Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1576 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1576 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: FERRO MASSIMO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente Contro

Maria Donata GIOVANI
-intimatoper la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Firenze 3.11.2008;

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estensore cons.

Data pubblicazione: 27/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 6 dicembre 2013
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito l’avvocato dello Stato Gianna De Socio;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Paola
Mastroberardino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso con rinvio.

Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale di Firenze 3.11.2008, che, a conferma della sentenza C.T.P. di Firenze n.
71/08/2005, ebbe a respingere l’appello dell’Ufficio, così riconoscendo la illegittimità
dell’atto di silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione al contribuente che, per gli
anni dal 1998 al 2000, aveva chiesto il rimborso dell’IRAP, sul presupposto — già
ritenuto dalla C.T.P. — del difetto dei requisiti perché l’attività professionale espletata
(medico convenzionato con il S.S.N.) fosse assoggettabile all’imposta.
Ritenne in particolare la C.T.R. che, all’esito della verifica condotta in concreto
sull’attività del contribuente, svolta con un’organizzazione senza capitali e collaboratori, per
il tramite dei documenti reddituali fosse stata acquisita la prova del citato requisito
esonerativo.
Il ricorso è affidato a due motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge quanto all’art.38, co.1, d.P.R. n.
602/1973, in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ., avendo erroneamente la C.T.R.
omesso di valutare, unitamente all’eccezione di tardività della richiesta di rimborso per
l’anno 1998, l’avvenuta decadenza del contribuente da tale diritto.
Con il secondo motivo, si censura il vizio di motivazione circa fatto decisivo e
controverso, in relazione all’art.360 n.5 cod.proc.civ., avendo la sentenza affermato la
non riferibilità al contribuente di capitali e personale in modo generico, senza
apprezzamento della convenzione del medico contribuente con il S.S.N. e dunque, di
per sé, di un fattore indiziante del presupposto impositivo, inoltre non dando conto
dei valori per beni strumentali, spese relative ad immobili e compensi a terzi.
1. Il primo motivo è fondato, avendo omesso la sentenza, come puntualmente riportato
dal ricorrente con riguardo alle proprie difese assunte avanti al giudice del merito, di
fare applicazione – per la fattispecie del rimborso chiesto per il 1998 – del principio,
cui il Collegio intende dare continuità, per cui “in tema di IRAP, l’istanza di rimborso
dell’imposta, ritenuta illegittimamente versata, va presentata dal contribuente entro il termine di
decadenza, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, in quanto l’art. 25 del d.lgs. 15
dicembre 1997 n. 446, istitutivo del tributo, stabilisce che, fino a quando non abbiano effetto
eventuali leggi regionali, “per le attività di controllo e rettifica delle dichiarazioni, per l’accertamento e
per la riscossione dell’imposta regionale, nonché per il relativo contenzioso si applicano le disposizioni
in materia d’imposte sui redditi”; inoltre l’art. 30, nel disciplinare la riscossione dell’imposta dovuta,
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estensore con

IL PROCESSO

Rileva altresì il Collegio che la censura appare corrispondere al canone di completezza
d’individuazione della eccezione, dunque sussistendo piena compatibilità con il
parallelo principio per cui la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per
non aver presentato la relativa istanza entro il citato termine dal versamento
dell’imposta indebitamente corrisposta sarebbe oltretutto rilevabile anche d’ufficio in
ogni stato e grado del giudizio, laddove non si tratti di nuova questione di diritto che
presupponga o comunque richieda nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto come l’esame di documenti – preclusi alla Corte di cassazione, dovendosi coordinare
tale limite con il principio della domanda, nella specie pienamente assolto dall’Ufficio,
riferendosi la censura ad un fatto già dedotto in precedenza, né implicante un diverso
tema di indagine e di decisione (Cass. 11059/2012).
2. Anche il secondo motivo è fondato. Il nucleo essenziale del principio di diritto applicato
dal giudice di merito consiste nell’aver individuato, nell’art.2 del d.lgs. n.446 del 1997,
una fattispecie astratta per la quale la nozione tributaria di autonoma organiunione,
riferibile all’esercente lavoro autonomo, integra il presupposto impositivo dell’IRAP
allorchè si declini mediante l’impiego di capitali e collaboratori, esclusi alla stregua di
una riferita analisi dei documenti reddituali, secondo un giudizio però vulnerabile alla
luce dei rilievi del ricorrente che, riportando puntualmente sussistenza ed
apprezzabilità quantitativa di beni strumentali, spese relative ad immobili e compensi
corrisposti a terzi, ha introdotto un severo dato di contraddizione del quadro
giustificativo generale, facendo così risaltare la differenziazione organizzativa
dell’attività del medico-contribuente quale assunta proprio attraverso le risorse
materiali e contrattuali emerse dalle dichiarazioni dei redditi e dai modelli presentati
negli anni in esame. A tale stregua, la motivazione della decisione impugnata è carente,
dovendo un nuovo esame degli stessi fatti riesprimere un aggiornato giudizio di loro
congruità o incoerenza rispetto alla fattispecie astratta selezionata.
Osserva invero il Collegio che, anche alla stregua dell’interpretazione
costituzionalmente orientata fornita da Corte cost. n. 156/2001, l’assoggettamento ad
IRAP dell’attività dei lavoratori autonomi e dei professionisti ne postula una
valutazione complessiva, da effettuarsi sulla scorta di tutti gli elementi fattuali che
connotano la fattispecie concreta. Ha chiarito il Giudice delle leggi che l’imposizione
ha riguardo al valore aggiunto prodotto, cioè la nuova ricchezza creata dalla singola
unità produttiva, che viene, mediante l’IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima
che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione,
trasformandosi in reddito per l’organizzatore dell’attività, i suoi finanziatoti, i suoi
dipendenti e collaboratori. L’imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto
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estensore cons.

prevede che quest’ultima “è riscossa mediante versamento del soggetto passivo da eseguire con le
modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi” (comma 2) e che “la riscossione coattiva
avviene mediante ruolo sulla base delle disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle imposte
sui redditi” (comma 6).” (così Cass. 23882/2010 in un caso in cui “l’istana era stata
presentata oltre il termine di 48 mesi, previsto dal d.P.R n. 602 del 1973” conf. Cass.
24058/2010).

Ma l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per
l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati
dall’art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi i casi di
soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse
(come non sarebbe la contribuente solo in quanto tale, stante l’insufficienza di per sé
del convenzionamento con il S.S.N.), non dev’essere intesa in senso soggettivo, come
auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione,
ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del
professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di
lavoro altrui (Cass. 3673/2007). Significativamente, tali indirizzi sono confluiti
nell’importante arresto delle Sezioni Unite (12111/2009), per le quali l’esercizio
dell’attività (nella specie, di promotore finanziario di cui all’art. 31, co. 2, del d.lgs. 24
febbraio 1998, n. 58) é escluso dall’applicazione dell’imposta qualora si tratti di
iniziativa complessiva non autonomamente organizzata. Ed effettivamente tale
requisito, il cui accertamento si ribadisce spettare al giudice di merito, resta
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorrendo in generale
quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad
altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id
quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di
organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Nel caso
di specie, la Corte ritiene che il sopra descritto accertamento, invero, non sia stato
correttamente espletato dal giudice di merito, tanto più alla luce del principio per cui
costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la
prova dell’assenza delle predette condizioni (oltre alle citate, Cass. s.u.. 12108/2009;
13095/2012).
Il ricorso va dunque accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla
C.T.R. che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del procedimento di
legittimità.

P.Q.M.

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estens

s. m.ferro

economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in
capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva
la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura,
concorrono alla sua creazione. Nel caso, poi, di un’attività professionale che sia svolta
in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in difetto di specifiche
disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà dunque
mancante — per gli stessi giudici costituzionali – il presupposto stesso dell’imposta sulle
attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2 del d.lgs. n.446 del
1997, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla
produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la
conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.

La Corte accoglie il ricorso e per l’effetto cassa la sentenza impugnata, con rinvio
alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del
procedimento di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2013.

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