Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15762 del 29/07/2016

Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 29/07/2016), n.15762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28883-2013 proposto da:

D.P.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA SPERANZA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CELIO PICCIONI giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

U.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FUSILLO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO MORACCINI

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.F., G.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 994/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato CRISTINA SPERANZA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo promosso dalla s.r.l. San Martino, creditrice procedente nei confronti di Roberto Gessi in forza di decreto ingiuntivo di pagamento di Lire 266.322.247 provvisoriamente esecutivo, l’adito Tribunale di Rimini, con sentenza n. 143 in data 31.01.2005 accertava l’esistenza, alla data del pignoramento, dell’obbligo della terzo pignorato D.P.D. di pagare in favore del debitore esecutato G.R. la somma di Lire 200.000.000.

La decisione era gravata da impugnazione innanzi alla Corte di appello di Bologna da parte di D.P.D., il quale – per quanto riferito nel ricorso per cassazione – deduceva, tra l’altro, la perdita di capacità processuale della San Martino s.r.l. in forza di cancellazione dal registro delle imprese, intervenuta nelle more del giudizio di primo grado, ancorchè non dichiarata dal procuratore costituito.

La Corte di appello – ritenuto che, per quanto emergente in atti e dagli stessi scritti difensivi della San Martino s.r.l. (costituitasi in appello in persona dell’ex liquidatore U.F.) la società, dopo essere stata posta in liquidazione, era stata cancellata dal registro delle imprese in data 24.10.2003, con conseguente estinzione della stessa, anche in presenza di credito insoddisfatto – visto l’art. 299 c.p.c., dichiarava l’interruzione del giudizio con ordinanza in data 13.02.2008, comunicata al difensore del D.P. in data 27.02.2008.

Daniele D.P. provvedeva alla riassunzione con comparsa notificata sempre alla San Martino s.r.l. in data 31.03.2009, assumendo la nullità/inesistenza del provvedimento di interruzione, in difetto di dichiarazione da parte del procuratore costituito in giudizio per la società.

Sull’eccezione di U.M. e di U.F., costituitisi quali ex soci e la seconda anche quale ex liquidatore della società San Martino s.r.l., la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 994 del 2013, dichiarava l’estinzione del giudizio per tardiva riassunzione e condannava l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore del solo U.M., per la considerazione che U.F., dopo il decesso del suo difensore Bruno Notaro e la rinuncia dell’avv. Carlo Rasia, non aveva nominato nuovo procuratore.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.P.D., svolgendo due motivi.

Ha resistito, depositando controricorso U.M..

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte di U.F. e G.R..

Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello ha ritenuto inapplicabile il principio invocato da parte ricorrente, secondo cui l’ordinanza dichiarativa dell’interruzione del processo doveva ritenersi nulla e/o inesistente, per difetto del presupposto necessario, rappresentato dalla dichiarazione del procuratore costituito in giudizio, sulla base delle seguenti considerazioni:

innanzitutto perchè l’ordinanza era stata emessa, non già ai sensi dell’art. 300 c.p.c. bensì ai sensi dell’art. 299 c.p.c., come evidenziato dal testo del provvedimento di interruzione;

perchè, in ogni caso, il riferimento all’art. 299 c.p.c. era corretto, come era dimostrato dal fatto che, in seguito alla notificazione dell’originaria citazione in appello, si era costituita U.F., qualificandosi espressamente “ex liquidatore” di San Martino s.r.l., con la conseguenza che non poteva dirsi che la San Martino s.r.l. si fosse costituita in giudizio, dal momento che l’ex liquidatore non aveva il potere di rilasciare la procura per la costituzione in giudizio.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 300 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 299 c.p.c., nonchè nullità del procedimento. Al riguardo parte ricorrente deduce che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello nella decisione impugnata – non sussistevano i presupposti per la dichiarazione dell’interruzione ex art. 299 c.p.c. perchè l’evento rappresentato dalla cancellazione dal registro delle imprese della società originaria attrice si era verificato nel corso del primo grado, dopo la costituzione in giudizio della stessa società e comunque, prima della fase di discussione, senza che, peraltro, il procuratore costituito ritenesse di dichiararlo; di tal chè neppure ricorrevano i presupposti di cui all’art. 300 c.p.c.; ne conseguirebbe l’inoperatività del termine di riassunzione di cui all’art. 305 c.p.c., stante l’insussistenza dei presupposti dell’ordinanza di interruzione.

2. Il motivo è fondato.

Va premesso, per la comprensione delle ragioni della decisione, che è incontroverso che lo scioglimento e la messa in liquidazione della s.r.l. San Martino si sono verificate nel corso del giudizio di primo grado, riassunto nell’anno 1999 innanzi al Tribunale di Rimini dalla società ai sensi dell’art. 548 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis); che, in particolare, risulta dalla sentenza impugnata che la medesima società venne cancellata dal registro delle imprese in data 24.12.2003; che neppure è discusso o discutibile che il procuratore della società non dichiarò l’evento, tant’è che la sentenza di primo grado in data 31.01.2005 pronunciava sull’accertamento, accogliendo la domanda della San Martino; che notificato l’appello del D.P. alla società, si costituiva l’ex liquidatore della società, con atto che la Corte di appello ha rilevato essere inidoneo a radicare la costituzione della società in appello (per essere la stessa già estinta e per non avere “l’ex liquidatore” il potere di conferire il mandato); che, infine, solo dopo la dichiarazione di interruzione del giudizio e la riassunzione da parte del D.P., si sono costituiti gli ex soci, U.M. e U.F. (quest’ultima, questa volta, anche e non solo, quale “ex liquidatore”) per eccepire l’estinzione per tardiva riassunzione.

Su tali premesse la Corte di appello ha ritenuto che correttamente fosse stata dichiarata di ufficio ex art. 299 c.p.c. l’interruzione del giudizio di appello, correlativamente concludendo per l’estinzione del giudizio in considerazione della tardiva riassunzione; e ciò, evidentemente, sul presupposto che il principio della stabilizzazione processuale del un soggetto estinto, invocato dall’odierno ricorrente, per escludere i presupposti dell’ordinanza interruttiva e l’applicabilità del termine di cui all’art. 305 c.p.c., non possa eccedere il grado del giudizio nel quale l’evento interruttivo era occorso.

2.1. Questa Corte ha, per il vero, affermato che, con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dalla L. Fall, art. 10, la cancellazione della società, a partire dal momento in cui si verifica, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, di talchè, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo. Ne consegue, sul piano processuale, che, qualora esso non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando il farlo constare non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso, (confr. Cass. civ. sez. un. 12 marzo 2013, n. 6070; Cass. civ. 19 marzo 2014, n. 6468; Cass. civ. 17 dicembre 2013, n. 28187).

Va tuttavia, considerato, che le Sezioni unite di questa Corte, tornate in tempi recenti ad occuparsi della questione degli effetti processuali conseguenti al verificarsi di uno degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c. (cfr. sentenza 4 luglio 2014, n. 15295), hanno riaffermato, nei sensi che di qui a poco si andranno a precisare, la perdurante operatività della regola dell’ultrattività del mandato difensivo (salvo, ovviamente, nel giudizio di cassazione, per il quale occorre una procura speciale).

Rivisitando la vexata quaestio ad essa sottoposta, e all’esito di una completa a complessa ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali succedutisi, e talvolta accavallatisi nel corso del tempo, in un dibattito costantemente dominato dalla esigenza di mediare tra la tutela della giusta parte (che, dopo l’evento, è un soggetto nuovo e diverso da quello che era stato fino ad allora nel processo) e il problema della conoscibilità dell’evento stesso, con quanto ne consegue in termini di protezione di chi lo abbia incolpevolmente ignorato, le Sezioni unite sono, dunque, pervenute alla enunciazione del seguente principio di diritto:

l’incidenza sul processo degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c., è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell’ipotesi in cui, nella successiva fase d’impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l’evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l’evento sia documentato dall’altra parte (come previsto dalla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 46), o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 300 c.p.c. comma 1. Ne deriva che:

a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, a norma dell’art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace;

b) detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell’ambito del processo ancora in vita e capace;

c) è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento.

2.2. Contrariamente a quanto postulato nella memoria di parte resistente sulla scia di Cass. n. 15295 del 2014, non vi è alcuna ragione logico-giuridica per cui siffatta statuizione – peraltro originata proprio da un’ordinanza di rimessione che si era interrogata, e aveva interrogato le Sezioni unite, sulla estensibilità, alle vicende successorie delle persone fisiche, dei principi affermati dalla sentenza n. 6070 del 2013 espressamente in materia societaria, principi comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione – debba intendersi circoscritta ai soli eventi espressamente menzionati nell’art. 299 c.p.c., con esclusione, dunque dell’evento estintivo costituito dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. E ciò in quanto – come di recente evidenziato da questa stessa sezione (sentenza 31 ottobre 2014, n. 23141) – l’intervento nomofilattico ha, all’evidenza, una portata generale, avendo definitivamente e completamente capovolto il principio, per cui l’esigenza di stabilità del processo debba intendersi limitata al grado di giudizio in cui l’evento interruttivo è occorso, per sancire, nei sensi testè precisati, l’opposta regola dell’ultrattività del mandato.

Va, dunque, ribadito il principio affermato dalla sentenza da ultimo citata, secondo cui:

la cancellazione della società dal registro delle imprese dà luogo ad un fenomeno estintivo che priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, determinando così – qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte costituita un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 c.p.c. e ss., la cui omessa dichiarazione o notificazione, ad opera del procuratore, comporta, in applicazione della regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte, risultando così stabilizzata la sua posizione giuridica (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonchè in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano i soci successori della società, ovvero se il procuratore costituito per la società, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza l’evento o lo notifichi alle altre parti, o ancora se, in caso di contumacia, tale evento sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4.

E’ il caso di precisare che, nel presente giudizio non può farsi riferimento all’art. 300 c.p.c., comma 4 nel testo novato dalla L. n. 69 del 2009, art. 40, comma 13 dal momento che, ai sensi dell’art. 58, comma 1 stessa legge, la disposizione si applica ai giudizi introdotti dopo la data del 4 luglio 2009 di entrata in vigore della stessa legge; ne consegue che, nel presente giudizio, instaurato nel 1999, non rileva che sia stato proprio il D.P. a riferire della cancellazione della società e neppure che la circostanza sia stata confermata da U.F., dal momento che – come evidenziato dalla Corte di appello – costei si costituì in appello come “ex liquidatore”, come tale (e, cioè, proprio perchè “ex”) privo del potere di costituirsi in giudizio.

2.3. In definitiva l’ordinanza dichiarativa dell’interruzione del processo venne emessa in difetto dei presupposti previsti dall’art. 299 e seg., risultando conseguentemente improduttiva di effetti, con conseguente inapplicabilità del termine (allora semestrale) di cui all’art. 305 c.p.c. (cfr. in tal senso: Cass. 30 maggio 1995, n. 6062; e in motivazione: Cass. 19 maggio 2015, n. 10210).

Il primo motivo va, dunque, accolto, risultando assorbito il secondo motivo di ricorso con cui si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè falsa applicazione dell’art. 310 c.p.c., comma 4, sul presupposto della sanatoria conseguente alla costituzione della s.r.l. San Martino in persona dell’ “ex liquidatore”.

Ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e il rinvio alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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