondo grado hanno evidenziato che la frequentazione è terminata con la comunicazione dell’ordinanza del Tribunale del 2 marzo 2017 che gli riconosceva lo status di rifugiato.

2.2 I motivi sono infondati.

Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte di appello di Venezia ha ritenuto la versione dei fatti portata da C.B. non credibile per una serie di ragioni specificamente enunciate:

– C. ha riferito di essersi reso conto delle proprie preferenze sessuali a 18 anni e, pertanto, considerando che è nato il (OMISSIS), nel 2013, ma in precedenza aveva raccontato di avere lasciato il proprio paese di origine il (OMISSIS);

– l’episodio che avrebbe provocato la fuga è collocato l’anno prima della scoperta dell’omosessualità e l’avere retrodatato all’età di quindici anni la scoperta della propria omosessualità avanti il Giudice di primo grado appare un espediente difensivo perchè nel frattempo la Commissione territoriale aveva evidenziato la contraddizione nella motivazione del provvedimento di rigetto del 2 novembre 2015;

– quando è stato chiesto come vivesse la propria condizione nell’ambiente di lavoro, in casa e con gli amici, C. ha riferito che da quando era stato scoperto le persone lo prendevano in giro; aveva però raccontato di essere fuggito in (OMISSIS) lo stesso giorno in cui era stata scoperta la sua relazione omosessuale;

– C. ha dichiarato che dopo essere stato scoperto in atteggiamenti intimi con il compagno era riuscito a tornare a casa. I suoi familiari non sapevano nulla. Eppure sarebbe stata la sorella, ignara del pericolo, a invitarlo a fuggire perchè i poliziotti stavano per arrestarlo.

2.3 Tanto premesso, questa Corte, in materia di protezione internazionale, ha affermato che “il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142).

Nel caso di specie la decisione censurata ha valutato in modo specifico le dichiarazioni rese da C.B., rilevando le contraddizioni del racconto e giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità del racconto del richiedente.

Peraltro la valutazione compiuta dal giudice del merito al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

A fronte di ciò, nei motivi esposti, il richiedente si limita ad illustrare alcune argomentazioni riguardanti le dichiarazioni rese dal Presidente dell’Arcigay di Padova (peraltro ritenute dalla Corte territoriale un riscontro apparente) senza tuttavia procedere ad un esame critico della pronuncia impugnata in tutti i suoi profili motivazionali.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,14, di attuazione dell’art. 4, 6, 7, 9, 15 della Direttiva 8372004/CE e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 35, per non avere il Giudice valutato elementi fondamentali per l’esame dei fatti anche in violazione dei propri doveri di collaborazione istruttoria (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Ad avviso del ricorrente la Corte, pur non avendo ritenuto attendibile il ricorrente, non ha fatto utilizzo dei poteri istruttori; non ha tenuto conto delle precisazioni fatte dal ricorrente sulle asserite contraddizioni del racconto; non ha esaminato, ritenuta l’inattendibilità soggettiva del richiedente, l’oggettiva situazione socio-politica del Gambia e la plausibilità delle dichiarazioni del richiedente in ragione del proprio orientamento sessuale, non dando al richiedente il beneficio del dubbio.

3.1. Il motivo è infondato.

Già si è detto che i giudici di secondo grado hanno compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale hanno ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo di fondamentale importanza, poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in materia di protezione internazionale, materia che non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti esposti riguardanti il principio della cooperazione istruttoria del giudice, principio che attiene il versante dell’allegazione e non quello della prova (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336).

3.2 Nel caso in esame, la Corte di appello territoriale ha affermato la non credibilità del racconto di C.B. e ha escluso la possibilità di accogliere le ulteriori domande di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria basate sul presupposto di un legame tra la sua presunta omosessualità e l’espatrio dal Gambia, mentre non ha riconosciuto i presupposti della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c), escludendo la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Gambia (il richiedente, peraltro, non aveva riferito di temere di rientrare in Gambia perchè nell’area territoriale dove viveva era in atto un conflitto armato).

4. Con il quarto motivo il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 702-quater c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Giudice ammesso al processo nuovi mezzi di prova indispensabili per il giudizio e in particolare per non essere stata disposta una nuova audizione del richiedente al fine di valutare la sua attendibilità.

4.1 Il motivo è infondato.

Sul punto, la Corte ha affermato che “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza”(Cass. 29 maggio 2019, n. 14600);

4.2 Nel caso in esame, pertanto, i giudici di merito, fondando la propria decisione di merito sulle evidenze del verbale del 22 ottobre 2015 recante le dichiarazioni di C.B., così operando la scelta discrezionale di decidere in base alle concrete circostanze di causa, che hanno vagliato anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale dal richiedente.

Peraltro il ricorrente non ha neppure dedotto nel ricorso per cassazione di avere fatto richiesta alla Corte territoriale di audizione, nè tale richiesta si evince dalle conclusioni dallo stesso spiegate nel giudizio di secondo grado.

5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi il Giudice pronunciato su tutta la domanda e/o l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e/o art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Ad avviso del richiedente la Corte di appello di Venezia ha negato la protezione umanitaria esaminando solo la presunta omosessualità e non anche la giovane età del richiedente, l’alto livello di integrazione e le precarie condizioni fisiche del ricorrente che aveva subito l’occlusione dell’arteria femorale superficiale sinistra.

5.1 Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza e che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Inoltre, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass., 12 novembre 2018, n. 28990), nell’ambito delle allegazioni della parte richiedente (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336).

Tanto premesso, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, richiamando l’inattendibilità di C., la quale impedirebbe l’accoglimento “delle domande che muovono dal presupposto di un legame tra la sua presunta omosessualità e l’espatrio dal Gambia”, tra cui appunto la domanda di protezione umanitaria (pag. 6 della sentenza impugnata).

La Corte d’appello ha, quindi, omesso lo scrutinio sull’esistenza di condizioni di vulnerabilità, nei limiti delle allegazioni del richiedente, esaminando, le sole ragioni legate all’orientamento sessuale, ma non anche l’alto livello di integrazione raggiunto in Italia e le precarie condizioni fisiche del ricorrente, tutte circostanze pure allegate dal ricorrente nella comparsa di costituzione e risposta, pag. 13, righe 11-26 e pag. 14 righe 1-13 (pag. 18 del ricorso per cassazione).

Sussiste, quindi, il vizio denunciato di omessa pronuncia su talune delle causae petendi della domanda di protezione umanitaria, quelle appunto individuate dai fatti costitutivi, tempestivamente allegati dall’attore, consistenti nell’alto livello di integrazione da lui raggiuto e dalle sue precarie condizioni fisiche: allegazioni del tutto trascurate, invece, dalla Corte d’appello.

6. In conclusione respinti i primi quattro motivi di ricorso va invece accolto il quinto motivo; la sentenza impugnata va cassata, avuto riguardo al motivo accolto, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale pronuncerà sulla domanda di protezione umanitaria valutando anche le allegazioni di cui sopra del ricorrente e provvederà, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara infondati il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo; accoglie il quinto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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