Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15762 del 23/07/2020

Cassazione civile sez. II, 23/07/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 23/07/2020), n.15762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15528/2015 proposto da:

C.C., C.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLO

CIPRIANI, rappresentati e difesi dall’avvocato ELVIRA IANDOLO;

– ricorrenti –

contro

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FLAVIO LORUSSO;

– controricorrente –

e contro

R.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 651/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 06/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/11/2019 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Carlo Cipriani, con delega orale dell’avvocato

Elvira Iandolo, difensore dei ricorrenti, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.G. e V. ebbero ad evocare avanti il Tribunale di Trani C.C. e G. proponendo domanda di risoluzione del contratto di cessione delle quote della società di persone esercente l’azienda di salumificio per intervenuta vendita di aliud pro alio.

Resistettero i consorti C., contestando la pretesa attorea poichè l’autorizzazione sanitaria revocata ben poteva essere nuovamente rilasciata una volta effettuati i lavori di adeguamento igienico richiesti, e svolgevano domanda riconvenzionale tesa ad ottenere il pagamento del residuo prezzo non ancora versato dagli acquirenti.

Il Giudice monocratico di Trani ebbe a rigettare la domanda di risoluzione ed accolse la domanda riconvenzionale di pagamento del residuo prezzo.

Avverso detta sentenza proposero gravame,avanti la Corte d’Appello di Bari, i consorti R. ed anche i consorti C. svolsero appello incidentale.

All’esito della trattazione la Corte barese ebbe ad accogliere il gravame principale dichiarando al risoluzione del contratto di cessione delle quote sociali e rigettò l’appello incidentale dei C..

Osservava la Corte territoriale come in effetti con il trasferimento delle quote sociali le parti perseguirono in concreto la cessione dell’azienda commerciale, la quale, a seguito della revoca delle autorizzazioni sanitarie, non era più operativa con il configurarsi della cessione di bene diverso rispetto a quello previsto nella pattuizione – aliud pro alio -.

C.G. e C. hanno interposto ricorso per cassazione articolato su tre articolati motivi e fatto pervenire note difensive.

R.G. ha resistito con controricorso, mentre R.V. è rimasto intimato.

La causa chiamata una prima volta ad udienza camerale è stata rimessa ad udienza pubblica.

All’odierna udienza pubblica, sentite le conclusioni del P.G. – inammissibilità o rigetto del ricorso – ed del difensore di parte ricorrente,questa Collegio ha adottato soluzione siccome illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso spiegato dai consorti C. s’appalesa siccome privo di fondamento. Con il primo articolato motivo d’impugnazione i consorti C. denunziano violazione delle norme ex artt. 1495,1497,1453 e 2697 c.c. ed artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Osservano i ricorrenti, nella prima articolazione della censura, come la Corte distrettuale ebbe a rigettare il loro appello incidentale in punto prescrizione dell’azione,a sensi delle norme ex artt. 1495 e 1497 c.c., qualificando il vizio siccome comportante vendita di aliud pro alio e ciò nonostante il puntuale insegnamento di questa Suprema Corte, da loro evocato.

Arresto che indicava come l’ipotesi di vendita di aliud pro alio si verificava, in caso di cessione d’azienda, solo se l’autorizzazione amministrativa ad operare non potesse più in assoluto essere rilasciata.

Invece nella specie, ricordano i C., non solo l’azienda ceduta aveva operato per un circa un anno, ma pure era pacifico in causa che, eseguiti i lavori di adeguamento richiesti dall’Autorità sanitaria, ben poteva esser rilasciata nuova autorizzazione sanitaria per operare, come attestato anche dalla consulenza tecnica svolta in causa.

Non concorre il vizio denunziato, ossia l’errata riconduzione della questione nella fattispecie della risoluzione ordinaria, poichè venduto aliud pro alio, invece che nell’ambito della risoluzione per vizi ex art. 1495 c.c., ovvero art. 1497 c.c., con la conseguente prescrizione dell’azione, siccome prontamente eccepito dai ricorrenti.

Difatti la Corte territoriale ha puntualmente messo in evidenza un dato fattuale desunto dalla consulenza di parte dimessa in atti ovvero che la spesa da sostenere per adeguare la struttura, gli impianti tecnologici ed i macchinari produttivi alle prescrizioni, date dall’Autorità sanitaria al fine del rilascio di nuova autorizzazione sanitaria,era d’ammontare tale da superare di gran lunga il valore stesso dell’azienda ceduta.

Al riguardo appare significativo che la stessa parte ricorrente ritrascriva in ricorso passo della sentenza riguardante la questione,ma trascuri financo di cennare al passaggio immediatamente susseguente,nel quale la Corte dà puntuale spiegazione circa la ritenuta irrilevanza nella specie dell’enfatizzata possibilità – sottolineata dagli appellati – di riottenere l’autorizzazione revocata una vola eseguiti i lavori.

La Corte territoriale, poi, s’è fatta carico di esaminare l’arresto di legittimità portato dai C. a sostegno della loro tesi e di sottolineare puntualmente le diversità della fattispecie allora esaminata con la situazione sottoposta al suo vaglio.

Diversità individuata nella circostanza che, in detta fattispecie, solo parte dell’attività aziendale era inibita con la revoca dell’autorizzazione, mentre potevano essere esercitate le restanti l’attività imprenditoriali, al contrario nel caso in esame l’intera attività imprenditoriale era inibita.

Proprio in dipendenza di detta assoluta diversità della situazione di fatto, la Corte barese ha ritenuto d’individuare il fattore dirimente, ai fini dell’identificazione della situazione tipica della vendita di aluid pro alio, nell’eccessivo costo dei lavori di adeguamento rispetto al valore dell’azienda venduta, che, in buona sostanza, avrebbe comportato la realizzazione di un’azienda totalmente nuova rispetto a quella ceduta con il contratto di causa.

Con il secondo articolato motivo di doglianza i ricorrenti denunziano vizio di violazione delle norme giuridiche portate negli artt. 1362,1363,1366 c.c., in tema di interpretazione dei contratti, artt. 2555,2556 e 2558 c.c., in tema di cessione d’azienda, nonchè art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di valutazione delle prove e vizio di nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione ed omesso esame di fatto decisivo.

In primo luogo i C. osservano come la Corte distrettuale ebbe a qualificare siccome cessione d’azienda un rapporto contrattuale invece finalizzato esclusivamente al trasferimento delle quote di una società di persone,nonostante la concorrenza di elementi indici – la cui valutazione risulta totalmente omessa dai Giudici di merito – che la volontà pattizia era esclusivamente rivolta alle quote sociali senza alcun cenno all’azienda gestita dalla società.

Inoltre i ricorrenti rilevano come la Corte territoriale ebbe ad omettere un rigoroso esame dell’accordo negoziale di cessione quote, limitandosi a postulare apoditticamente la natura del contratto senza sostenerla con adeguata motivazione fondata su dati fattuali tratti dal compendio probatorio secondo i criteri legali di ermeneutica contrattuale.

L’articolata censura sostanzialmente attinge la statuizione della Corte barese in punto qualificazione del contratto di cessione quote sociali stipulato siccome teso in concreto alla cessione dell’azienda, che, risultando inutilizzabile, comportava la vendita di aliud pro alio e la conseguente risoluzione del contratto.

Il Collegio pugliese ha puntualmente esaminato la questione – sicchè i denunziati vizi di motivazione non concorrono – e partitamente indicate le ragioni fattuali e giuridiche a sostegno della sua conclusione,ossia che nella specie le parti utilizzarono la forma della vendita delle quale sociali per realizzare il loro vero intento teso alla cessione dell’azienda salumificio.

Ragioni confortate anche con espresso richiamo ad arresto di questo Supremo Collegio – Cass. sez. 1 n13762/91 – confermato anche successivamente – Cass. sez. 2 n. 2059/00, Cass. sez. 3 n. 15348/17 – specie con riferimento alla società di persone (ma non escluso nemmeno in relazione alla società di capitali Cass. sez. 1 n. 16031/07, Cass. sez. 2 n. 22790/19) stante la sua particolare struttura.

Effettivamente operazione fondamentale nella specie è l’individuazione della volontà delle parti nello stipulare il contratto al fine di individuare non tanto l’oggetto “immediato”, reso palese dalle espressioni verbali usate, quanto l’oggetto “mediato”, ossia lo scopo effettivo, perseguito con l’operazione contrattuale, desunto dall’insieme della condotta tenuta.

Ed al riguardo il Collegio territoriale ha posto in evidenza le dichiarazioni provenienti proprio dagli impugnanti e presenti in atti scritti afferenti al rapporto contrattuale – quietanza e dichiarazione del 22.1.1998 – circa la valenza determinante dell’azienda ceduta nell’operazione contrattuale,nonchè la dichiarazione testimoniale di G.L. circa l’irrilevanza del mancato cenno a macchinari ed attrezzature in contratto posto che la cessione riguardava l’intera azienda.

Inoltre i Giudici del merito hanno anche – sulla scorta delle emergenze probatorie privilegiate in quanto ritenute di maggior valenza – esaminato le difese dei venditori ritenendole non rilevanti.

A fronte di detta specifica motivazione i C. si limitano a contrapporre propria valutazione dei dati fattuali acquisiti in causa per giungere a diversa soluzione,la quale tuttavia per ciò solo non comporta la concorrenza della pluralità di vizi di legittimità confusamente enunziati nel motivo di impugnazione. Con la terza ragione di doglianza i ricorrenti deducono nuovamente vizio di nullità per omessa o carente motivazione, vizio di violazione delle norme giuridiche dianzi indicate ed omesso esame di fatto decisivo per contraddittoria motivazione in quanto viene operato richiamo a risoluzione ex art. 1497 c.c., non coerente con la ritenuta vendita di aliud pro alio.

Inoltre, ad opinione dei ricorrenti, la Corte di merito ha ritenuta erroneamente intervenuto contratto di cessione d’azienda invece che delle sole quote sociali, come desumibile dalla lettera del patto ed, infine, non ha valutato che in causa non vennero mai specificati quali beni componessero l’azienda assuntamente oggetto di contratto e rivelatasi assolutamente diversa.

Quanto al difetto di motivazione va rilevato anzitutto come solo la fattispecie di motivazione inesistente ovvero meramente apparente risulta attualmente ricompresa tra i vizi di legittimità sotto il profilo della nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Nella specie, in buona sostanza, però i C. deducono contraddittorietà logica poichè la domanda di risoluzione è stata accolta sotto il profilo della vendita di aliud pro alio mentre nella motivazione si opera riferimento all’assenza di qualità essenziali allo svolgimento della funzione propria del bene venduto ed alla conseguente risoluzione prevista dall’art. 1497 c.c..

Se indubbiamente all’apparenza risulta il dedotto contrasto – posto che l’azione ex art. 1497 c.c., risulta soggetta alla dedotta prescrizione – tuttavia non concorre la contraddittorietà implicante nullità poichè, al di la del cenno improprio all’art. 1497 c.c., è chiaro dallo svolgimento intergale della motivazione di sentenza che la Corte barese ha,sulla scorta di preciso insegnamento di questo Supremo Collegio al riguardo – Cass. sez. 2 n. 6596/16 – messo in evidenza come la revoca dell’autorizzazione sanitaria impediva e la produzione di salumi e la loro commercializzazione, così comportando l’assoluta inidoneità dell’azienda ceduta all’utilizzo secondo sua destinazione con configurazione della vendita di aliud pro alio.

Le ulteriori argomentazioni svolte nella censura de qua sono o la riproposizione di critiche già svolte nei precedenti mezzi d’impugnazione,esaminate e rigettate, ovvero proposizione di questione nuova – la mancata precisazione dei beni costituenti l’azienda – per altro non rilevante.

Difatti i ricorrenti si limitano a dedurre la questione senza però precisare quando venne ritualmente sottoposta al contraddittorio delle parti ed alla cognizione del Giudice del merito.

Per altro la questione,agitata in causa, non attiene all’idoneità dei singoli componenti l’azienda, bensì alla sua irregolarità nel complesso poichè revocati l’autorizzazione sanitaria indispensabile, come visto, per esercitare la produzione e commercializzazione dei salumi ossia l’oggetto stesso dell’impresa esercitata dalla società, le cui quote sono state oggetto della vendita.

Con la quarta ed ultima doglianza i C. lamentano gli stessi vizi di legittimità ricordati nei precedenti mezzi d’impugnazione in relazione al mancato apprezzamento da parte dei Giudici baresi che, già all’atto della cessione delle quote, il contratto di locazione degli ambienti, in cui era sita l’azienda salumificio, era scaduto – circostanza messa in risalto nelle scritture conclusionali in appello – e che l’affermazione circa l’ammontare dei costi della adeguamento – superiori al valore dell’azienda ceduta – era rimasta priva di prova.

Come già in precedenza visto, la questione afferente il contratto di locazione dei locali non assume rilevanza posto che l’autorizzazione sanitaria riguardava l’insieme dell’azienda e non solo la salubrità dei locali,in cui era allogata.

Inoltre i C. erano comunque nel godimento dei locali e ne cedettero l’uso agli acquirenti, sicchè la mera circostanza che i R. ebbero a stipulare nuovo contratto con il locatore in continuità con il rapporto precedente non assume rilievo dirimente nel contesto della lite.

Infine non va omesso di rilevare che, per stessa ammissione dei C. in ricorso, la questione risulta prospettata in causa con le scritture finali in sede d’appello, sicchè in quanto fatto nuovo rettamente non fu apprezzato dalla Corte barese.

Circa poi il fondamento probatorio su cui posa l’asserzione della Corte territoriale afferente al costo dei lavori di adeguamento, lo stesso risulta puntualmente indicato dai Giudici pugliesi in sentenza, posto che operano cenno all’elaborato peritale esteso da consulente degli originari attori.

Dunque la censura fondata sulla violazione dell’onere della prova ovvero delle norme a disciplina dell’apprezzamento delle prove risulta patentemente priva di pregio.

Al rigetto del ricorso segue la condanna solidale dei consorti C. alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità verso il resistente R.G. costituito, liquidate in Euro 4.300,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario siccome precisato in dispositivo. Concorrono in capo ai ricorrenti le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti,in solido fra loro, a rifondere al resistente R.G. le spese della presente lite di legittimità liquidate in Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020

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