Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15757 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/06/2021, (ud. 12/03/2021, dep. 07/06/2021), n.15757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17981/2014 R.G. proposto da:

Z.F., rappresentato e difeso dall’avv. Cervia Nicoletta,

nel cui studio in Roma, via Attilio Regolo n. 19, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 100/29/2013 della Commissione tributaria

regionale per la Toscana, depositata il 21/05/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/03/2021 dalla Dott.ssa Pirari Valeria.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. In seguito a processo verbale di constatazione del 29/10/2001 a carico della società “Bagno Bernina s.n.c.”, esercente l’attività di stabilimento balneare, contenente l’accertamento di maggiori ricavi ed errata quantificazione ai fini Iva e Irap per l’anno di imposta 1998, l’Agenzia delle Entrate emise avviso di accertamento nei confronti dei soci, Z.F., Z.P. e N.P., contestando loro redditi da partecipazione per la quota a ciascuno spettante. Società e soci proposero distinti ricorsi avverso gli atti rispettivamente loro notificati, senza che la C.T.P. adita provvedesse alla loro riunione, se non limitatamente alle impugnazioni proposte da Z.P. e N.P., provvedendo a deciderli separatamente e accogliendo le domande di ciascuno. Impugnate le tre sentenze dall’Agenzia delle Entrate, la C.T.R. non riunì i ricorsi, ma, con sentenza n. 30/24/2013, depositata il 20/3/2013, passata in giudicato, e con sentenza n. 985/9/2014, depositata il 16/5/2014, confermò le decisioni di primo grado emesse rispettivamente nei confronti della società e dei soci Z.P. e N.P., mentre, con la sentenza oggi impugnata, accolse l’appello dell’Ufficio, dichiarando nullo il ricorso proposto dal contribuente in primo grado in quanto privo della firma del difensore tecnico e delle indicazioni di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, comma 2.

2. Avverso questa sentenza, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi. L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 182 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la C.T.R. dichiarato l’inammissibilità e quindi la nullità del ricorso sulla base di una norma, l’art. 128 c.p.c., inconferente rispetto alla motivazione, senza previamente ordinare al ricorrente di regolarizzare la propria posizione, potendo l’inammissibilità essere dichiarata soltanto in seguito all’inottemperanza all’ordine in tal senso. Inoltre, in data 30/5/2011 il contribuente si era costituito i appello con controdeduzioni da cui risultava che l’assistenza e rappresentanza era stata conferita al rag. D.F.R..

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101 e 102 c.p.c., art. 1306 c.c., comma 2, art. 2909 c.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 18, commi 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. omesso di integrare il litisconsorzio necessario con la società o di provvedere alla riunione dei procedimenti, per avere omesso di applicare il principio di cui all’art. 1306 c.c., secondo cui il condebitore può opporre la sentenza più favorevole resa nei confronti di uno dei condebitori (nella specie favorevole, in quanto di annullamento dell’avviso nei confronti della società e passata in giudicato), salvo che non sia fondata su ragioni personali, e per avere violato il principio di cui all’art. 2909 c.c., ovvero il potere del giudice di acquisire d’ufficio giudicati esterni utili per la prevenzione di contrasti.

3. Il primo motivo è inammissibile.

Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass., Sez. 5, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. 1, 27/07/2017, n. 18641; Cass., Sez. 3, 06/07/2020, n. 13880, che riconduce l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse).

Nella specie, risulta dalla sentenza impugnata che la pronuncia di inammissibilità e dunque di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è avvenuta sulla base di un duplice ordine di motivi: quello dell’assenza della firma del difensore tecnico e quello della mancanza nell’atto delle indicazioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992l, art. 18, comma 2.

Mentre la prima questione è regolata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, che, attenendo alla difesa tecnica, indica al comma 3 le modalità di conferimento dell’incarico al difensore e la certificazione della sottoscrizione autografa, la seconda è disciplinata dal medesimo D.Lgs., art. 18, comma 2, il quale stabilisce che il ricorso deve contenere l’indicazione della Commissione tributaria cui è diretto, del ricorrente e del suo legale rappresentante, della residenza o sede legale o domicilio eventualmente eletto nel territorio dello stato, nonchè del codice fiscale, dell’ufficio del ministero delle finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto, dell’atto impugnato, dell’oggetto della domanda e dei motivi.

E’ dunque evidente che il carattere alternativo delle due motivazioni rese dalla sentenza impugnata implica che la sentenza potrebbe essere utilmente cassata soltanto se entrambe si rivelassero errate.

Orbene, il ricorrente, nonostante ciò, si è limitato a censurare la pronuncia limitatamente alla questione dell’esistenza della procura e della sua regolarizzazione, senza in alcun modo prendere posizione sulla parimenti affermata incompletezza del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, anche in ragione della quale la C.T.R. ne ha dichiarato l’inammissibilità.

Pertanto, considerato il passaggio in giudicato di questa parte della pronuncia, deve ritenersi che manchi l’interesse ad esaminare quella afferente la regolarità o meno della procura.

Ciò comporta, quale ulteriore conseguenza, l’inutilità di procedere alla scrutinio del secondo motivo, giacchè, quand’anche fondato, non potrebbe essere esaminato, stante l’inammissibilità dell’impugnazione fin dal primo grado del giudizio e la conseguente definitività dell’accertamento che ne era oggetto.

6. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità dei due motivi, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.415,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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