Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15759 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 02/03/2016, dep. 29/07/2016), n.15759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25285-2014 proposto da:

R.D.T.G., considerato domiciliato in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato RICCARDO GROSSI, ALESSANDRO NICOLODI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.B., O.S., considerati domiciliati in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato GUGLIELMO GIULIANO giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 689/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito l’Avvocato RICCARDO GROSSI;

udito l’Avvocato GUGLIELMO GIULIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.D.T.G. convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna, sezione specializzata agraria, O.S. e B.B. esponendo di aver concesso ai predetti in affitto un fondo agricolo con fabbricato rurale; che gli affittuari si erano resi inadempimenti nel versamento deì canoni; che aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento di detti canoni e che la causa di opposizione era stata definita con sentenza, passata in giudicato, che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione e respinto le domande riconvenzionali degli opponenti; che gli affittuari non avevano neppure provveduto al pagamento dei canoni successivamente maturati ed avevano posto in essere altri inadempimenti. Tanto premesso, chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto di affitto per inadempimento degli affittuari, con condanna degli stessi al rilascio del fondo e al pagamento dei canoni dovuti.

Costituitisi in giudizio, i convenuti, nel contestare la fondatezza della domanda, rappresentavano che, data l’impossibilità per gli inadempimenti del concedente di coltivare il fondo, lo avevano rilasciato spontaneamente, comunicando disdetta con raccomandata del 7.6.2010 e tentando inutilmente di restituire le chiavi al proprietario.

Il Tribunale, con sentenza del 21.5.2013, dichiarava risolto il contratto di affitto per recesso dei conduttori a far data dal 10.11.2010, respingendo la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento degli affittuari e la domanda di restituzione del fondo. Proposto gravame da R.D.T.G., la Corte d’appello di Bologna, sezione specializzata agraria, con sentenza del 15.4.2014, confermava la pronuncia impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado. Rilevava la Corte che, a seguito della raccomandata del 7.6.2010 con la quale gli affittuari avevano espresso la volontà di non proseguire nella conduzione del fondo, il contratto di affitto si era risolto alla fine dell’annata agraria dell’anno successivo al recesso ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 5. Riteneva, inoltre, che la raccomandata del 30.8.2011, con la quale il concedente aveva comunicato di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa prevista in contratto, non ne aveva determinato la risoluzione di diritto, in quanto successiva alla comunicazione del recesso da parte degli affittuari.

Contro la decisione R.D.T.G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi ed illustrato da memoria.

Resistono con controricorso O.S. e B.B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso R.D.T.G. denuncia “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 5 e art. 1456 c.c. o art. 1453 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Deduce il ricorrente che la corte territoriale non aveva tenuto conto del fatto che il contratto di affitto, a seguito del recesso effettuato dagli affittuari con la raccomandata del 7.6.2010, sarebbe cessato solo il 10.11.2011, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 5 norma che attribuisce all’affittuario la facoltà di recedere dal contratto con preavviso da comunicarsi al locatore, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria. Pertanto, alla data dell’8.9.2011 di ricezione della raccomandata del 30.8.2011 con la quale il concedente aveva fatto valere la clausola risolutiva espressa prevista in contratto, si era già verificata la risoluzione del contratto per inadempimento degli affittuari.

Il motivo è fondato.

Premesso che sussiste l’interesse del ricorrente alla riforma sul punto della sentenza impugnata, stante la diversità degli effetti, anche con riferimento ad eventuali profili risarcitori, che scaturiscono da una pronuncia di risoluzione per inadempimento rispetto ad una sentenza di accertamento della cessazione del contratto per intervenuto recesso, va osservato che l’art. 11 del contratto di affitto intercorso tra le parti prevede che “La violazione, anche disgiuntamente, da parte degli affittuari dei patti in tema di: pagamento del canone alle scadenze convenute… sarà causa di risoluzione del contratto a norma dell’art. 1456 c.c.”.

La disposizione configura una tipica ipotesi di clausola risolutiva espressa, correlata all’inadempimento dell’obbligazione di pagamento dei canoni di affitto, inadempimento nella specie accertato a seguito della sentenza del Tribunale di Ravenna del 21.5.2013, che sul punto non ha formato oggetto di impugnazione ed è dunque passata in giudicato.

Pertanto, alla data dell’8.9.2011, con la ricezione da parte degli affittuari della raccomandata con la quale R.D.T.G. dichiarava di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, stante l’accertato inadempimento dell’obbligazione di pagamento dei canoni di affitto, si è verificata la risoluzione di diritto del contratto di affitto.

Erroneamente, quindi, la corte territoriale ha ritenuto, sulla base del recesso comunicato dagli affittuari ed in conformità del disposto della L. n. 203 del 1982, art. 5 che l’efficacia del contratto fosse cessata alla data del 10.11.2011, mentre già in precedenza, in data 8.9.2011, ebbe a verificarsi l’effetto risolutorio conseguente all’attivazione della clausola risolutiva espressa.

2. Con il secondo motivo – con il quale si denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1219 e 1590 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto ingiustificato e contrario a buona fede il rifiuto del concedente di ritirare le chiavi dell’immobile messe a disposizione dagli affittuari.

Il motivo è fondato, avendo il giudice di merito applicato la clausola generale di buona fede, senza dare adeguatamente conto, in riferimento alla concreta fattispecie, delle circostanze che avevano portato a qualificare il comportamento di R.D.T.G. come rifiuto di ritirare le chiavi e senza esaminare gli effetti che avrebbe potuto produrre l’accettazione della restituzione delle chiavi nella vigenza del contratto di affitto.

3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Bologna, sezione specializzata agraria, in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi espressi in motivazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna, sezione specializzata agraria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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