Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15750 del 23/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/06/2017, (ud. 21/04/2017, dep.23/06/2017),  n. 15750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6579-2013 proposto da:

L.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO

43, presso lo studio dell’avvocato CARLO GUGLIELMO IZZO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO MENNA;

– ricorrente –

contro

R.A.A.R. ((OMISSIS)) quale erede di

R.L., G.M. (OMISSIS), LA DUCALE S.p.a. (c.f. (OMISSIS))

in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore, nonchè RO.CA.RE.

(OMISSIS), RO.RI. (OMISSIS) e r.r. (OMISSIS)

quali eredi di C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DI MONTE GIORDANO 36, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO

MAZZETTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCO MACCABRUNI;

– controricorrenti –

nonchè contro

S.A.L.F.P., RO.AN.BE. e

ro.an.ro. nella loro qualità di eredi di R.L.,

nonchè ro.an.am., M.A., RI.NE.,

B.R., I.E., G.F., G.G.,

G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2608/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2017 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per per l’accoglimento dei

primi due motivi e per l’assorbimento degli altri motivi del

ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO MENNA, difensore del ricorrente, che chiede

di depositare la copia notificata del ricorso, sentito l’Avvocato di

controparte che si è opposto al deposito, su concorde parere del

P.M. la Corte consente il suddetto deposito;

l’Avvocato di parte ricorrente ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CRISTINA SIMONCELLI, con delega dell’Avvocato FRANCO

MACCABRUNI difensore dei controricorrenti, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La vicenda oggetto del giudizio trae origine dal contratto preliminare stipulato il 26.4.2002, col quale R.L. ed altri promisero di vendere a L.L., che promise di acquistare, due appezzamenti di terreno edificabile per una superficie complessiva di mq. 44.791 e per una volumetria totale realizzabile di mc. 53.750 circa, volumetria che le parti presero a base per la determinazione del prezzo che quantificarono in Lire 8 miliardi e 600 milioni “salvo conguaglio”, pattuendo che tale prezzo sarebbe stato definitivamente determinato – secondo il criterio di Lire 160.000 al metro cubo – in rapporto alla cubatura realizzabile sulla base del P.R.G. comunale.

2. – Insorta controversia in ordine alla entità della volumetria realizzabile e quindi in ordine al prezzo dovuto, a seguito di reciproche domande con le quali entrambe le parti chiesero l’esecuzione in forma specifica del preliminare, il Tribunale di Milano dispose il trasferimento della proprietà dei terreni oggetto del preliminare, subordinando l’effetto traslativo all’integrale pagamento del prezzo previsto nel contratto.

3. – Sul gravame proposto in via principale dal L. e in via incidentale dai promittenti venditori, la Corte di Appello di Milano, con la sentenza non definitiva n. 2747 del 2007, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dispose che il trasferimento coattivo della proprietà dei lotti fosse subordinato al pagamento del corrispettivo da calcolarsi mediante apposita consulenza tecnica; a tal fine, dispose,, la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza. Ritenne la Corte territoriale che le parti avessero stipulato una promessa di vendita “a misura”, e non “a corpo”, in quanto il prezzo complessivo della vendita – che le parti pur avevano quantificato, “salvo conguaglio” doveva essere definitivamente calcolato – al prezzo di Lire 160.000 a metro cubo – in rapporto alla cubatura effettivamente realizzabile.

4. – Nel prosieguo del giudizio di gravame, nel corso del quale intervenne in causa la società La Ducale s.p.a. (che aveva, nel frattempo, acquistato dagli appellati gli immobili oggetto della controversia), a seguito del deposito della relazione di consulenza tecnica, la Corte di Appello di Milano, con sentenza definitiva n. 2608 del 2012, determinò il corrispettivo residuo dovuto da L.L. ai promittenti venditori, in solido tra loro, nella somma di Euro 3.152.213,90 da maggiorarsi con gli interessi legali.

5. – Per la cassazione di tale ultima sentenza ricorre L.L. sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso R.A.A. (quale erede di R.L., nel frattempo deceduto), G.M., la società La Ducale s.p.a. (in persona del suo legale rappresentante pro – tempore), Ro.Ca.Re., Ro.Ri. e r.r..

Le altre parti, ritualmente intimate, non hanno svolto attività difensiva.

Sia il ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va premesso che oggetto del ricorso per cassazione è soltanto la sentenza definitiva della Corte di Appello di Milano. Non è stata impugnata, invece, la sentenza non definitiva, le cui statuizioni, pertanto, sono passate in cosa giudicata.

2. – Premesso quanto sopra, può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

2.1. – Col primo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Milano violato il giudicato formatosi con la sentenza non definitiva della stessa Corte di Appello, erroneamente ritenendo che tale sentenza non definitiva avesse stabilito che il prezzo della vendita doveva determinarsi con riferimento alla volumetria edificabile sulla base della normativa urbanistica locale, anzichè – come ritiene il ricorrente – con riferimento alla volumetria effettivamente assentita o effettivamente realizzata.

Col secondo motivo, che va esaminato unitamente al primo stante la stretta connessione, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello erroneamente interpretato la sentenza non definitiva, ritenendo che con la stessa fosse stato stabilito che il prezzo della vendita doveva determinarsi con riferimento alla volumetria edificabile sulla base della normativa urbanistica locale vigente alla data fissata per la stipulazione del contratto definitivo, anzichè con riferimento alla volumetria effettivamente assentita o effettivamente realizzata.

Entrambi i motivi sono infondati.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, il giudicato va assimilato agli elementi normativi, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge; ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato, con cognizione piena, che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass., Sez. U, n. 24664 del 28/11/2007; Sez. 1, n. 21200 del 05/10/2009; Sez. L, n. 22883 del 09/09/2008).

Nell’interpretazione del giudicato e nell’accertamento dell’oggetto e dei limiti della decisione, poi, il giudice non può fermarsi all’esame della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza, ma deve individuarne l’essenza e l’effettiva portata, alla stregua non soltanto del dispositivo, ma anche dei motivi che lo sorreggono (Cass., Sez. 2, n. 1093 del 18/01/2007; Sez. 2, n. 21961 del 27/10/2010).

Orbene, nella specie va rilevato come il dispositivo della sentenza non definitiva della Corte di Appello di Milano, passata in cosa giudicata, non enunci il criterio sulla base del quale deve essere calcolato il prezzo della vendita, limitandosi sul punto a far rinvio per relationem a quanto detto in motivazione. E’ evidente, pertanto, la necessità di ricavare il criterio per calcolare il prezzo della vendita dalla complessiva interpretazione della motivazione di tale pronuncia.

E’ quanto ha fatto la Corte territoriale con la sentenza (definitiva) impugnata, laddove non si è fermata a considerare la sola proposizione invocata dalla ricorrente (a p. 24 della sentenza non definitiva) laddove si dice che dovrà disporsi consulenza tecnica “finalizzata ad accertare la volumetria assentita dal Comune ovvero quella effettivamente realizzata”, ma ha tenuto conto della motivazione della sentenza non definitiva nel suo complesso, pervenendo alla conclusione che, con tale sentenza, sia stato stabilito che il prezzo della vendita deve essere determinato avendo riguardo alla volumetria in astratto realizzabile sulla base delle previsioni dello strumento urbanistico, e non alla volumetria effettivamente realizzata o effettivamente assentita.

Questa Suprema Corte condivide tale interpretazione, deponendo in tal senso plurimi passaggi della sentenza non definitiva laddove la Corte di Appello ha spiegato che le parti avevano concordato il prezzo della vendita “in relazione alle possibilità di edificazione dell’area di riferimento” (p. 19), cosicchè per determinare lo stesso era necessario “avere riguardo all’indice di fabbricabilità e alla incidenza degli standards” (p. 21), “alla volumetria effettivamente realizzabile” (p. 22), alla “qualità edificatoria dell’area promessa in vendita” (p. 22).

Inequivoco appare il riferimento della sentenza non definitiva alle potenzialità edificatorie dell’area sulla base dello strumento urbanistico, piuttosto che alla volumetria effettivamente assentita dall’autorità comunale o a quella effettivamente realizzata; e sul punto la sentenza impugnata giustamente rileva il mancato riferimento del contratto di vendita, ai fini della determinazione del prezzo, a comportamenti successivi dei contraenti o a determinazioni successive dell’autorità comunale.

D’altra parte, lo stesso mandato conferito al C.T.U. dal Collegio che ha pronunciato la sentenza non definitiva è stato nel senso di accertare la volumetria “realizzata o realizzabile secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici”; così facendo inequivoco riferimento alla volumetria prevista dagli strumenti urbanistici in astratto, piuttosto che a quella realizzata in concreto a prescindere da essi.

In definitiva, deve ritenersi che la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, abbia correttamente interpretato il giudicato interno formatosi con la sentenza non definitiva e non ne abbia violato il decisum, cosicchè deve escludersi la sussistenza dei dedotti vizi di legittimità.

2.2. – Col terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello aderito acriticamente alle conclusioni del C.T.U., che avrebbe calcolato il volume realizzabile nei lotti oggetto della promessa di vendita senza considerare i vari standards urbanistici incidenti su di essi (aree da destinare ad attrezzature pubbliche o di pubblico interesse) e senza considerare la possibilità della monetizzazione di tali standards, rimessa alla discrezionalità dell’autorità comunale.

Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una censura di merito sulla ricostruzione del fatto e sulla valutazione degli elementi istruttori acquisiti.

Nella specie, la Corte di Appello ha spiegato come esattamente il C.T.U. abbia tenuto conto del volume realizzabile, senza considerare la discrezionalità dell’autorità comunale relativamente agli standards urbanistici, perchè da ciò sarebbe derivata la non determinatezza del prezzo e la conseguente nullità del contratto; ha anche spiegato come correttamente il C.T.U. abbia tenuto conto della superficie territoriale (ossia dell’intera superficie del terreno comprensiva delle aree standard da cedere a finalità pubbliche) che definisce il massimo volume edificabile all’interno di una zona omogenea. La motivazione della sentenza impugnata sul punto risulta esente da vizi logici e giuridici e rimane, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.

2.3. – Col quarto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello erroneamente individuato il termine prorogato entro il quale avrebbe dovuto essere stipulato il contratto definitivo (e in relazione al quale è stata calcolata la volumetria realizzabile) nella data del 26.11.2002, piuttosto che in quella del 31.1.2003, nonostante che i promittenti venditori avessero indicato tale ultimo termine nell’atto di citazione con corrispondente valore di confessione giudiziale.

Unitamente a tale motivo, va esaminato, stante la stretta connessione, anche il quinto motivo, col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello condannato il L. a corrispondere gli interessi legali sulla somma dovuta a titolo di residuo prezzo, nonostante che la sentenza non definitiva non avesse fatto cenno alla corresponsione degli interessi e nonostante che tali interessi non fossero dovuti non essendo imputabile al promissario acquirente il ritardo nel passaggio di proprietà.

Entrambi i motivi sono inammissibili.

Invero, la sentenza di primo grado ha condannato il L. a corrispondere ai promittenti venditori il prezzo residuo, “oltre ad interessi legali dal 26.9.2002” (v. p. 8 del ricorso per cassazione).

La sentenza di primo grado non risulta essere stata impugnata sul punto (cfr. pp. 25-26 della sentenza impugnata), cosicchè la statuizione di condanna alla corresponsione degli interessi, con la relativa decorrenza, è passata in cosa giudicata.

3. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

4. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 (diecimila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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