Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1576 del 23/01/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 1576 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

ORDINANZA

sul ricorso 29515-2015 proposto da:
BRUNO FABIO, domiciliato ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato
e difeso dall’avvocato GERARDO MARLIANI giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrentecontro

ASSICURAZIONI

UNIPOLSAI

SPA,

INNOCENTI

MORENO,

SICILIANO DORA;
– intimati –

avverso

la

sentenza n.

2027/2014

della CORTE

D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

Data pubblicazione: 23/01/2018

consiglio del 29/11/2017 dal Consigliere Dott. MARCO

DELL’UTRI;

Rilevato che, con sentenza resa in data 10/12/2014, la Corte
d’Appello di Firenze, in accoglimento per quanto di ragione
dell’appello proposto da Fabio Bruno, e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato Dora Siciliano, Moreno Innocenti
e la Milano Assicurazioni s.p.a. alla refusione, in favore
dell’appellante, delle spese relative al giudizio di primo grado, nonché

confermando, nel resto, la decisione con la quale il tribunale, in accoglimento della domanda proposta dal Bruno, ha condannato le medesime controparti al risarcimento, in favore dell’attore, dei danni da
quest’ultimo subiti in conseguenza del sinistro stradale dedotto in
giudizio;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale,
dopo aver evidenziato la fondatezza delle censure sollevate
dall’appellante in relazione alla mancata liquidazione, in favore del
Bruno, delle spese relative al primo grado del giudizio e della pregressa fase stragiudiziale, ha ritenuto corretta la liquidazione operata
dal primo giudice in relazione al danno rivendicato dall’attore come
conseguenza del sinistro; e ciò, tanto con riguardo ai pregiudizi di carattere morale e di natura c.d. esistenziale, quanto in relazione al risarcimento del danno per la ritardata corresponsione degli importi risarcitori e al rimborso delle spese mediche asseritamente sostenute;
che, avverso la sentenza d’appello, Fabio Bruno ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
che nessun degli intimati ha svolto difese in questa sede;
considerato che, con il primo motivo, il ricorrente si duole della
nullità della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.),
per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi, in violazione
dell’art. 112 c.p.c., sulla domanda concernente il riconoscimento degli
interessi sulle somme dovute a titolo di danno biologico e non patrimoniale-morale, essendosi la stessa limitata al rilievo dell’avvenuta

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di quelle dallo stesso sostenute nella pregressa fase stragiudiziale,

liquidazione dell’importo risarcitorio, dal primo giudice riconosciuto in
favore dell’attore, ai valori correnti alla data della decisione;
che il motivo è infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio, come secondo il consolidato
insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nei debiti di valore i
c.d. interessi compensativi costituiscono una mera modalità di liqui-

monetario attuale della somma dovuta all’epoca dell’evento lesivo;
che tale danno sussiste quando, dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore
al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe se (in
ipotesi tempestivamente soddisfatto) avesse potuto utilizzare l’importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza, ovvero in impieghi più remunerativi, la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima, solo in tal caso potendosi
ravvisare un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche
mediante il meccanismo degli interessi, mentre in ogni altro caso il
danno va escluso;
che, sulla base di tale premessa, il giudice del merito è tenuto a
motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi solo
quando sia stato espressamente sollecitato dall’interessato mediante
l’allegazione dell’insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del
danno da ritardo secondo il criterio sopra precisato (Sez. 3, Sentenza
n. 22347 del 24/10/2007, Rv. 599829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3355
del 12/02/2010, Rv. 611376 – 01);
che, nel caso di specie, l’odierno ricorrente ha censurato la mancata decisione del giudice a quo, in ordine all’invocata liquidazione
degli interessi legali sulla somma determinata a titolo di risarcimento
dei danni, senza mai allegare (neppure nell’atto d’appello debitamente trascritto in ricorso, ai fini dell’art. 366 n. 6 c.p.c.) la circostanza

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dazione del danno causato dal ritardato pagamento dell’equivalente

dell’eventuale insufficienza della sola rivalutazione ai fini del ristoro
del danno da ritardo lamentato;
che, ciò posto, in assenza di alcuna specifica contestazione in ordine all’insufficienza di tale modalità liquidatoria del danno, deve escludersi che il giudice a quo sia incorso nel vizio di omessa pronuncia
denunciato dall’odierno ricorrente, avendo la corte territoriale comun-

del danno per la ritardata corresponsione degli importi risarcitori, la
sufficienza dell’avvenuta liquidazione del danno complessivo ai valori
correnti alla data della decisione;
che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c. (in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’assoluta incongruità della liquidazione
del danno morale operata dal giudice di primo grado, e per aver illegittimamente disatteso la domanda di liquidazione del danno esistenziale sofferto dal Bruno, trascurando di provvedere alla dovuta personalizzazione del danno non patrimoniale complessivamente rivendicato;
che il motivo è inammissibile;
che, sul punto, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il carattere unitario
della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ.
preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di
specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, danno morale,
etc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del giudice di tener conto di tutte le
peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio

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que sottolineato, proprio in relazione al rivendicato riconoscimento

in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n.
21716 del 23/09/2013, Rv. 628100 – 01);
che, sulla base di tale premessa, varrà sottolineare come la liquidazione del danno non patrimoniale è destinata a coprire l’intero pregiudizio a prescindere dai nomina iuris dei vari tipi di danno, i quali
non possono essere invocati singolarmente per un aumento della an-

biologico’ e del ‘danno morale’ continuino a svolgere una funzione,
per quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice, al fine di parametrare la liquidazione del danno risarcibile (Sez. L, Sentenza n. 687 del 15/01/2014, Rv. 629252 – 01);
che, nel caso di specie, la corte territoriale – dopo aver affermato
che il giudice di primo grado aveva proceduto alla liquidazione del
danno morale sofferto dal Bruno in una misura sostanzialmente corrispondente a quanto comunemente riconosciuto nelle sedi giudiziarie
che applicano le cd. tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (pari
al 25% del danno biologico) – ha rilevato come, rispetto a tale liquidazione, il danneggiato non avesse fornito alcuna ragione specifica
della ritenuta incongruità di detta liquidazione, in assenza di elementi
di fatto suscettibili di giustificarne un ulteriore adeguamento;
che, sotto altro profilo, il giudice a quo ha evidenziato come, con
riguardo all’ulteriore personalizzazione del danno (segnatamente in
relazione alla prevedibile alterazione delle abitudini di vita del danneggiato con riferimento alla soddisfazione di interessi della persona
di rilievo costituzionale), quest’ultimo non avesse fornito alcuna prova
in ordine all’effettiva sussistenza di circostanze di fatto idonee a suffragarne il riconoscimento;
che, rispetto a tali specifiche argomentazioni del giudice a quo,
l’odierno ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da
parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata
da una norma di legge – allega un’erronea ricognizione, da parte del-

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zidetta liquidazione, benché le tradizionali sottocategorie del ‘danno

la corte territoriale, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della
norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di
merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente
sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n.

spettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle
norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di
un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente il Bruno nella
prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto
a quanto operato dal giudice a quo;
che, pertanto, al di là del formale richiamo, contenuto
nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto
rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti,
dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
che una simile impostazione critica appare con evidenza diretta a
censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta,
di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare
il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un
errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza
doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv.

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26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la pro-

581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non
potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti
dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione, attesa la mancata prospettazione dell’omesso esame di fatti
controversi concretamente dotati del carattere della (obiettiva e sicura) decisività;

sentenza impugnata (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la
corte territoriale omesso di pronunciarsi, in violazione dell’art. 112
c.p.c., sul motivo di gravame concernente la contestazione della liquidazione operata dal primo giudice con riguardo al danno patrimoniale da invalidità permanente;
che il motivo è fondato;
che, a fronte della testuale riproduzione in ricorso (anche ai fini
della relativa autosufficienza) del contenuto dell’atto di appello proposto dal Bruno – espressamente diretto a contestare (anche) le modalità attraverso le quali il primo giudice ha proceduto alla liquidazione
del danno patrimoniale da invalidità permanente -, la corte territoriale ha del tutto omesso di assumere alcun provvedimento al riguardo,
trascurando finanche di riprodurre detto motivo di gravame tra quelli
in relazione ai quali il Bruno aveva proposto impugnazione in sede
d’appello;
che, al riguardo, costituendo, l’omessa pronuncia su un motivo di
appello, espressione della violazione dell’art. 112 c.p.c. rilevabile, in
sede di legittimità, quale vizio idoneo a incidere sulla validità della
sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. (come puntualmente dedotto dall’odierno ricorrente), dev’essere pronunciata la cassazione della
sentenza impugnata in relazione al motivo in esame;
che, con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.
(in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale er-

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che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole della nullità della

roneamente disposto l’integrale compensazione delle spese del giudizio d’appello, sul presupposto di un’inesistente soccombenza reciproca;
che il motivo è infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, nel disporre l’integrale
compensazione tra le parti delle spese del giudizio d’appello, il giudice

denza di questa Corte, ai sensi del quale la regolazione delle spese di
lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina
la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di
tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi
(art. 92, comma 2, c.p.c.);
che, a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata, sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo
processo fra le stesse parti, sia in ipotesi
di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorché
quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti
solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo
e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del
suo accoglimento (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016,
Rv. 638888 – 01);
che, sotto altro profilo, la pronuncia sulle spese adottata dalla
corte territoriale risulta altresì conforme al consolidato principio, affermato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema
di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va
inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può
essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento
delle spese stesse, e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, dovendo essere riferito uni-

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a quo si sia correttamente allineato all’insegnamento della giurispru-

tariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche
grado o fase del giudizio la parte, poi soccombente, abbia conseguito
un esito a lei favorevole;
che, ciò posto, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti
violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste

sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la
valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese
di lite; e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi
di concorso con altri giusti motivi (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 406 del
11/01/2008, Rv. 601214) delle altre cause legittimanti;
che, pertanto, sulla base delle considerazioni sin qui complessivamente illustrate, in accoglimento del terzo motivo (e disattesi i restanti), dev’essere pronunciata la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte
d’appello di Firenze, cui è altresì rimesso di provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di
Firenze, cui è altresì rimesso di provvedere alla liquidazione delle
spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione

a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale

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