Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15751 del 07/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/06/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 07/06/2021), n.15751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 365-2016 proposto da:

ENEL PRODUZIONE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 14, presso lo studio dell’avvocato ROSAMARIA NICASTRO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO

PAULETTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2261/2014 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA,

depositata il 21/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2021 dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO.

 

Fatto

RITENUTO

1. – La Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza n. 2.261/16/14 del 20 ottobre 2014, pubblicata il 21 novembre 2014, accogliendo, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Arezzo n. 46/1/12, l’appello principale della Agenzia delle entrate, ha respinto il ricorso presentato dalla contribuente ENEL Produzione s.p.a. (appellante incidentale) avverso l’avviso di accertamento catastale di rettifica in ragione di Euro 2.032.751,66 della rendita, concernente la centrale elettrica di (OMISSIS), sita nel comune di (OMISSIS) (riportata al f. (OMISSIS), part. (OMISSIS) e (OMISSIS)), a fronte della rendita di Euro 695.218,00 proposta colla denunzia di variazione, mod. DOCFA.

2. – La contribuente, mediante atto del 22 dicembre 2015, ha proposto ricorso per cassazione.

E, con memoria del 17 febbraio 2021, ha insistito per l’accoglimento della impugnazione.

3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha resistito mediante controricorso dell’8 febbraio 2016.

Diritto

CONSIDERATO

1. – La Commissione regionale tributaria ha motivato la riforma della sentenza impugnata osservando: l’Agenzia delle entrate appellante ha offerto “ampie delucidazioni sul metodo seguito per determinare il valore degli impianti”; la determinazione del valore degli impianti della centrale elettrica, contenuta nell’avviso di avviso di accertamento catastale, risulta “puntuale e rigorosa”; mentre la appellante incidentale ha insistito immotivatamente “per l’accoglimento della rendita catastale proposta (…) che trascura del tutto gli impianti specifici, valorizzando soltanto edifici principali e accessori, tettoie, vasche, serbatoi, torri di refrigerazioni e terreni”.

2. – La ricorrente sviluppa tre motivi di ricorso.

2.1 – Con il primo denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, e in relazione all’art. 2697 c.c..

La ricorrente censura il criterio di stima degli impianti fissi adottato nell’avviso di accertamento catastale, siccome fondato sui “costi di bilancio omnicomprensivamente considerati”, senza scomputare i costi sostenuti per la demolizione e/o per la rimozione dei preesistenti impianti e i costi aziendali non pertinenti; oppone che, nella specie, trattandosi di immobile già accatastato, non è applicabile il criterio alternativo previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3; ripropone, diffusamente argomentando, le deduzioni sviluppate nei gradi di merito circa la determinazione del valore degli impianti e dei coefficienti di deprezzamento.

2.2 – Con il secondo motivo di ricorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La società contribuente rinnova le censure formulate col libello introduttivo e con l’appello incidentale, col quale aveva lamentato che la Commissione tributaria provinciale non avrebbe dato “contezza delle motivazioni poste a base della individuazione in quarantadue milioni di Euro (a fronte dei quindici milioni dichiarati) del valore degli impianti in contestazione”.

2.3 – Col terzo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7.

La ricorrente eccepisce il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento catastale, eccezione formulata con il ricorso introduttivo e riproposta con l’appello incidentale, assumendo che l’Agenzia del territorio non avrebbe enunciato le ragioni che sorreggono l’accertamento; sicchè avrebbe, in tal modo, compromesso l’esercizio del diritto di difesa del contribuente.

3. – Il ricorso è infondato.

3.1 – In relazione al primo motivo appare innanzitutto impertinente il riferimento della ricorrente alla disposizione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, norma della quale la contribuente addebita (dolendosene) alla Agenzia del territorio l’applicazione, in relazione all’accertamento impugnato.

L’atto in parola (riprodotto alle pp. 34 e 35 del ricorso) non reca, infatti, alcuna menzione della disposizione in questione, facendo, invece, pertinente riferimento alle disposizioni “dettate dal R.D. n. 1539 del 1933, e dal R.D. n. 2153 del 1938, per il catasto terreni” e a quelle di cui al “R.D.L. n. 652 del 1939, e al D.P.R. n. 1142 del 1949 (…) per il catasto edilizio urbano.

Priva di fondamento è la ulteriore denunzia della violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Nella giurisprudenza di legittimità è, per vero, affatto consolidato l’orientamento secondo il quale “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata”; mentre non sono riconducibili alla previsione in parola del codice di rito le censure che – esattamente al pari di quelle sviluppate della ricorrente – investono “la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti” (Sez. 3, sentenza n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038- 01; Sez. 4, sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541- 01; Sez. 3, sentenza n. 15107 del17/06/2013, Rv. 626907- 01; Sez. 5, sentenza n. 2935 del 10/02/2006, Rv. 586772 – 01; Sez. 3, sentenza n. 13618 del 22/07/2004, Rv. 575433 – 01; Sez. 5, sentenza n. 6055 del 16/04/2003, Rv. 562210 – 01; Sez. 3, sentenza n. 2155 del 14/02/2001, Rv. 543860 – 01; Sez. 1, sentenza n. 11949 del 02/12/1993, Rv. 484583 – 01).

Epperò risulta palese che la Commissione tributaria regionale non è incorsa nella denunziata violazione di legge, in quanto sotto nessun profilo è contravvenuta alla regola della distribuzione dell’onere probatorio.

3.2 – Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Le censure sviluppate dalla ricorrente non sono riconducibili alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La contribuente, riproponendo diffusamente le deduzioni formulate col libello introduttivo e con l’appello incidentale, e dolendosi “della totale obliterazione degli elementi probatori (…) che avrebbero potuto condurre a una diversa decisione” e, segnatamente, “della errata, mancata considerazione dei coefficienti di obsolescenza”, censura, piuttosto, il negativo scrutinio dell’appello incidentale, operato dalla Commissione tributaria regionale ancorchè con motivazione estremamente sintetica e scabra.

Soccorre in proposito il principio di diritto fissato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti” (Sez. 1, ordinanza n. 6519 del 06/03/2019, Rv. 653222 – 01; Sez. 6 – 2, ordinanza n. 11603 del 14/05/2018, Rv. 648533 – 01; Sez. 5, sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 – 01; Sez. 6 – 5, ordinanza n. 19959 del 22/09/2014, Rv. 632466 – 01).

3.3 – Quanto al terzo motivo, la riproduzione, ancorchè parziale, dell’avviso di accertamento catastale, contenuta nel ricorso, comprova che l’atto impugnato – a dispetto del contrario assunto della ricorrente – risulta corredato da motivazione adeguata, circa i presupposti in diritto e in fatto, che sorreggono la rettifica della rendita catastale.

Non ricorre, per vero, la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7.

Nella specie si tratta di avviso di accertamento catastale che l’Agenzia del territorio ha emesso in esito alla stima diretta degli immobili e previo sopralluogo, nell’ambito del procedimento instaurato dalla contribuente colla domanda, modello DOCFA.

In ordine al requisito della motivazione dell’avviso di accertamento catastale nei procedimenti in parola la giurisprudenza di legittimità è consolidata nella affermazione del principio di diritto secondo il quale “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita (…) se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e (se) l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni” (Sez. 5, ordinanza n. 12777 del 23/05/2018, Rv. 648513 – 01; cui adde Sez. 5, sentenza n. 22355 del 15/1URULU, n. m.; Sez. b – 5, ordinanza n. 31t3U9 dei 07/12/2018, Rv. 652165 – 01; Sez. 6 – 5, ordinanza n. 12497 del 16/06/2016, Rv. 640020 – 01).

Il Giudice a quo ha, dunque, correttamente reputato che fosse da escludere il denunziato vizio di motivazione dell’avviso di accertamento catastale, il quale conteneva la indicazione dei dati oggettivi, della categoria, della classe e della rendita attribuite all’immobile, là dove la elevazione della rendita conseguiva esclusivamente alla differente valutazione tecnica in ordine al valore economico dell’immobile, senza che l’ufficio avesse disatteso alcuno degli elementi di fatto indicati dalla contribuente.

E, peraltro, la puntuale contestazione del classamento, operata dalla contribuente col libello introduttivo della lite fiscale, disvelando la “piena conoscenza” della parte circa i “presupposti” della maggiore rendita accertata, vale a escludere la supposta nullità dell’atto, per vizio di motivazione, impugnato (cfr. Sez. Un., sentenza n. 11722 del 14/05/2010, Rv. 613234 01; Sez. 6 – 5, ordinanza n. 15580 del 22/06/2017, Rv. 644722 -01).

A tali principi – la Corte li ribadisce ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, condividendo le ragioni sviluppate nei pertinenti arresti – si è uniformata la Commissione tributaria regionale.

3.4 – Alla stregua delle considerazioni che precedono e alla luce dei superiori principi di diritto – il Collegio li ribadisce ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, condividendo le ragioni sviluppate nei pertinenti arresti – consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio sono congruamente liquidate nel dispositivo secondo la soccombenza.

3.5 – La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro cinquemila/00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenutasi da remoto, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021

 

 

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