Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15749 del 23/06/2017

Cassazione civile, sez. II, 23/06/2017, (ud. 21/04/2017, dep.23/06/2017),  n. 15749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13197-2013 proposto da:

H.S. S.r.l. (c.f. (OMISSIS)) in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GB TIEPOLO 4, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI SMARGIASSI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONINO GIUFFRIDA;

– ricorrente –

contro

FEROFIN S.r.l. (c.f. (OMISSIS)) in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIO FANI 106,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO ROSSI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SAMANTHA GHEZZI,

RAFFAELLA SALA;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MILANO, relativa al

procedimento R.G.n. 3173/212, depositata il 13/03/2013 Rep. n.

995/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2017 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso,

per la condanna alle spese e statuizione sul contributo unificato;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO ROSSI, difensore della

controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La vicenda oggetto del giudizio trae origine dal contratto di compravendita del 21.7.2006, col quale la società H.S. s.r.l. (d’ora in poi HS) vendette alla società Ferofin s.r.l., per il prezzo di un milione di euro, alcuni immobili con destinazione ad uso industriale e dal successivo contratto, datato 3.5.2007, col quale la società Idroblocchi s.r.l. cedette alla Ferofin il credito da essa vantato nei confronti della HS pari ad euro 235.940,11 (cessione notificata alla HS il 9.5.2007).

Con decreto ingiuntivo, richiesto dalla società HS, fu intimato alla Ferofin il pagamento in favore della prima della somma di euro 200 mila a titolo di IVA dovuta sul corrispettivo della predetta compravendita; la Ferofin propose opposizione, opponendo in compensazione il credito di cui era divenuta cessionaria.

Con sentenza n. 11 del 2012, il Tribunale di Lecco, accogliendo l’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la HS a pagare alla Ferofin la somma di Euro 30.678,84 (da maggiorarsi con gli interessi legali). Il giudice di primo grado riconobbe la sussistenza del credito per IVA vantato dalla HS e posto a base del decreto ingiuntivo opposto, ma dichiarò tale credito estinto per compensazione col maggior controcredito vantato dalla Ferofin, condannando pertanto la HS a pagare alla Ferofin la differenza risultante dalla compensazione.

2. – L’appello proposto dalla società HS fu dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello di Milano, ai sensi degli artt. 348 bis e ter c.p.c., con ordinanza del 28.2.2013, comunicata il 13.3.2013.

3. – Per la cassazione della sentenza di primo grado ricorre la HS s.r.l. sulla base di cinque motivi; la HS propone anche un motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso l’ordinanza della Corte di Appello che ha dichiarato inammissibile il gravame, limitatamente alla statuizione di condanna alle spese.

Resiste con controricorso la Ferofin s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso (denominato 7.1), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè la nullità della sentenza di primo grado (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per non avere il Tribunale dichiarato inammissibile la domanda di compensazione proposta in via riconvenzionale dalla Ferofin, nonostante che tale domanda avesse ad oggetto un credito illiquido e di non facile e pronta liquidazione.

La censura non è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, il giudice deve decidere sul credito opposto in compensazione, anche allorchè non sia di facile e pronta liquidazione, se fatto valere con domanda riconvenzionale e non eccedente la sua competenza per materia o valore (Cass., Sez. 3, n. 157 del 05/01/2005; Sez. 2, n. 8692 del 02/09/1998).

Il Tribunale si è conformato a tale principio di diritto, implicitamente ritenendo che il credito opposto in compensazione fosse facile e pronta liquidazione e provvedendo, quindi, a liquidarlo, come previsto dall’art. 1243 c.c., comma 2.

Non sussiste pertanto la dedotta violazione dell’art. 1243 c.c., nè la pretesa illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

2. – Col secondo motivo (denominato 7.2), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il Tribunale ritenuto inammissibili le prove dedotte dalla HS tendenti a dimostrare voci di danno (mancato rispetto dei termini di consegna verso i propri clienti; costi sostenuti per dotarsi di attrezzature; costo di lavori appaltati a terzi) che – secondo la ricorrente – sarebbero conseguenza del non esatto adempimento da parte della Idroblocchi (società originariamente titolare del credito poi ceduto alla Ferofin).

Anche questa censura è infondata.

Il Tribunale ha puntualmente spiegato di poter prendere in esame solo le due voci di danno indicate nella comparsa di risposta (parziali vizi di alcuni blocchi; ritardi nei tempi di consegna pattuiti) e non le altre voci aggiunte con la memoria istruttoria (p. 11 della sentenza impugnata).

Trattasi di interpretazione di deduzioni della parte, la quale costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, quando – come nella specie – il giudice abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine (Cass., Sez. 1, n. 5876 del 11/03/2011).

Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione degli artt. 167 e 183 c.p.c., nè – tantomeno – il difetto assoluto di motivazione.

3. – Col terzo motivo (denominato 7.3), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Tribunale escluso la sussistenza del danno da ritardo nella consegna delle forniture da parte della Idroblocchi in ragione della mancata pattuizione di apposite penali tra le parti.

Il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il Tribunale ha escluso la sussistenza di ritardo nella consegna della merce (p. 13 della sentenza impugnata). Il ricorrente non ha tenuto conto di tale accertamento posto a base della sentenza impugnata, che comporta di per sè il rigetto della eccezione proposta dalla HS. Non avendo il ricorrente sottoposto a critica la richiamata ratio decidendi, il motivo risulta inammissibile.

4. – Col quarto motivo (denominato 7.4), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè la nullità della sentenza di primo grado (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il Tribunale sollevato la Ferofin dall’onere di provare la non imputabilità del ritardo da parte della Idroblocchi e per non avere disposto C.T.U. nè ammesso le prove dedotte.

Anche questo motivo è inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi.

Il Tribunale, sulla base della valutazione delle prove acquisite, ha escluso del tutto la sussistenza del preteso ritardo nella consegna della merce; e ciò è assorbente rispetto al tema della imputabilità del ritardo stesso.

Anche gli altri profili della censura (mancata nomina del C.T.U. e mancata ammissione di prove orali) rimangono assorbiti.

5. – Col quinto motivo (denominato 7.5), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Tribunale condannato la HS al pagamento delle spese della lite, omettendo di compensare le stesse tra le parti.

Anche questo motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 5, n. 15317 del 19/06/2013; Sez. U, n. 14989 del 15/07/2005).

6. – Rimane, infine, da esaminare l’unico motivo proposto ex art. 111 Cost., avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte territoriale, col quale la ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello abbia liquidato le spese del giudizio di appello nella misura di Euro 4.500,00 per compensi professionali, misura quasi doppia rispetto ai minimi dello scaglione relativo al valore della causa, quando – a suo dire – ragioni di giustizia avrebbero imposto al giudice del gravame di liquidare il compenso minimo (Euro 2.940,00).

Anche questo motivo è inammissibile.

Va premesso che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno statuito che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter c.p.c., commi 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso. (Cass., Sez. U, n. 1914 del 02/02/2016). Le stesse Sezioni Unite hanno spiegato, in motivazione, che la statuizione sulle spese contenuta nell’ordinanza suddetta può essere oggetto di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., quando ad es. il vincitore lamenti una impropria compensazione ovvero una liquidazione inferiore al minimo previsto o anche quando il soccombente lamenti una liquidazione eccessiva.

Ciò posto, tuttavia, la censura è inammissibile investendo il merito della liquidazione delle spese processuali e non la sua legittimità.

Sul punto, va ricordato che, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Cass., Sez. 1, n. 20289 del 09/10/2015; Sez. 6-1, n. 18167 del 16/09/2015; Sez. 3, n. 4025 del 06/04/1995).

Nella specie, la quantificazione delle spese, operata dalla Corte territoriale, ha osservato i limiti dello scaglione relativo al valore (che prevede un massimo di Euro 9.408,00), cosicchè non sussiste la dedotta violazione di legge.

7. – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

8. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2017

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