Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15752 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/06/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 07/06/2021), n.15752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9298/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Arema s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta mandato a margine del controricorso,

dall’Avv. Salvatore Catania e dall’Avv. Francesco Cucinotta,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Rosario Rao, in

Roma, Via Sforza Pallavicini, n. 18;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione distaccata di Catania, n. 48/34/2012, depositata il

13 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 marzo 2021

dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RILEVATO

 

Fatto

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, rigettava l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate ed accoglieva l’appello incidentale articolato dalla Arema Srl, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Catania (n. 32/03/2010), che aveva accolto quasi per intero il ricorso presentato dalla contribuente, per l’anno 2005, confermando la ripresa a tassazione solo per la somma di Euro 9975,51 (acquisto telefoni cellulari e pedaggi autostradali), annullando tutte le altre riprese (costi complessivi per Euro 450.288,00, Iva per Euro 66.057,67; ammortamenti indeducibili per C 77.322,00). In particolare, il giudice d’appello manifestava la condivisibilità della motivazione della decisione di prime cure, ed evidenziava che le obiezioni dell’Ufficio, in ordine alla indeducibilità dei costi perchè non inerenti, miravano ad invalidare l’effettività dei rapporti contrattuali tra la contribuente e le altre società (Alifrem S.r.l. e Colfram S.r.l.), ma erano confortati da negozi scritti. Gravava, invece, sull’Agenzia l’onere, non assolto, della verifica, mediante opportuni controlli incrociati. Tra l’altro, la contribuente aveva tenuto una contabilità regolare. Quanto al costo della cella frigorifera, realizzata all’interno dello stabilimento oggetto di contratto di locazione stipulato tra la contribuente, conduttrice, e la Alifrem, locatrice, si rilevava che l’opera era stata realizzata evidentemente per il miglior godimento dell’immobile.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resiste con controricorso la contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 nonchè dell’art. 2697 c.c., in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, ove occorrer possa, n. 4”, in quanto la decisione del giudice d’appello è contraria al principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in base al quale, ai fini della determinazione del reddito di impresa, compete al contribuente dimostrare l’esistenza, certezza e l’inerenza dei costi dedotti all’esercizio dell’impresa. I costi, poi, devono essere certi, essendo ammesse esclusivamente le riduzioni e le detrazioni che si fondano su dati di fatto oggettivi. Al contrario, il giudice d’appello ha ritenuto fosse onere dell’Ufficio effettuare una verifica sui costi dedotti dalla società, tramite opportuni controlli incrociati. Le scritture private, non registrate, dal contenuto generico, sia sulla natura delle prestazioni ricevute sia sull’ammontare dei corrispettivi effettivamente dovuti, come pure le fotocopie delle fatture di acquisto e la copia delle registrazioni contabili eseguite, non hanno dimostrato l’inerenza di tali costi. Le medesime considerazioni valgono anche per le spese per carburanti, per le spese di manutenzione e riparazione di veicoli, come pure per i costi relativi alle prestazioni di servizi di terzi.

2. Con il secondo motivo di imputazione la ricorrente si duole della

“insufficiente motivazione, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice di appello non ha spiegato le ragioni per le quali i costi dedotti erano certi nel quantum e derivavano tutti dall’effettivo utilizzo dei beni di terzi, nell’esercizio dell’attività esercitata dalla contribuente. Ciò con riferimento al contratto di nolo del furgone, stipulato con la Marilat il 29 novembre 2003, all’accordo uso localicelle frigorifere-mezzi mobili e servizi vari, stipulato con la Alifrem S.r.l. il 2 gennaio 2001, nonchè con riferimento all’incarico per l’effettuazione di servizi commerciali e vari, stipulato con la Colfram S.r.l. il 31 gennaio 2003.

2.1. I due motivi di impugnazione, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.

2.2. Anzitutto, si rileva che questa Corte (Cass., 11 gennaio 2018, n. 450) ha affermato di recente che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 ora art. 109, comma 5, del medesimo D.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime “la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale”, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. In particolare, la Corte ha precisato che, comunque, “l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa”.

La giurisprudenza successiva si è sostanzialmente adeguata a tale principio di diritto, evidenziando che “l’impostazione da ultimo riferita è ben meno lontana dalla tradizionale interpretazione”, proprio tenendo conto della argomentazione per cui l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza (Cass., 6 giugno 2018, n. 14579; Cass., 22938/2018). Più di recente, questa Corte ha descritto compiutamente il riparto dell’onere della prova in materia di inerenza ed il contenuto della stessa, condividendo il nuovo orientamento aperto dalla sentenza 450/2018, ma con alcune precisazioni (Cass. Civ., 17 luglio 2018, n. 18904).

Pertanto, si è sottolineato che l’inerenza integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, quindi con natura qualititativa. Spetta, però, al contribuente l’onere della prova “originario”, che quindi si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perchè in correlazione con l’attività di impresa.

2.3.Si torna, poi alla distinzione tra beni “normalmente necessari e strumentali” e beni “non necessari e strumentali”, con la precisione, però, che anche per i primi si assiste “più che una modifica dei criteri di ripartizione, ad una semplificazione dell’onere del contribuente”.

Solo quando l’Amministrazione ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati oppure riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare gli elementi allegati, può contestare l’inerenza con due modalità. Da un lato, può contestare la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e quindi la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza, mentre dall’altro può addurre l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa.

L’Amministrazione ha ritenuto insufficienti gli elementi di fatto addotti dalla società, evidenziando, appunto, l’assoluta inidoneità della documentazione dei costi, ed ha evidenziato che la contribuente operava quasi interamente mediante mezzi e prestazioni di terzi (cfr. anche controricorso a pagina 7 “la Arema s.r.l., essendo priva di beni propri, è stata costretta…ad utilizzare beni e servizi forniti da terzi”). In tutti i contratti stipulati, però, l’oggetto degli stessi era del tutto indeterminato, non solo in relazione alla natura delle prestazioni ricevute, ma anche sull’ammontare dei corrispettivi effettivamente dovuti dalla contribuente. Per l’Agenzia, dunque, numerosi elementi facevano ritenere non inerenti i costi: le scritture private relative ai tre contratti non erano registrate e non munite di data certa opponibile al Fisco; il loro contenuto era estremamente generico; non vi era una precisa quantificazione dei costi, demandata sempre al futuro andamento dell’attività; gli interventi di manutenzione erano stati effettuati su veicoli di proprietà di terzi (Euro 49.673,67 oltre Iva); non erano state presentate le schede carburante per ciascun veicolo; non erano stati indicati i singoli mezzi utilizzati; nell’accordo d’uso locali-celle frigorifere stipulato con la Alifrem s.r.l. in data 2-1-2001 non erano identificati furgoni, nè nel contratto, nè in successive scritture; restavano sconosciuti i corrispettivi il cui importo veniva rimandato ad un “comune accordo” periodico (” in base all’effettivo utilizzo dei beni stessi e in base ai servizi richiesti ed effettuati”); l’assoluta indeterminatezza del corrispettivo (cfr. contratto di nolo del furgone, stipulato con la Marilat s.r.l. il 29 novembre 2003 “il corrispettivo, soggetto ad Iva, per l’uso del bene oggetto del presente contratto, sarà di comune accordo stabilito periodicamente, in base all’effettivo utilizzo dello stesso”; accordo d’uso localicelle frigorifere-mezzi mobili e servizi vari del 2 gennaio 2001, “il corrispettivo relativo alla utilizzazione dei beni e agli eventuali servizi effettuati… sarà determinato di comune accordo periodicamente in base all’effettivo utilizzo dei beni stessi e dei servizi richiesti ed effettuati”); l’incarico per l’effettuazione di servizi commerciali vari stipulato con la Colfram s.r.l. il 31 gennaio 2003 aveva un contenuto del tutto generico (” la società Colfram Srl… accetta l’incarico relativo all’effettuazione di servizi commerciali per affiancamento e supporto negli acquisti e nelle vendite. Il corrispettivo… relativo all’effettuazione dei servizi prestati, sarà determinato di comune accordo periodicamente in base agli effettivi servizi richiesti ed effettuati”).

Di fronte a tali importanti allegazioni dell’Amministrazione e, quindi, ad argomentate e puntuali contestazioni, la società, cui incombeva l’onere della prova della inerenza dei costi per smentire le contestazioni dell’Ufficio (Cass., 16 novembre 2011, n. 24065; Cass., 9 agosto 2006, n. 18000; Cass., 25 febbraio 2010, n. 4554; Cass., 26 aprile 2017, n. 10269; Cass., 5 maggio 2011, n. 9892; Cass., 16 maggio 2007, n. 11205; Cass., 30 maggio 2018, n. 13588, che valorizza il principio di “vicinanza alla prova”), si è difesa rilevando che non aveva alcun mezzo per svolgere la sua attività e che la sua documentazione contabile era regolare.

2.4.Con riferimento all’Iva, poi, per questa Corte la definizione di inerenza, che si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, è coerente con la disciplina dell’Iva, mentre le uniche divergenze attengono al giudizio di congruità che è irrilevante, per il principio della neutralità fiscale (Cass., 17 luglio 2018, n. 18904).

2.5.La Commissione regionale non si è attenuta ai principi di diritto di questa Corte in tema di inerenza, in quanto ha ritenuto, con una modesta motivazione, sindacabile anche per insufficienza, in quanto resa prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, dipanatasi con un mero rinvio alla motivazione del giudice di prime cure, con l’aggiunta di poche frasi di scarso significato, senza alcuna concludenza, che la società aveva tenuto una corretta contabilità.

In particolare, dopo un richiamo poco perspicuo alla “simulazione”, si è soffermata unicamente sulla presenza in atti di “puntuali negozi scritti”, senza verificare nè l’opponibilità degli stessi alla Agenzia delle entrate, con riferimento alla data certa, nè il loro contenuto.

Inoltre, il giudice d’appello ha aggiunto che l’onere della prova della inerenza dei costi gravava sulla Agenzia delle entrate, in tal modo distorcendo completamente le regole di riparto dell’onere della prova in materia di deducibilità dei costi e di sussistenza dei requisiti di esistenza ed inerenza (” ne discende che gravava sull’Agenzia l’onere-non assolto-della relativa verifica, mediante per es. opportuni controlli incrociati”).

2.6.Anche con riferimento alla deducibilità del costo della cella frigorifera, la Commissione regionale si è limitata ad affermare che non sussiste alcuna incompatibilità, nè dal punto di vista civilistico, nè da quello fiscale, tra il “pacifico contratto di locazione da parte della Alifrem S.r.l. e l’opera realizzata”, evidentemente “per il miglior godimento dell’immobile”, senza tenere conto che trattavasi di cella frigorifera realizzata all’interno di un immobile di proprietà della Alifrem S.r.l..

2.7.Invero, per questa Corte l’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto alla detrazione IVA anche per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi, purchè sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta, anche se potenziale o di prospettiva e pur se, per cause estranee al contribuente, detta attività non possa poi in concreto essere esercitata (Cass. sez.un., 11 maggio 2018, n. 11533). E’ sufficiente, dunque, che sia presente un nesso di causalità con l’attività di impresa professionale, ancorchè potenziale o di prospettiva, e ciò anche qualora, per cause estranee al contribuente, la predetta attività non abbia potuto concretamente esercitarsi (Cass., sez. 5, 23 dicembre 2019, n. 34291; Cass., sez 5, 22 novembre 2018, n. 30218).

I medesimi principi sono stati espressi anche in materia di imposte dirette, ove si è affermato che la deducibilità dei costi di ristrutturazione del locale non può essere subordinata al diritto di proprietà dell’immobile, essendo sufficiente che gli stessi siano sostenuti nell’esercizio dell’impresa, al fine della realizzazione del miglior esercizio dell’attività imprenditoriale e dell’aumento della redditività della stessa, e che, ovviamente, risultino dalla documentazione contabile (Cass., 17 giugno 2011, n. 13327; anche Cass., sez. 5, 30 luglio 2018, n. 20100).

Del resto, le sezioni unite di questa corte (Cass., sez. un., 11534/2018 e 11533/2018), pur adottando una decisione nel settore dell’Iva, hanno fatto riferimento, in motivazione, alla “simmetrica questione della deduzione dei costi”).

Il giudice d’appello, sul punto, si è limitato ad affermare che la deduzione del costo della cella frigorifera, realizzata sull’immobile di proprietà altrui, non era incompatibile con il contratto di locazione stipulato con la Alifrem, mentre l’opera è stata realizzata, evidentemente, “per il miglior godimento dell’immobile”, senza approfondire in alcun modo la questione in ordine al nesso di strumentalità con l’attività di impresa svolta dalla contribuente.

2.8. Nè la Commissione regionale ha affrontato il tema dell’ammortamento delle spese sostenute per la realizzazione della cella frigorifera. Per questa Corte, infatti, in tema di determinazione del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 3, (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 344 del 2003), le spese di manutenzione straordinaria dell’immobile condotto in locazione possono essere iscritte nell’attivo, ex art. 2426 c.c., comma 1, n. 5), invece che essere imputate in conto economico, come componenti negative del reddito, nell’esercizio in cui sono state sostenute, ove l’imprenditore ritenga, in base ad una scelta fondata su canoni di discrezionalità tecnica, di capitalizzarle in vista di un successivo ammortamento pluriennale, purchè indichi specifici criteri, commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo gravante su ciascun esercizio (Cass., sez. 5, 14 marzo 2018, n. 6288).

Sulla questione il giudice di appello si limita probabilmente a richiamare la motivazione della sentenza di prime cure, anch’essa lacunosa sul punto, avendo fatto riferimento unicamente all’inerenza delle spese, senza analizzare i criteri per effettuare l’ammortamento della quota di deducibilità.

2. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione della L.R. Sicilia 29 dicembre 2003, n. 21, art. 15, comma 3, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice d’appello ha concesso l’esenzione dall’Irap sulla parte eccedente la media del triennio 2001/2003, senza considerare che tale aiuto di Stato è limitato nell’ambito dei massimali previsti dalla comunità Europea per gli aiuti, di cui al regime de minimis. Il giudice d’appello, invece, avrebbe dovuto valutare la sussistenza dei presupposti per la concessione di detta esenzione, ed in particolare il superamento o meno del suddetto massimale.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. Invero, la L.R. Sicilia 29 dicembre 2003, n. 21, art. 15, prevede al comma 1 che “al fine di incentivare lo sviluppo dell’economia siciliana, è concessa l’esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e successive modifiche ed integrazioni, per i cinque periodi di imposta successivi a quelli in corso al 31 dicembre 2003, alle imprese già operanti in Sicilia per la parte di base imponibile eccedente la media di quella dichiarata nel triennio 2001-2003, ad esclusione delle industrie chimiche e petrolchimica”.

Al comma 3, poi, si aggiunge che “l’applicazione della presente disposizione è subordinata al rispetto della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, nonchè della definizione della procedura di cui all’art. 88, paragrafi 2 e 3, del trattato istitutivo della Comunità Europea”.

Al comma 4 bis, ancora, si dispone che “nelle more, ovvero in caso di definizione negativa delle procedure di cui al precedente comma 3, gli aiuti previsti dal presente articolo sono concessi con modalità conformi ed entro i limiti di cui al regolamento della Commissione delle comunità Europee n. 69 del 12 gennaio 2001, relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di importanza minore”.

2.3. Invero, con riferimento al regime de minimis per la L.R. Sicilia n. 21 del 2003, è intervenuta la decisione della Commissione del 7 febbraio 2007 (2007/498/CE), con cui si è affermato, all’art. 1, che “il regime di aiuti cui l’Italia intende dare esecuzione mediante applicazione della L.R. Sicilia n. 21 del 2003, artt. 14, 15 e 16 costituisce aiuto di Stato”.

Inoltre, l’art. 2, comma 2, del regolamento CE n. 1998 del 2006 della

Commissione, del 15 dicembre 2006, che ha modificato il regolamento 12 gennaio 2001, n. 69, relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato agli aiuti di importanza minore (“de minimis”), si prevede che “l’importo complessivo degli aiuti de minimis concessi ad una medesima impresa non deve superare i 200.000 Euro nell’arco di tre esercizi finanziari”. Inoltre, al comma 3, si precisa che “i massimali stabiliti al paragrafo 2 sono espressi in termini di sovvenzione diretta in denaro. Tutti i valori utilizzati sono al lordo di qualsiasi imposta o altro onere. Quando un aiuto è concesso in forma diversa da una sovvenzione diretta in denaro, l’importo dell’aiuto è l’equivalente sovvenzione lordo”. Inoltre, ai sensi del comma 4, “il presente regolamento si applica solo agli aiuti riguardo i quali è possibile calcolare con precisione l’equivalente sovvenzione lordo ex ante senza che sia necessario effettuare un’analisi del rischio (aiuti trasparenti)”.

L’art. 5 (misure transitorie), poi, definisce il regime transitorio, disponendo che “il presente regolamento si applica gli aiuti concessi anteriormente alla sua entrata in vigore alle imprese attive nel settore dei trasporti e alle imprese attive nella trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, se gli aiuti soddisfano tutte le condizioni di quegli artt. 1 e 2”.

Tali questioni non sono state in alcun modo affrontate dal giudice d’appello, che ha omesso di verificare l’eventuale superamento da parte della società contribuente della soglia dell’agevolazione di cui al de minimis.

4. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

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