Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15758 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/07/2016, (ud. 02/03/2016, dep. 29/07/2016), n.15758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22812-2014 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato ELENA ALLOCCA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ROBERTO ORFEO giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.E., Z.D., ZO.FE., Z.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso lo

studio dell’avvocato MICHELA REGGIO D’ACI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato WLADIMIRO PEGORARO giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2080/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito l’Avvocato FRANCESCO SINOPOLI per delega;

udito l’Avvocato MICHELA REGGIO D’ACI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 712 del 2005, respinse la domanda di riscatto agrario proposta da Z.L., nella qualità di coltivatore diretto affittuario del fondo venduto a R.A. in asserita violazione del diritto di prelazione.

Proposto appello principale da Z.L. (al quale subentravano in corso di giudizio gli eredi Zo.Fe., Z.E., Z.A. e Z.D.) ed appello incidentale da R.A., la Corte d’appello di Venezia, espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 16 settembre 2013, in riforma della sentenza impugnata, ha accolto la domanda di riscatto agrario e condannato il R. al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Riteneva, in sintesi, la Corte che: Z.L. aveva legittimamente esercitato autonomamente il diritto di riscatto per l’intero fondo, non avendo l’altro affittuario del fondo inteso esercitare la prelazione; il retraente era affittuario del fondo oggetto di causa e sussistevano tutti i requisiti previsti dalla L. n. 590 del 1965 per l’esercizio del diritto di riscatto; l’eventuale simulazione del contratto di compravendita del fondo non era opponibile a Z.L. quale terzo di buona fede.

Contro la decisione R.A. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi ed illustrato da memoria.

Resistono con controricorso Zo.Fe., Z.E., Z.A. e Z.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso R.A. denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 9, (art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 3)”. Sostiene il ricorrente che, vertendosi in ipotesi di contitolarità del contratto di affitto in capo a Z.L. e Z.M., l’azione di riscatto avrebbe dovuto essere esercitata da entrambi gli affittuari, non essendovi stata rinuncia, neppure implicita, da parte di Z.M..

Il motivo è infondato.

La corte territoriale ha ritenuto che Z.L. avesse legittimamente esercito il diritto di riscatto per l’intero fondo, non avendo Z.M., nella sua qualità di coaffittuario, inteso esercitare tale diritto.

L’affermazione del giudice di appello presuppone la consapevolezza da parte (anche) di Z.M. della intervenuta vendita del fondo al R. e, quindi, della possibilità di agire per far valere in giudizio la prelazione agraria. Tale consapevolezza si desume agevolmente dalla circostanza che Z.L. e Z.M. fossero fratelli ed entrambi affittuari del fondo oggetto di riscatto, di modo alla condotta inerte tenuta da Z.M. – a fronte dell’iniziativa giudiziaria intrapresa da Z.L. – doveva ragionevolmente attribuirsi il significato di implicita rinuncia al diritto di riscatto. Conseguentemente, Z.L. aveva legittimamente agito in giudizio al fine di ottenere il riscatto dell’intero fondo.

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 (art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 3).

Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in relazione alla corretta interpretazione del concetto di diretta e abituale coltivazione del fondo nonchè alla ricorrenza di tale requisito nella fattispecie concreta.

3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in relazione alla contestata esistenza del contratto di affitto stipulato dal retraente, erroneamente desunta dalla corte territoriale dalla inattendibile testimonianza di R.O. e dalle false ricevute di pagamento prodotte in atti.

I due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati, poichè, pur evocando anche vizi violazione e falsa applicazione di legge, si risolvono nella deduzione di vizi di motivazione involgenti le circostanze di fatto sulla base delle quali la corte di merito ha valutato la sussistenza, nella concreta fattispecie, del contratto di affitto nonchè della diretta e abituale coltivazione del fondo da parte del retraente, vizi non più censurabili in sede di legittimità stante la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile alla sentenza impugnata ratione temporis.

Secondo il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 7 aprile 2014 n. 8053) “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile””. Le Sezioni Unite hanno altresì precisato che” l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Alla luce di tali principi, le censure mosse dai ricorrenti, volte al riesame del merito della vicenda processuale, non inficiano la decisione della corte territoriale. Invero, il giudice di appello, con congrua e adeguata motivazione, sulla base della consulenza tecnica, della prova testimoniale e dei documenti in atti, ha accertato in concreto che Z.L., con l’aiuto dei familiari conviventi e di terzisti, era dedito alla coltivazione del terreno nonchè la circostanza della effettiva stipulazione del contratto di affitto del fondo oggetto di riscatto.

4. Con il quarto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 590 del 1965, art. 8 e art. 1415 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”. La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale ritenuto irrilevante ai sensi dell’art. 1415 c.c. la dedotta simulazione del contratto di compravendita per essere il retraente soggetto terzo di buona fede.

Il motivo è infondato.

Posto che non è censurabile in questa sede l’apprezzamento di fatto della corte di merito circa la posizione di terzo di buona fede di Z.L., va richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini del riscatto agrario, l’affittuario del fondo o il confinante devono essere considerati terzi rispetto al contratto di vendita del fondo stesso concluso dal concedente con altri e, pertanto, non può esser loro opposta dall’acquirente, come causa di negazione del diritto al retratto, la simulazione di tale contratto (Cass. civ., sez. 3, 25-10-2010, n. 21822).

5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni espresse, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, il ricorrente è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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